Retroscena
Sciolte le camere, al voto il 25 settembre. Al Pd solo un deputato su quattro: le proiezioni da far paura del fronte anti-destra
Tra i dem circolano numeri spaventosi per il centrosinistra. Enrico Letta prova a riorganizzare uno schieramento basato sulla cosiddetta “area Draghi”, allargata al centro e a pezzi di Forza Italia. E fondata sul nome dell’ex capo della Bce. Che però non si candiderà
Il giorno dopo lo sfracello politico parlamentare che ha buttato giù il governo Draghi senza sfiduciarlo, alla Camera più che dei deputati sembrano aggirarsi degli zombie. Mario Draghi s’è dimesso, Giuseppe Conte si dice abbia avuto una crisi di nervi, Luigi Di Maio ha dimostrato una forza parlamentare uguale e contraria alla sua irrilevanza politica, le elezioni sono molto vicine (il 25 setttembre), il campo largo è morto e, nel fronte che a partire dal Pd adesso è chiamato a riorganizzarsi, circola un foglietto con dei numeri che terrorizzano: secondo questi calcoli, basati sulle percentuali attribuite ai sondaggi, nella nuova Camera da 400 eletti, un Pd che va da solo conquisterebbe circa 100/105 seggi, mentre il centrodestra, cioè la lista Lega Forza Italia, i Fratelli d’Italia e i vari cespugli, prenderebbero un centinaio dei seggi uninominali (cioè circa due terzi del totale) e la metà dei seggi del proporzionale. E anzi, proprio sulla base di questi calcoli il centrodestra si sarebbe già spartito i collegi nei giorni passati a villa Grande: nello specifico, in una trattativa ex ante che ha quindi tutti i limiti del caso, Berlusconi avrebbe trattato per sé 45 seggi alla camera, 20 al senato e, in caso di vittoria, la Giustizia e lo Sviluppo economico, per dire.
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Numeri in ogni caso da paura, che traducono in cifre la debolezza dem nell’uninominale, abbastanza diffusa sia al Nord che nel Meridione, escluse insomma le regioni rosse e poco altro. Numeri che raccontano tutta la difficoltà della linea politica impressa in mattinata da Enrico Letta: in mattinata il segretario Dem ha riunito i gruppi nella sala del Mappamondo, per spiegare fra l’altro che il tema delle alleanze è «completamente» cambiato e che nel calcolare le responsabilità nella caduta di draghi non si possono fare distinzioni per gradazioni tra M5S, Fi e Lega.
Letta ha insomma scaricato i grillini (l’ufficialità nella Direzione della prossima settimana), chiarito che una alleanza organica come la si immaginava prima è fuori discussione. «Insomma andremo da soli», è la sintesi autorevole che si fa da più parti.
Una soluzione che, di primo impatto, sembra indebolire il Pd ancora di più: per quanto in discesa, i Cinque stelle hanno ancora forza nei collegi uninominali (nel 2018 avevano fatto il pieno al sud). Rinunciarci, significa rinunciare a vincere? «È l’alternativa del demonio: meglio perdere o meglio perdersi?» sintetizza con una battuta Enrico Borghi in Transatlantico. Il senso è più articolato: "Non bisogna perdere la propria identità, perché solo così si possono vincere le elezioni".
La scommessa di Letta e per la verità dell’intero blocco non di destra, è infatti già chiara: quella di costruire una offerta politica che di fatto coincida con quella che si immagina essere «L’area Draghi». Quella delle forze responsabili, europeiste, che puntano a portare avanti il Pnrr dal punto di vista economico come il governo appena accaduto ma che rispetto ad esse sono maggiormente caratterizzate su quello sociale e dei diritti. Un fronte che naturalmente pronto raccogliere anche i transfughi di Forza Italia, per interposta Azione: già Mariastella Gelmini è pronta a entrare nel partito di Calenda, forse anche Renato Brunetta e potrebbe non essere finita qua.
Del resto, l’intera area centrista dovrà rapidamente trovare una quadra di convivenza, se non vuole finire estinta dalle urne. Da Matteo Renzi a Bruno Tabacci, sono tanti i pretendenti al voto dei ceti produttivi e delle categorie che in questi giorni si sono espresse pro-Draghi.
Le aspirazioni sono alte, l’ordine però è ancora tutto da trovare. A partire da un’aporia evidente: potrà l’area Draghi prendere forma nell’assenza di Draghi? Su quest’ultima, infatti, non sussistono dubbi: una candidatura è da escludere.