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C’era una volta l’Anac: come la politica ha messo all’angolo il guardiano della trasparenza
Mal sopportata dagli ultimi quattro governi, svuotata di poteri, colonizzata dai partiti. L’Autorità nazionale Anticorruzione ha perso il ruolo forte di vigilante dei contratti pubblici conquistato ai tempi di Raffaele Cantone
Al quarto governo di fila che si mette d’impegno per disintegrarla, è giunta l’ora di porre una domanda: che fine ha fatto l’Autorità nazionale Anticorruzione? Perché l’Anac non c’è più. Adesso assomiglia di nuovo alla sonnecchiosa Autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici che nel 2014 Raffaele Cantone aveva trasformato in cane da guardia degli appalti e della trasparenza.
Ultimo segnale, il codice dei contratti pubblici. L’Anac non tocca palla: il testo è confezionato in esclusiva dal Consiglio di Stato. E a Giuseppe Busia, il presidente che nel settembre 2020 ha sostituito Cantone, non rimane altro che protestare flebilmente — a un convegno dell’Ance — contro i soprusi: «L’eliminazione di controlli con l’uso indiscriminato dell’in-house, l’innalzamento della soglia degli appalti a 500 mila euro, la soppressione delle verifiche sul conflitto d’interessi…», elenca. Ma è come abbaiare alla Luna.
Sulla carta l’Anac conserva pur sempre poteri consistenti. Sono però quelli tipici della defunta authority da cui è nata. È sparito, invece, per dirne una, quello di impartire le tanto discusse «linee guida» degli appalti pubblici. Per non parlare di certe oscenità spuntate nel testo con la scusa della semplificazione, come la possibilità di evitare moltissime gare con assegnamenti diretti o stratagemmi simili: lo scoglio di una authority dotata di robusta spina dorsale sarebbe stato insormontabile.
La storia del codice segue quella di un decreto dell’ex ministro Renato Brunetta, mai entusiasta dell’Anac, che alleggerisce il suo ruolo nei piani delle pubbliche amministrazioni contro la corruzione. E nel frattempo ha pure successo un ricorso del sindacato di destra Ugl che demolisce la riforma dell’authority pensata da Cantone.
Lo stillicidio prosegue senza opposizioni, anche perché l’autorevolezza dell’Anac è ormai roba del passato. Parla chiaro il profilo della nuova commissione, ma non sono estranei alcuni fatti. Tipo la nomina a segretario generale di un dirigente di Palazzo Chigi, Renato Catalano, presidente della Consip in scadenza. Peccato che la Consip sia la centrale degli acquisti dello Stato. Dunque vigilata dall’Anac, che non le ha nemmeno risparmiato pesanti rilievi sulla gestione delle aste. La nomina è ritenuta non incompatibile perché alla Consip il presidente non ha deleghe gestionali. Giustificazione incredibile, la quale rafforza il sospetto che il problema fosse solo quello di dare un altro incarico, qualsiasi, a Catalano. Il quale, peraltro, ha già mollato: al suo posto Maurizio Ivagnes, dirigente interno dall’epoca precedente alla rivoluzione di Cantone.
Lo scivolone segue l’imbarazzante infortunio della scelta del portavoce, caduta a gennaio 2021 sul giornalista Francesco Paravati, incidentalmente genero dell’ex governatore calabrese Agazio Loiero. Salvo poi scoprire, solo dopo averne ufficializzato la nomina, che gli manca un requisito previsto dal bando. Con il risultato che Paravati si dimette dopo appena dieci giorni.
Cantone lascia nel 2019, in anticipo di qualche mese sulla scadenza del mandato da presidente. C’è il governo gialloverde. «Sento che un ciclo si è definitivamente concluso, anche per il manifestarsi di un diverso approccio culturale nei confronti dell’Anac e del suo ruolo», mette a verbale. Traduzione: è chiaro che vi stiamo sullo stomaco, quindi tolgo il disturbo. Nel Palazzo pochi sono costernati. Cantone ha troppo potere, troppa influenza, troppa indipendenza. Sistema gli appalti dell’Expo 2015, facendo risparmiare mezzo miliardo. Commissaria il Mose. Fa risarcire le vittime dei crac bancari. Per ogni problema si bussa alla sua porta. E poi, perfino ricevuto alla Casa Bianca da Barack Obama. Scherziamo?
La verità è che la sua authority va di traverso a tutti. Da subito. Perfino chi l’ha istituita prova a toglierle i soldi, senza successo. Finché arriva il Nuovo che avanza. E si fa dura. Per nove mesi in attesa del repulisti tengono l’Anac a bagnomaria. Poi scatta la restaurazione partitica. Giuseppe Conte adesso governa con il Pd. Ed ecco Laura Valli, funzionaria della Banca Mondiale in quota grillina. Ecco Luca Forteleoni, magistrato sponsorizzato dal suo collega e deputato di Italia Viva, Cosimo Ferri. Ecco l’avvocata Consuelo del Balzo, collaboratrice del sito meloniano La Voce del Patriota. Ecco l’avvocato Paolo Giacomazzo, che ha lavorato con il legale principe di Silvio Berlusconi, Niccolò Ghedini.
Ecco infine il presidente Busia, amico del premier: Conte vorrebbe farlo segretario generale di Palazzo Chigi; poi addirittura sottosegretario alla presidenza. Ma ogni volta il nome di Busia viene bloccato. All’Anac, però, non trova opposizione. Anzi. Il Pd accetta di buon grado, come fosse uno dei suoi, anche perché ha sempre orbitato nell’area della Margherita. Fa il segretario generale della Privacy con l’ex deputato Antonello Soro. Ma l’ha fatto anche nell’Autorità sugli appalti, prima dell’arrivo di Cantone. E finalmente si volta pagina, per la tranquillità del Palazzo.
P.s. Siamo ancora in attesa del regolamento sulla pubblicazione dei patrimoni dei dirigenti pubblici (cui Busia è allergico). Da quattro anni.