Analisi

Così la “teledestra” ha spianato la strada ai partiti e ai leader reazionari

di Giandomenico Crapis   17 agosto 2022

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L’allarmismo su immigrazione e sicurezza ha creato l’humus per i sovranisti di casa nostra. E mentre la sinistra (da Santoro a Lerner) scompariva, i format dei Paragone, Del Debbio, Giordano e Porro hanno influenzato pesantemente la nostra politica

Ora che è già cominciata una campagna elettorale che si annuncia al calor bianco viene da chiedersi cosa ne sarà della sinistra (più o meno alleata col centro) orfana di quella che una volta era la sua componente, diciamo, “televisiva”: intendiamo quel mondo di personaggi dello spettacolo e dell’informazione, star e conduttori del piccolo schermo che spesso in passato hanno avuto una funzione quasi di supplenza rispetto al vuoto politico lasciato dalle forze progressiste. Quella “sinistra televisiva” adesso non c’è più: sono scomparsi, da un lato, programmi come quelli condotti da Santoro o da Lerner, vittime della più generale crisi dei talk politici dopo il 2014, ma non sono nemmeno rintracciabili quelle trasmissioni di satira i cui divi, dai fratelli Guzzanti, alla Dandini, dal Chiambretti prima maniera a Paolo Rossi, sono stati pure essi per lunghi anni, a partire dalla fine del secolo scorso, parte essenziale di questa “sinistra del video”. 

 

Il fenomeno, oltre che nelle scelte della Rai, che di questi programmi era stata la fucina (come non ricordare il compianto Angelo Guglielmi), trova magari una spiegazione nel tramonto definitivo di Berlusconi, che per vent’anni ha alimentato le performance di conduttori e comici. E tra questi ultimi rappresenta davvero un caso quello di Benigni, che fu l’irrinunciabile punto di riferimento dell’antiberlusconismo d’antan, ma che con l’avvento del nuovo secolo ha finito per abbandonare completamente i tratti politici irriverenti, “maleducati” e sovversivi della sua comicità, che lo avevano consacrato vero idolo delle folle progressiste.

 

Oggi, insomma, la “sinistra televisiva” appare difficilmente reperibile, salvo qualche evanescente epigono in alcuni dei salotti tv, vedi Berlinguer e Formigli o a volte Gruber e Floris. E a far satira resta solo Crozza. Quel che è scomparso del tutto, però, è il ruolo mobilitante che un tempo fu dei talk politici o dei programmi comici, un declino cui ha corrisposto l’emergere, dopo il 2015, di una “destra del video” sempre più agguerrita e strillante con i suoi divi e i suoi conduttori (Paragone, Del Debbio, Giordano, Porro). Una neonata “destra televisiva” che in alcuni casi ha riesumato, avvalendosi non di rado di fasulle messe in scena, i modelli di rappresentazione della tv militante degli anni ’90: i collegamenti esterni, la piazza, la gente.

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Ma più che dare la parola alla gente, questa la differenza, essa ha amplificato le parole d’ordine delle forze conservatrici e reazionarie del Paese, accentuando spesso le componenti teatrali o addirittura buffonesche della rappresentazione mediatica della politica.

 

Il percorso di avvicinamento della destra al video in cerca di propri conduttori non è stato semplice: lo dimostrò la fallimentare esperienza di Socci, chiamato con Excalibur in Rai a sostituire nel 2002 Santoro dopo la cacciata, programma meteora interrotto dopo alcune puntate. Né su Mediaset, dopo il blitz propagandistico elettorale del ’94, si erano consolidate qualificate esperienze di giornalismo partizan destrorso: quasi un’incapacità ad esprimere professionalità autorevoli e autonome, come accadeva invece per l’altra parte politica.

 

Questo almeno fino a tutto il primo decennio dei Duemila, al termine del quale qualcosa si muove, a cominciare da Gianluigi Paragone, che dà vita a L’Ultima parola dal 2010 su Rai2 con percentuali d’ascolto anche del 15 per cento. Il giornalista replicava a La7 l’esperienza (ma non gli ascolti) con La Gabbia, per poi nel 2018, fulminato dal grillismo, diventare senatore del Movimento 5 stelle. Accanto a Paragone sono comparsi via via altri conduttori come Porro, già vice del Giornale, (In Onda, La7, 2011; Virus, Rai2, 2013; Matrix, Canale 5, 2016).

 

Oggi Porro conduce Quarta Repubblica su Rete4, la rete berlusconiana che più di altre ha ampliato l’offerta informativa arruolando anche altri giornalisti tra i quali, ai fini del nostro discorso, soprattutto Giordano e Del Debbio, che oggi, il primo con Fuori dal coro, il secondo con Dritto e Rovescio e prima con Quinta colonna, costituiscono il cuore di questa “destra televisiva”, che ha puntato sempre con insistenza sui temi di immigrazione e sicurezza, almeno prima del Covid-19 e della guerra; regalando inoltre (si guardino i dati Agcom) un quasi monopolio di spazio e di parola a Salvini e Meloni, vere superstar dei loro programmi.

 

L’impostazione antipolitica e la rilevanza riservata ai contenuti filoleghisti creavano sì qualche fugace imbarazzo alla stessa Mediaset e all’entourage berlusconiano dopo il risultato elettorale del 2018 (del resto il balzo in avanti della Lega di oltre 10 punti e il tracollo di Forza Italia forse qualche rapporto con questo tipo di informazione ce l’avevano), ma il tentativo di rinnovare il giornalismo di Rete4 all’indomani del voto, sostituendo Giordano e Del Debbio durava davvero poco. Tanto che i due rientravano più belli e più forti che pria, sempre assecondando supinamente gli argomenti cari alle destre, senza mai un distinguo, una critica, un giudizio contrastante.

 

A volere fare un paragone potremmo dire che la sicurezza e l’immigrazione stanno ai programmi di questa giovane “destra televisiva” come il Sud, la mafia o la corruzione stavano a quelli di Santoro e Lerner: ne hanno in fondo sostanziato l’humus mediatico che ha fatto da fertilizzante alla destra sovranista. Con la differenza, però, che mentre il giornalista salernitano portava sulla scena delle sue trasmissioni realtà del Mezzogiorno e del Paese nascoste o sottorappresentate nei media rispetto alla loro rilevanza, i programmi della “teledestra” hanno fatto l’esatto contrario, sovra-rappresentando una realtà di furti e delitti, più o meno legati all’immigrazione, del tutto sproporzionata rispetto all’incidenza vera dei fatti.

 

Nata dunque con vent’anni di ritardo rispetto alla “sinistra televisiva”, la “teledestra” si presenta dunque però molto meno dotata di capacità di argomentazione critica e di autonomia dalle forze di riferimento, le cui issues supporta, ricostruisce e rappresenta in maniera del tutto subalterna. Mentre la prima si era caratterizzata spesso come una spina nel fianco per la parte politica ad essa più vicina, pungolo critico capace di scatenare polemiche e conflitti anche feroci con la sinistra, la nuova “destra del video” non si arroga mai questo ruolo: piuttosto si accontenta di fare da megafono, da vero e proprio house organ, al centrodestra e ai suoi leader. Anche per questi aspetti potremmo concludere che se la Rai si è caratterizzata storicamente per la lottizzazione tra i partiti, viceversa Mediaset è sembrata nel tempo, tranne alcune pur presenti eccezioni, un inattaccabile latifondo nella piena disponibilità della destra.

 

P.S.: la vedremo presto all’opera, questa “destra del video”, in campagna elettorale e nonostante la par condicio. La tecnica è sempre quella: ai leader della destra che spadroneggiano contrapporre qualche giornalista non omogeneo o qualche politico di seconda linea dello schieramento avverso, così fingendo di pareggiare i conti.