L’intervista
«È sbagliato riprodurre il modello che ci ha portati fino a qui, in nome di altre urgenze. Serve il coraggio di scartare in un’altra direzione, di modificare alla radice le cose». Parla la vicepresidente dell’Emilia Romagna
di Gloria Riva
Il rapido scioglimento dei ghiacciai sulle Alpi, il Nord Italia colpito dalla siccità e il Po in secca come non mai. Contemporaneamente l’Istat racconta che la povertà assoluta è triplicata dal 2005 a oggi - sono 5,6 milioni, quasi un italiano su dieci -, e che gli stipendi sono a livelli del 2009, con inflazione e disuguaglianze al galoppo. Se aggiungiamo i rincari energetici che gravano soprattutto sulle tasche dei cittadini più poveri, sembra che sull’Italia si stia abbattendo la tempesta perfetta: crisi climatica, crisi economica, crisi sociale e crisi energetica. Una tempesta che l’Italia affronta con un governo liquefatto.
Elly Schlein, 37 anni, vicepresidente dell’Emilia Romagna, come può la politica presentarsi alla prossima tornata elettorale con una proposta credibile di fronte a questo concentrato di problemi?
«L’errore più grande che potremmo commettere è ritardare ulteriormente la conversione ecologica e riprodurre il modello che ci ha portati fino a qui, in nome di altre urgenze. Queste crisi intrecciate prendono il nome di sindemia: alla crisi economica e finanziaria, che ha cominciato a mordere le caviglie della fascia più povera della popolazione nel 2008, si è aggiunta la pandemia mondiale e una serissima crisi climatica, tutt’altro che imprevedibile, in grado di produrre effetti devastanti sui nostri territori e nelle nostre comunità. Se a ciascuna di queste crisi offriamo risposte plasmate sul modello sociale ed economico convenzionale, allora favoriamo un costante indebolimento della società, sempre più esposta al rischio di subire nuove crisi. Serve il coraggio di scartare in un’altra direzione, di modificare alla radice il modello».
Quello che è stato fatto finora in Italia per contrastare il cambiamento climatico sembra influire negativamente sul mondo del lavoro e aumentare i divari. Il 110 per cento non aiuta chi vive in aree popolari. E la trasformazione energetica rischia di impattare negativamente sulle industrie manifatturiere che hanno poche risorse per la riduzione dell’inquinamento e l’innovazione.
«In queste settimane ci sono famiglie che stanno scegliendo se pagare l’affitto o le bollette. E non stiamo parlando di casi isolati, ma di migliaia di persone che non godono di un adeguato reddito da lavoro. L’innovazione tecnologica e la transizione energetica, se non guidate da politiche redistributive e da una consapevole tutela del lavoro, producono cottimo e sfruttamento ed è qui che manca l’azione politica. Manca la mobilitazione sindacale che negli anni ’60 ha portato allo statuto dei lavoratori, ma da allora il lavoro è profondamente cambiato. Quindi è necessario che la politica favorisca da un lato un moderno statuto dei lavoratori e delle lavoratrici a tutela dei nuovi lavori, dall’altro . la nascita e la crescita di imprese ambientalmente sostenibili e di adeguate professionalità».
Se non sono i cittadini a chiedere questa svolta, difficilmente la politica si muoverà in questa direzione.
«Cinque anni fa, quando sedevo al Parlamento Europeo, eravamo in pochi a sostenere la necessità di un Green Deal che oggi è realtà non è certo perché lo chiedevamo noi, ma perché c’è stata una straordinaria mobilitazione delle nuove generazioni mossesi come un unico movimento capace di scalare l’agenda politica internazionale ed entrare nelle case delle famiglie. Ricordare questo passaggio epocale è fondamentale per capire qual è stata la leva al cambiamento. Perché a partire dal quell’istanza collettiva, da quella maggiore consapevolezza, l’Europa ha varato un Green Deal con un giusto approccio all’urgenza di riduzione dell’impatto ambientale, come per il piano Next Generation Eu, che impegna i governi a usare quelle risorse per ridurre di almeno il 55 per cento l’emissione di gas serra entro il 2030».
Dunque: abbiamo la consapevolezza e le risorse per favorire la creazione di un modello economico e industriale alternativo. È sufficiente?
«No. In Italia continua a mancare una politica capace di guidare la conversione ecologica con adeguate strategie. E manca anche una politica in grado di agire sospinta da una logica redistributiva. Per capirci, se Elettricità Futura, l’associazione del mondo elettrico italiano che fa capo a Confindustria, richiede un sostegno della politica e delle istituzioni al fine di investire 85 miliardi di euro nei prossimi tre anni, così da installare 60 GW di nuovi impianti rinnovabili, creando così 80mila nuovi posti di lavoro, la politica non può non sostenere questo sforzo. La politica italiana deve capire che questo è un processo da puntellare con forza per non subire gli effetti collaterali di una mancata svolta industriale. L’Italia, che è il paese del sole, dell’acqua e del vento, deve sfruttare queste caratteristiche a proprio favore, evitando gli errori commessi in passato. Perché è già successo che agli incentivi economici per la produzione di rinnovabili non sono seguite adeguate politiche industriali di sviluppo della filiera industriale sottostante. Il mancato sostegno allo sviluppo dell’economia verde, che è ad alta intensità di lavoro e offre opportunità professionali competitive, sarebbe un danno enorme per il futuro del paese. Abbiamo bisogno di puntare su settori industriali ad alta produttività, come la produzione di energia verde, ridimensionando quegli ambiti che non offrono altrettanta ricchezza occupazionale. Per farlo è indispensabile favorire la formazione di competenze ecologiche e digitali e la creazione di nuove imprese. Non esistono alibi, perché stavolta abbiamo anche le risorse per farlo, visto che il 37 per cento del denaro stanziato dal Next Generation Eu deve essere destinato alla transizione ecologica e alla coesione sociale».
Secondo lei perché la classe politica esprime ancora così tanta resistenza a un nuovo modello economico basato sulla riduzione dell’impatto ambientale?
Alexander Langer, che era un politico lungimirante, diceva che “la conversione ecologica avverrà quando apparirà socialmente desiderabile”. È quella desiderabilità che la rende accessibile alle fasce più fragili. Qui in Emilia Romagna abbiamo reso gratuito il servizio di trasporto pubblico per i giovani fino ai diciannove anni per favorire la creazione di una cultura propensa all’utilizzo del mezzo di trasporto collettivo. E abbiamo investito 20 milioni di euro per la riqualificazione energetica delle case popolari, non solo per ridurre l’impatto ambientale, ma anche per contenere il costo delle bollette e per offrire dimore più confortevoli. La via è questa: la politica deve agire affinché la transizione ecologica diventi un bene desiderabile».
Resta aperto tutto il tema delle disuguaglianze.
«L’aiuto pubblico a pioggia non riduce le disuguaglianze, che devono essere affrontate dalla politica attraverso un’azione chirurgica: individuando le fasce di popolazione in maggiore difficoltà. Facciamo un esempio: di norma si accede al fondo di sostegno al canone d’affitto fornendo i dati sul redditto, l’Isee, che tuttavia risalgono alla posizione economica famigliare di due anni precedenti. Quindi, chi si trova in cassa integrazione o è uno stagionale a cui non è stato rinnovato il contratto non viene preso in considerazione. Qui in Emilia Romagna grazie a un’innovativa piattaforma digitale potrà fare domanda al nuovo fondo anche chi ha subito un forte calo di reddito nell’ultimo anno. L’altro sistema per ridurre le disuguaglianze è ascoltare il territorio e rispondere alle loro esigenze».
Facile a dirsi, ci faccia un esempio.
«Lo scorso 24 maggio l’Emilia Romagna ha approvato all’unanimità la legge sulle Comunità Energetiche, partita da un lungo lavoro di ascolto delle proposte e delle richieste di categorie economiche, associazioni, ambientalisti e cittadini. L’ascolto ci ha permesso di raggiungere tre obiettivi: mirare a una vera indipendenza energetica per ridurre l’impatto ambientale; puntare a un considerevole risparmio in bolletta per aziende e famiglie; contrastare la povertà energetica così da ridurre le disuguaglianze economiche. Partendo dai suggerimenti della popolazione abbiamo avviato iniziative per informare i cittadini sui temi dell’energia rinnovabile e sulla condivisione dell’energia e formato le professionalità da coinvolgere per la creazione e gestione delle comunità energetiche. I finanziamenti, in tutto oltre 12 milioni, non saranno a pioggia, ma destinati in maggior misura alle comunità energetiche composte da soggetti fragili, enti del terzo settore, alloggi di edilizia residenziale pubblica o sociale, o situate in aree interne o che siano finalizzate alla creazione di progetti di inclusione e solidarietà in collaborazione con gli enti locali».