Assalto al sottogoverno
Alfredo Maria Becchetti, il notaio-manager leghista tra Ponte sullo Stretto e la fondazione forziere di Fratelli d'Italia
Non eletto all'ultima tornata, ora è presidente di Infratel, società di Invitalia che per il governo si occupa di banda larga. Ma il suo carnet professionale è pieno di aziende pubbliche, tra cui anche quella per la costruzione dell'infrastruttura tanto cara a Salvini
Alfredo Maria Becchetti ce l’ha fatta, alla fine. Ha avuto la sospirata nomina al vertice di un’azienda pubblica il 18 ottobre, quando chissà se ci sperava ancora. Mai, però, dire mai. Trascorso più di un anno dalle elezioni del 25 settembre 2022 che l’avevano visto candidato con la Lega di Matteo Salvini alla Camera, ma senza successo, eccolo presidente di Infratel. È una società di Invitalia che per conto del governo si occupa della banda ultralarga. E perché non si dica che nella maggioranza ci sono figli e figliastri, nel consiglio di amministrazione si è trovato posto anche per un altro sfortunato candidato alle ultime politiche, ma di Forza Italia. Si chiama Gregorio Fontana ed è il responsabile dell’organizzazione del partito. Poteva forse ritenersi appagato dalle cinque legislature già passate in Parlamento. Ma il risarcimento a lui, bergamasco doc candidato in Veneto dov’è stato trombato, evidentemente era dovuto. Uno strapuntino romano.
Niente però in confronto a Becchetti. Salvini gli aveva promesso ben altro indennizzo dopo la sconfitta alle urne. Ovvero, la nomina a commissario dell’Inail. Poi però per quel succulento incarico l’ha spuntata Fabrizio D’Ascenzo: sponsorizzato, ha scritto la Repubblica, nientemeno che da sua cognatezza Francesco Lollobrigida, ministro della Sovranità alimentare. Ubi maior…
E dire che Becchetti non è nemmeno l’ultimo arrivato, nella Lega. È stato coordinatore del partito a Roma. Un ruolo di responsabilità che in prossimità della candidatura alle Politiche del 2022 ha lasciato a un altro funzionario salviniano: Davide Bordoni, che fra l’altro la poltrona al vertice di un’azienda pubblica l’ha avuta prima di lui. A settembre il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, vicesegretario federale della Lega, l’ha nominato amministratore unico di Ram, acronimo che sta per Rete autostrade mediterranee. A dimostrazione del fatto che per l’occupazione delle aziende pubbliche, anche se inspiegabilmente mantenute in vita come in questo caso, la destra oggi al potere usa il bombardamento a tappeto. Senza il minimo ritegno.
Nel caso di Becchetti, per di più, un occhio di riguardo non poteva che essere doveroso. Di mestiere fa il notaio. Non fosse stato trombato alle elezioni sarebbe stato il secondo notaio in Parlamento. Ce n’è infatti soltanto uno, alla Camera: Alfonso Colucci, del Movimento 5 stelle. Mosche bianche, i notai onorevoli. Almeno in confronto con altre categorie professionali. Ma i precedenti non mancano. Il più illustre è proprio il papà di Alfredo Maria Becchetti e di suo fratello minore (anch’egli notaio ma meno famoso) Enzo. Scomparso prematuramente nel 2016, il notaio Paolo Becchetti era entrato alla Camera nel 1994 con il Ccd, traslocando però seduta stante a Forza Italia, garantendosi una seconda legislatura.
Notaio politico il padre, notaio politico il figlio. Che a 55 anni, oltre al pedigree di giudice sportivo della Federcalcio, ha il carnet professionale pieno di aziende pubbliche. Dall’Inps alle Poste, planando anche sul dossier che sta oggi più a cuore al segretario del suo partito. La revoca della liquidazione della società Stretto di Messina, operazione che consentirebbe all’operazione Ponte fra Scilla e Cariddi di ripartire a razzo come vorrebbe Salvini, è stata certificata il 6 giugno dal notaio Becchetti. Ma siccome la Fondazione Alleanza nazionale, forziere di Fratelli d’Italia, è nata nel 2011 con rogito del medesimo notaio, a Becchetti Alfredo Maria non dovrebbe mancare neppure un ringraziamento da Giorgia Meloni. O no?