Opinione
Plaudiamo al primo via libera della Camera che ferma lo scandalo dei piccoli al seguito delle madri recluse. Ma è solo un primo passo. Perché anche dalla qualità delle proprio sistema detentivo si legge il grado di maturità di una nazione
di Enrico Bellavia
Avevamo dedicato la copertina de L’Espresso allo straordinario reportage di Pietro Mecarozzi sulla vergogna tutta italiana dei bambini dietro le sbarre. Sono trascorsi due mesi abbondanti e la Camera ha dato il primo via libera a una legge che ha la firma di Paolo Siani, il deputato dem fratello di Giancarlo, il giornalista ucciso dalla Camorra. Mai più, se passerà la legge, avremo piccoli nelle celle delle carceri o nelle strutture a custodia attenuata che molto gli somigliano.
Ma lo scandalo dei piccoli detenuti al seguito delle madri recluse è il risultato di un impianto che considera ancora prioritaria la reclusione come strumento di repressione dei reati.
Un tema che altri Paesi hanno affrontato e risolto, deflazionando e di molto il numero delle fattispecie penali punibili con la reclusione.
Il fatto è che il carcere pone problemi enormi, specchio del grado di maturità di uno Stato e della chiarezza dei propri intenti nella affermazione del principio della sicurezza sociale.
Troppo ondivaga la nostra legislazione che inasprisce a fisarmonica le sanzioni in funzione di allarmi che corrispondono alle pulsioni della politica populista. E non già, come dovrebbe essere, a una meditata valutazione dei rischi seri che corre la popolazione civile. Basti pensare a quanto fatto con l’immigrazione clandestina o con gli stupefacenti. Con il risultato di annullare quelle misure straordinarie che avevano ridotto il numero dei detenuti. Troppi, ancora oggi.
Ed è questo il nucleo dell’enormità delle questioni che pone il carcere. I diritti dei detenuti compressi, gli spazi angusti, le condizioni igienico sanitarie, la carenza del personale di custodia, la fatiscenza delle strutture, la carenza di programmi autenticamente di recupero e reinserimento lavorativo hanno tutte a che vedere con la dura legge dei numeri.
In Italia, sovente, il carcere diventa un tema solo quando in ballo ci sono episodi di violenza, i pestaggi nelle sezioni, o quando c’è da affrontare l’emergenza mafia. Si torna a parlare di carcere, ignorando i detenuti cosiddetti comuni, se in ballo c’è il rischio che i boss lascino le celle senza pentirsi. È il dibattito sull’ergastolo ostativo che ha occupato nelle settimane scorse i quotidiani e solo parzialmente il Parlamento, visto che a oggi l’intervento legislativo richiesto dalla Consulta per ottemperare alle prescrizioni europee non è arrivato consumando l’ennesimo rinvio.
Pur avendo con nettezza difeso la necessità dell’ergastolo ostativo per i mafiosi stragisti, questo giornale non si è nascosto dietro la vastità del tema carcere, per ignorare una battaglia di civiltà come quella condotta sui bambini dietro le sbarre. Una campagna che ha portato al successo del voto quasi unanime della Camera alla proposta di legge Siani. Un primo passo, non l’ultimo. Perché anche dalla qualità delle proprie carceri si legge il grado di civiltà di una nazione.