Il segretario si è creato un partito nel partito con dentro l’avvocato Antonio Capuano, diventato famoso per il viaggio (saltato) in Russia. Ma il consulente ha anche tentato di influenzare la linea sulla Cina e provato misteriosi approcci con il banchiere Messina di Intesa Sanpaolo

Alla fine è riuscito a staccarsi da sé stesso. Con una sorta di scissione individuale. Al centro, isolato, Matteo Salvini. Attorno, delusa, la Lega. È parecchio suggestivo riscontrare che ciò sia accaduto per mano di Antonio Capuano, avvocato napoletano di Frattaminore, già deputato campano di Forza Italia, di professione mediatore legale, consulente di un numero imprecisato di ambasciate, abiti di sartoria, voce sottile, buon affabulatore. Per un anno e mezzo circa, più o meno dal varo del governo di Mario Draghi che per un attimo ha ripulito e, ovvio, ingrigito il profilo guascone di Salvini, l’avvocato Capuano ha imperversato da forestiero, non troppo visibile, forse sottovalutato, nelle faccende quotidiane dei leghisti. L’Espresso racconta tre fatti inediti che riguardano la Cina, Banca Intesa e Giancarlo Giorgetti.

 

Già oggetto di segnalazioni da parte dell’Antiriciclaggio come ha rivelato il quotidiano la Verità, Capuano è il sintomo di un Salvini che diffida di chiunque e si affida a chiunque piuttosto che a un collega, dirigente, compagno di partito. Capuano è palazzo Barberini, è Livorno, è Rimini, è Fiuggi: è una rottura insanabile nella Lega. Questo è l’unico dato chiaro in un orizzonte brumoso.

 

Con una caterva di interviste e di dichiarazioni, Capuano si è affacciato per un paio di settimane sul proscenio mediatico per poi ritirarsi stordito nelle quinte. A gran fatica gli speleologi del fotografico l’hanno ripescato negli archivi col viso glabro e paffuto di un giovane trentenne al debutto alla Camera. Oggi che indossa la barba, e ha mutato carriera, s’è saputo che più volte durante la guerra in Ucraina ha accompagnato il segretario Salvini dall’ambasciatore russo Sergey Razov per redigere un piano di pace, organizzare una trasferta a Mosca, convincere Vladimir Putin a fermare i cannoni e altre cose simili che sfiorano l’edificazione di quartieri residenziali su Marte. Vista da fuori: è il solito pastrocchio diplomatico di Salvini, non proprio alfabetizzato in materia, che per ricavare un punto di sondaggi ne ha causati dieci, di sutura, al suo prestigio politico. Vista da dentro: è una scelta inconcepibile, che non si perdona.

Qualche governo fa Salvini ha calpestato il decoro istituzionale consegnandosi da ministro alle avventure geopolitiche di Gianluca Savoini, che trattò presunti finanziamenti al Metropol e di Claudio D’Amico, che validò per l’Osce il referendum per l’autonomia della Crimea. Però gli amici Gianluca e Claudio erano iscritti al Carroccio dal ’91 e invece Capuano non ha né tessere né contratti. Dopo le sbandate con Mosca e nel governo gialloverde di Giuseppe Conte, Salvini ha rimesso il suo mappamondo al posto giusto e ha delegato gli Esteri prima a Giancarlo Giorgetti, finché Draghi non l’ha nominato ministro per lo Sviluppo economico, e poi al conservatore Lorenzo Fontana. Nel disperato tentativo, una illusione, di riabilitarsi presso gli americani, Salvini si è esercitato in una goffa propaganda contro la Cina: ha invocato un processo di Norimberga per la pandemia, una totale estromissione dallo sviluppo della tecnologia 5G, una robusta difesa nazionale dai cinesi aggressivi. E pure la Russia non era più la sua destinazione favorita, luogo del cuore per un accrescimento culturale e democratico. Questa condotta è durata una manciata di mesi.

 

Poi un giorno, lo scorso anno, l’avvocato Capuano ha chiesto un appuntamento al deputato Paolo Formentini, di evidente formazione filoamericana, vicepresidente della commissione Esteri. Il leghista di Lumezzane da anni in Parlamento denuncia le persecuzioni cinesi contro la minoranza etnica e religiosa degli Uiguri e una dozzina di mesi fa depositò anche una severa risoluzione in commissione per sancirne il «genocidio» (definizione poi rimossa nel dibattito). Con l’autorità conferitagli da Salvini di «consulente geopolitico», Capuano propose a Formentini di smussare la posizione leghista e di firmare un documento da consegnare all’ambasciatore cinese a Roma. Formentini verificò con Salvini che Capuano non potesse influenzare la linea del partito e lo congedò in fretta. (Il deputato leghista si limita a non confermare ufficialmente la ricostruzione e ripete che la verticale del comando è Salvini-Fontana).

 

Comunque Formentini ha ignorato Capuano. Salvini no. Anzi a settembre, dopo insulti a mezzo stampa, s’è messo in posa a braccia conserte accanto al diplomatico Li Junhua nella sede cinese di Roma. Altro colpo di Capuano, che non l’ha abbandonato nemmeno dagli americani in un giro del mondo restando nella capitale d’Italia. Questo episodio, già la scorsa estate, ha lanciato la leggenda Capuano.

 

In novembre diversi parlamentari che sono nell’organigramma del Carroccio sono stati contattati da Banca Intesa Sanpaolo: «Per cortesia, mi spieghi che ruolo ha Capuano?». Qualcosa di stravagante era appena successo. L’avv. Capuano aveva scritto alla segreteria di Carlo Messina, l’amministratore delegato del primo istituto italiano, per chiedere un incontro con argomentazioni abbastanza vaghe e motivazioni personali. Siccome l’indirizzo di posta elettronica rimandava alla dicitura di «deputato» e quindi si trattava di una personalità politica, la richiesta fu girata all’ufficio affari istituzionali. Alle prime verifiche telefoniche, Capuano si è presentato come un importante «consulente di Salvini». Non convinti dalle rassicurazioni dell’avvocato e però attenti a non provocare equivoci o frizioni con la Lega, i dirigenti romani di Banca Intesa - sentiti da L’Espresso, non commentano - hanno proseguito le ricerche e hanno appurato che Capuano non avesse alcun rapporto formale con la Lega. Così il colloquio con Messina non s’è tenuto. Non è servito dire «mi manda Salvini». In quali altre occasioni Capuano, che afferma di «assistere diverse ambasciate», cioè di lavorare da libero professionista per governi stranieri, ha utilizzato la relazione con Salvini per i suoi interessi? I leghisti temono in svariate circostanze, con i russi come si è scoperto, con i cinesi, con Intesa e via elencando. Questa vicenda può diventare davvero pericolosa per Salvini. Non soltanto una barzelletta geopolitica. Peggio, molto peggio.

Il livello di allarme è aumentato nelle settimane successive. A gennaio. Alla viglia del voto per il presidente della Repubblica. Quando uno stretto collaboratore di Salvini si precipitò da Giorgetti per confrontarsi sul fenomeno Capuano che aveva piegato qualsiasi gerarchia nel partito. Giorgetti non era molto informato sulla questione, il dialogo con Salvini era intermittente, e dunque si prese un giorno per reperire riscontri più affidabili. L’indomani sentenziò: stare alla larga da Capuano. Giorgetti fu il primo ad avvisare Salvini, e l’ha rivendicato, di non esagerare con le frequentazioni di Savoini e D’Amico, troppo disinvolti con i russi. Per il ministro, insomma, Capuano era un personaggio estraneo alla Lega, un avvocato che dopo la legislatura in Parlamento si era occupato di affari con governi stranieri (il Kuwait, per esempio) e che di certo non era passato inosservato.

Formentini, Banca Intesa, Giorgetti e infine le riunioni con Razov, lo sconcerto di Palazzo Chigi, le crepe profonde nel Carroccio, le battute del presidente veneto Luca Zaia. Niente ha dissuaso Salvini dal rinunciare all’avv. Capuano che ieri si chiamava Savoini e domani avrà un altro nome. Non ci sono ragioni sensate per giustificare l'intervento di Capuano per consentire al segretario di una grande forza di maggioranza di governo di accedere alle ambasciate cinesi o russe. Se non una: Salvini ha un suo partito nel partito. E Capuano è stato un protagonista di un partito parallelo in aperta competizione con l’originale. Il Carroccio e Salvini non si riconoscono più. Si convive male per necessità. Si attende ugualmente armati di acredine l’ordalia delle liste per le politiche del prossimo anno.

 

Era scontato che fosse l’ultima esecuzione del potere di Matteo prima di un congresso o di liturgie somiglianti per liquidarlo neanche cinquantenne. Oggi non più. Un capo che si è autoescluso dal consesso istituzionale, senza ipocrisia, non avrà mai incarichi pubblici di rilievo dopo la doppietta Savoini-Capuano, è un capo che non serve più. Un tempo portava elettori. Oggi Capuano.