Fogne da costruire, elettricità da allacciare, aree da disboscare. E poi milioni per il personale, per i servizi, per i viaggi. I numeri della relazione tecnica della Ragioneria dello Stato, che l'Espresso ha consultato in anteprima, mostrano l'assurdità economica, oltre che umana, del patto tra Giorgia Meloni ed Edi Rama

Per scoprire cosa c’è davvero dentro il patto, chiamato protocollo d’intesa, fra la presidente italiana Giorgia Meloni e il collega albanese Edi Rama per spedire in Albania una manciata di migranti, 700 in partenza e 3.000 a regime, bisogna leggere la relazione tecnica firmata da Biagio Mazzotta, il capo della Ragioneria Generale dello Stato. È un documento complesso firmato ieri sera dopo una altrettanto complessa analisi dei costi.

 

Non il denaro, non le bizzarrie, non la politica, ma le condizioni di questi luoghi selvaggi e remoti di Albania sono il primo tema: «L’intera zona non è dotata di fogna pubblica. Per lo scarico delle acque nere è necessario realizzare un serbatoio di accumulo di idonea capacità da svuotare periodicamente con autospurgo o, in alternativa, è necessario realizzare un depuratore». Questo è il sito portuale di Shengjin, 70 km a nord di Tirana, che deve comprendere l’ufficio di sanità marittima e di frontiera. È la porta di accesso per l’Italia in territorio straniero, e non europeo, per i migranti salvati in mare, non donne, non bambini, non fragili, uomini però.

 

 

«L’area è allacciabile alla rete elettrica pubblica a media tensione tramite cavi aerei. Poiché sono frequenti i casi di blackout – si apprende dal documento – è necessario dotare l’area di gruppi elettrogeni per alimentare l’illuminazione esterna e di gruppi di continuità per computer e server. È fornito di acqua potabile estratta da pozzo artesiano con pompa sommersa. La portata e la pressione dell’acqua potabile non sono sufficienti per alimentare l’intero centro. Occorre prevedere serbatoi di accumulo con autoclave. L’intera area non è urbanizzata, è necessario procedere a opere di sbancamento con taglio di alberi e arbusti con rimozione di radici, ceppaie e simili, demolizione dei ruderi esistenti e livellamento, oltre alla realizzazione di pavimentazione e viabilità, sia di accesso all’area che interna alla stessa». Questo è Gjader, una ex base militare, qui è previsto il Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di 70.000 metri quadri, qui devono soggiornare per un tempo indefinito i migranti identificati a Shengjin. Neppure qui ci sono le fogne.

 

I dieci Cpr su suolo italiano sono costati 52 milioni di euro in quattro anni, trasformare Shengjin e soprattutto Gjader in enclave italiane ne costa almeno cinque volte tanto per i prossimi cinque anni. Il protocollo sottoscritto da Italia e Albania vale 230 milioni di euro. In più ci sono altri 75 milioni per esportare e collegare il sistema giudiziario italiano con l’Albania. Il conto totale è ben oltre i 300 milioni. Questi i dettagli. Soltanto per allestire il Cpr di Gjader servono 28 milioni. E altri 31 milioni per la gestione di Shendjin e del medesimo Gjader: «Euro 4.400.700 per l’anno 2024, euro 6.556.200 annui per ciascuno degli anni 2025 e 2028», annota il ministero del Tesoro.

 

La voce di spesa più cospicua – sopra i 100 milioni di euro – riguarda l’essenza del protocollo, cioè che un pezzo di Italia venga delocalizzato in Albania: «Il paragrafo 3 prevede che i migranti possano entrare nel territorio albanese al solo fine di effettuare le procedure di frontiera o di rimpatrio previste dalla normativa italiana e che le autorità italiane debbano trasferirli al di fuori del territorio albanese nel caso in cui venga meno il titolo della permanenza nelle strutture. La disposizione comporta maggiori esigenze in termini di mezzi e di equipaggiamenti del Dipartimento di pubblica sicurezza, come di seguito quantificati: motorizzazione euro 6,4 milioni per l’anno 2024; equipaggiamento e casermaggio: euro 300.000 per l’anno 2024; telematica: euro 1,5 milioni per l’anno 2024 (conto corrente) e 900.000 annui per l’anno 2024 (conto capitale); noli di navi: euro 15 milioni per l’anno 2024 ed euro 20 milioni per ciascuno degli anni dal 2025 al 2028».

 

 

Inoltre utilizzare in Albania personale dei ministeri Interno, Giustizia, Salute, fra viaggi, diarie, vitto e alloggio, richiede fondi per altri 57,7 milioni di euro. Il disegno di legge, approvato la scorsa settimana in Consiglio dei ministri, ratifica il protocollo ed esplicita la parte «giustizia» (altri “oneri” per circa 75 milioni). Qualche esempio. «L’istituzione di nuove sezioni della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Roma per far fronte alle nuove domande di protezione internazionale derivanti dall’attuazione del Protocollo. Per tali finalità sono previsti i seguenti maggiori oneri: servizio di interpretariato 1 milione per l’anno 2024 e 1,5 milioni annui per ciascuno degli anni dal 2025 al 2028 (parte corrente); gettoni di presenza: 1 milione per l’anno 2024 e 1,5 milioni annui per ciascuno degli anni dal 2025 al 2028 (parte corrente); costi di gestione dei nuovi collegi: 570.000 euro per l’anno 2024 e 850.000 euro annui per ciascuno degli anni dal 2025 al 2028 (parte corrente)». Moltiplicato per cinque anni, fa 18 milioni.

E ancora. «Si evidenzia la quantificazione in via prudenziale relativa alla spesa complessiva per le trasferte (spese di soggiorno e di viaggio) dei soggetti coinvolti nelle procedure di convalida e di ricorso (avvocati e interpreti) nell’ambito del patrocinio a spese dello Stato che risulta pari 2.160.000 per ciascuna procedura, per un totale di euro 4.320.000 all’anno». Moltiplicato per cinque anni, fa 19,4 milioni di euro. 

Si potrebbe continuare per pagine e pagine – e il prossimo numero dell’Espresso avrà un intero servizio dedicato al patto con l’Albania e ai suoi svariati lati oscuri – ma è già abbastanza per definire economicamente dubbia e umanamente peggio questa iniziativa del governo Meloni. Tant’è che pure la Corte costituzionale albanese s’è presa tre mesi per esaminare i ricorsi delle opposizioni. Quanto ne bastano pochi, di minuti, per trasecolare dinanzi alla relazione tecnica della Ragioneria Generale dello Stato.