Parlateci di Bibbiano
È colpa di Ponzio Pilato: il Pd e il caso Dino Giarrusso
Cosa dice dei dem che verrà l’autogol di Stefano Bonaccini, nella kermesse di Milano che doveva consacrare il candidato favorito alle primarie e che ha finito per aggrovigliarsi sull’ex grillino
È colpa di Giarrusso. È colpa di Benifei. È colpa di un senatore. È colpa della scaletta. È colpa del responsabile della scaletta. È colpa del microfono. È colpa di Ponzio Pilato. Era da tempo che nel Pd non si vedeva una così fantasiosa caccia al colpevole, scatenata d'altra parte da uno scivolone mediatico clamoroso come non se ne vedevano da tempo: la arraffazzonata adesione al Pd (con rampogna incorporata) da parte della ex Iena, europarlamentare eletto coi M5S, Dino Giarrusso, che sabato dai microfoni della Convention milanese di Stefano Bonaccini ha annunciato il suo ingresso nel partito di via del Nazareno, dominando di lì in poi tragicamente la scena dell'intera due giorni dove, in assenza di altre notizie di spicco, la sua mossa ha fatto da padrona sulle cronache. Con valanghe di critiche e indignazioni, sia del gruppo dirigente, sia soprattutto degli elettori dem, incarnati tutti da Alessandro Gassman. L’attore, parlando di un partito «cavallo di Troia» continuamente «riempito di individui che non sono richiesti», ha proclamato su Twitter: «Non vi voto mai più». Con Bonaccini che ha aspettato ben 24 ore prima di prendere le distanze dall'ex Iena, peraltro richiedendo delle preliminari «scuse» di Giarrusso per le «ferite» inferte, parole che suonano a loro volta abbastanza stonate in un contesto che è politico assai più che personale.
Una faccenda fantozziana, dall'inizio alla fine. Non si sa nemmeno, per dire, se Giarrusso possa iscriversi davvero: la commissione congresso del Pd sta valutando se sia ammissibile la richiesta da parte di un soggetto che abbia dato vita nei mesi scorsi a un movimento con il sindaco di Messina Cateno de Luca, vigendo nello statuto del partito il divieto di doppia tessera. Ma la questione burocratica sarebbe il meno. Il problema è politico.
Anzi, politico-mediatico. L'ultimo individuato, nella serie dei possibili colpevoli del misfatto, è infatti Andrea Rossi, uomo macchina del governatore emiliano-romagnolo, organizzatore della festa dell'Unità di Villalunga, quella regionale che ogni anno apre la stagione e fa concorrenza alle maggiori. Il che è come guardare il dito che indica la luna. Da più parti nel Pd dicono infatti chiaramente che il responsabile di tutto è alla fine proprio Stefano Bonaccini. Colui che i retroscena più compiacenti indicano come «esterrefatto» o «preso alla sprovvista» dall'uscita di Giarrusso, il quale secondo gli asseriti accordi sarebbe dovuto andare sul palco del Talent Garden di Milano a parlare di comunicazione e che invece ha esondato aderendo al Pd in maniera scomposta.
Ora: non si sa se sia peggio un politico che non sappia tenere le briglie della scaletta degli interventi, oppure un politico che non sappia calcolare l'effetto sugli elettori di una certa adesione. Bonaccini ha scelto - come si evince dalle ricostruzioni – di accreditare la prima ipotesi (non sapevo), ma gli cade addosso anche la seconda (non immaginavo).
Come è potuto accadere, in ogni caso, un tale iato tra le intenzioni e l’effetto ottenuto? Ricordano da più parti al Nazareno che Giarrusso s'era già affacciato una volta a una iniziativa di Bonaccini. Fu al Teatro Vascello, a Roma prima di Natale, il pomeriggio in cui il governatore ufficializzò il ticket con Pina Picierno. Anche lì c'era Giarrusso, ai cronisti disse stava là «per ascoltare» e la faccenda non scandalizzò nessuno, né opinione pubblica, né giornali. Deve essere dopo questa specie di prova generale, di apparente via libera mediatico, che Bonaccini - molto aperto a tutti gli apporti come si è visto in queste settimane - ha dato il placet per il Talent Garden dove però la mezza notizia che un mese prima era passata sotto silenzio è infine esplosa: e i molti apporti sono apparsi troppi, e il suo Pd (non solo a Gassman) una specie di Cavallo di Troia. Certo poi la kermesse di Milano era, dice Bonaccini, «una due giorni molto bella», peccato non se ne sia saputo altro.