La rappresentazione geografica non potrebbe essere più esplicita: sopra Luigi Di Maio, col potere, che ha sede in alto, verso il Vesuvio; sotto Giuseppe Conte, con l’opposizione, che sta in basso, verso il Golfo. Negli anni Ottanta il comune di Portici aveva fra l’altro come record la densità abitativa: 80 mila persone su un territorio 4,5 chilometri quadrati compreso bosco, un ammasso di gente secondo solo ad Hong Kong. Adesso, sceso a 53 mila abitanti - 22 mila nuclei familiari di cui 2 mila con il reddito di cittadinanza - il record di Portici è tutto politico: stretto tra la Napoli del giallorosa Gaetano Manfredi, ex ministro con Conte (13 chilometri ) e la Pomigliano d’Arco del ministro degli Esteri (18 chilometri), è il posto in Italia in cui più chiaramente si vede quanto sia profonda nei Cinque Stelle la spaccatura verticale - politica, ma anche esistenziale e progettuale - che separa il capo dei grillini dal loro ex capo, quanto il primo, l’Avvocato del popolo, si trovi in difficoltà e quale destini possa intraprendere, di conseguenza, l’alleanza con il Pd di Enrico Letta.
La spaccatura tra i due Movimenti, che a Roma si misura in termini di atlantismo versus pacifismo, nella cittadina scrostata che fu Reggia dei Borbone e meta del primo tratto di ferrovia della storia d’Italia, è larga due chilometri e mezzo: la distanza tra la sede del Comune e quella del Movimento. Dimaiani e contiani - i quali in loco coincidono largamente coi fichiani - se le danno di santa ragione, con una ortogonalità invidiabile rispetto alle dinamiche nazionali.
A Roma la guerra tra Conte e Di Maio fa tremare il governo: alla vigilia delle attesissime dichiarazioni in Parlamento del presidente del Consiglio Mario Draghi sulla politica estera, con il ministro degli Esteri intento a gridare viva la Nato da ogni schermo tv possibile e con Giuseppe Conte invece applicato a reclamare il voto sulla linea dell’Italia sull’Ucraina, un voto è arrivato davvero: ma contro Conte. Il capo grillino è uscito infatti sconfitto dalla battaglia sulla presidenza della commissione Esteri del Senato: nella votazione per sostituire Vito Petrocelli, il suo candidato Ettore Licheri è stato infatti bocciato, in favore di Stefania Craxi, eletta diciamo a sorpresa (a proposito di declino dei Cinque Stelle: una Craxi che batte un grillino, sic transit gloria mundi).
Una spaccatura che si riflette pari pari nell’hinterland napoletano ai piedi del Vesuvio che vide il massimo trionfo grillino nel 2018. A Portici infatti Di Maio - atlantico e draghiano - appoggia il sindaco del Pd, Enzo Cuomo: una specie di De Luca locale quanto a consenso e longevità politica, in corsa per un quarto mandato il 12 giugno, che però - piccolo particolare - i Cinque Stelle guidati da Conte hanno deciso di non appoggiare.
Il ministro degli Esteri - che proprio con il governatore De Luca, il 25 aprile, aveva avuto un colloquio di un’ora ad Acerra - ha trovato il tempo di manifestare a Cuomo il suo appoggio il 7 maggio, trovando uno spiraglio di tempo tra la missione in India e quella in Marocco: la scusa è stata un incontro istituzionale su accoglienza e cooperazione che l’ha portato a planare sul municipio porticese, Palazzo Campitelli, un cubo di cemento e vetri scuri appollaiato in alto, tra le ville e il cimitero, in direzione del Vesuvio, costruito negli anni Ottanta su progetto dell’assessore Frosina con l’idea di farne un ospedale.
Per Di Maio un appuntamento di sapore andreottiano, quanto a cura del proprio collegio (Giulio Andreotti, per via del granaio di voti in Ciociaria, era capace di agende tipo: Bonn, Washington, Carpineto Romano, premio Fiuggi, Nuova Delhi). «Un onore che abbia trovato il tempo di venirci a trovare, in giorni così delicati», dice Cuomo, assiso imperturbabile sulla poltrona in pelle rossa del suo studio illuminato al neon, tra quadri di Garibaldi, Madonna Addolorata, presepi, cesti omaggio ancora avvolti nella carta da regalo, vestigia di un uovo di Pasqua del Napoli, di cui è tifosissimo. Il sindaco nega all’incontro qualsiasi valore politico, che è invece in sé evidente.
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A Portici infatti i Cinque Stelle, 10 per cento alle Comunali del 2017 e 54 per cento alle Politiche 2018, appoggiano non lui ma il candidato verde Aldo Agnello («Agnello Aldo» il suo profilo Facebook), in coalizione con Sinistra italiana e, appunto, verdi. Ma loro stanno in basso, a livello mare, alla sede umida e combattiva di Villa Gallo, una delle tante, cadenti, ville vesuviane del cosiddetto Miglio d’oro.
«Di Maio non ci ha neanche detto che sarebbe venuto, l’abbiamo saputo dalla Digos, due giorni prima dell’evento, che abbiamo disertato», spiega Alessandro Caramiello, il capogruppo grillino in consiglio comunale, seduto nella sezione grillina, tra un mucchio di volantini, manifesti, fogli di propaganda e una lavagna dove sono disegnati i fac-simile delle schede («spieghiamo come si vota e come si fa il disgiunto»). Ovviamente, il ministro degli Esteri non verrà per la campagna elettorale dei Cinque Stelle: ci saranno invece, in sostegno di Agnello, sia Conte che Roberto Fico.
Il presidente della Camera è di casa da queste parti: già molto legato all’ex candidato sindaco grillino Giovanni Erra, qualche settimana fa è sceso per mangiarsi una pizza, e il 14 ottobre scorso addirittura in veste ufficiale, per una visita alla sede di Libera, in via Diaz. In quel caso - evidentemente a Portici va di moda il telefono senza fili via apparati dello Stato - fu il sindaco a offendersi, perché nessuno, salvo la questura, l’aveva avvisato dell'arrivo della terza carica: «L’unica comunicazione è arrivata dalla questura di Napoli, con una nota inviata alla polizia municipale», aveva spiegato in un’indignata lettera aperta. Ovviamente ad accogliere Fico a ottobre c’erano i Cinque Stelle che adesso hanno disertato l’incontro con Di Maio, a partire dai parlamentari Sergio Puglia e Teresa Manzo. Geografia chiarissima, come si diceva.
C’è da dire che qui i Cinque Stelle stanno all’opposizione del Pd da sempre. Quando a Portici si costituì il meet up grillino nel 2007 (fu secondo solo a quello di Napoli guidato da Roberto Fico, quando la stella di Di Maio ancora non era sorta), al Municipio c’era sempre Cuomo, eletto nel 2004: provenienza popolari-Margherita, originario di Casola dove il padre Pietro è stato a sua volta sindaco, all’epoca rappresentante locale di una coalizione di tipo ulivista, oggi in corsa con una congerie di liste civiche (8 su 10), per un totale di 238 candidati che lo sostengono, affacciato al quarto mandato dopo una interruzione da senatore, tra il 2013 e il 2017.
Per i Cinque Stelle locali lui insomma è da sempre il rappresentante della Kasta, del Pdmenoelle: quello che fece gli auguri di buon 2019 assiso in una vasca idromassaggio sul mare a Santo Domingo, occhiali affumicati e costumino, intonando “’O sole mio” con un amico; quello che “taroccò” una foto con Maradona per dimostrare di averlo conosciuto (fotomontaggio a mia insaputa, fu poi la spettacolare linea di difesa del sindaco); colui che, rieletto nel 2017 quando era ancora senatore, vide effettive le sue dimissioni da Palazzo Madama giusto giusto nel settembre successivo, subito dopo che erano scattati i 4 anni e mezzo per prendere la pensione da parlamentare – fu certamente un caso.
Anche adesso, i toni della campagna elettorale dei Cinque Stelle restano quelli: il prossimo manifesto in distribuzione ricostruisce la geografia dei nomi di candidati non eletti la scorsa volta con Cuomo, oppure di semplici parenti di qualche eletto, che sono poi stati assunti dalle partecipate del comune. Puro grillismo prima maniera, insomma. A opporsi a un personaggio di cui De Luca potrebbe ripetere il complimento che fece al sindaco di Agropoli Franco Alfieri: «Uno che sa fare la clientela come Cristo comanda». Basti pensare, quanto al tipo di efficienza, che il suo comune fu l’unico, insieme a quello di Salerno guidato all'epoca proprio dal governatore campano, a non farsi sommergere dalla spazzatura ai tempi dell'emergenza; e che adesso il suo ufficio, al quarto piano di Palazzo Campitelli, è presidiato dalla vigilanza di una gentile signora che percepisce il reddito di cittadinanza, reimpiegata nel programma di Progetti utili alla collettività per 16 ore a settimana, addetta in pratica a chiedere «chi è?» a chiunque esca dall’ascensore, e a citofonare (letteralmente) alla porta attraverso cui si accede alle stanze del primo cittadino (negli altri orari suonare a: «uff. sindaco»).
D’altra parte il sindaco Cuomo, eletto la prima volta col 63 per cento dei voti e l’ultima col 70 per cento, mostra nei confronti dei Cinque Stelle un calore del tipo di quello che potrebbe esprimere un Matteo Renzi: basti solo dire che, a omaggio della guerra legale in corso, li chiama distrattamente «Movimento 2050», come a dire che del loro passato non resta più nulla. E sospira comprensivo: «Bisogna capirli, il passaggio dal civismo di protesta a fare un partito di governo è delicato, ci vuole tempo». Dice poi che la decisione di allearsi col Pd, da «verticale deve diventare orizzontale»: cioè essere accettata dai gruppi locali, che fanno resistenza. Non è un caso che l’alleanza M5S-Pd in Campania sia presente in soli due comuni tra quelli che vanno al voto, cioè Acerra e Nola. Un po’ poco, ma significativo per esemplificare una difficoltà a costruire nei fatti un accordo.
La debolezza dell’ex presidente del Consiglio non aiuta: proprio come a Portici, dove il Movimento di Conte ha deciso di non andare con il Pd (che non voleva cambiare candidato), ma il Movimento di Di Maio ha già fatto capire che la direzione di marcia è un’altra. Quella che prevede i grillini come alleati istituzionali, ragionevoli, non sciamannati, insomma di governo: quel ruolo che, a pensarci bene, fece la fortuna di Giuseppe Conte, fintantoché è stato a Palazzo Chigi. Mentre magari Di Maio, da capo del Movimento oltreché ministro, rischiava l’osso del collo proclamando la fine della povertà affacciato a un balcone o flirtava pericolosamente con il leader leghista Matteo Salvini.
Ebbene adesso le parti si sono rovesciate: da quando è stato buttato giù da Palazzo Chigi, attraverso una sfiducia che (come raccontato da questo giornale) prima di essere interpretata soltanto da Matteo Renzi aveva preso le mosse proprio da un asse tra il leader di Iv, Di Maio e Zingaretti, Giuseppe Conte ha dovuto giocare da oppositore - un ruolo che poco gli si confà. Mentre Luigi Di Maio, alla fine di questa legislatura, sarà il solo ad essere stato ininterrottamente al governo per tutti e cinque gli anni: con i gialloverdi di Conte, con i giallorosa di Conte, con i giallotutti di Draghi. Un po’ come Enzo Cuomo. Si capisce che fraternizzi.