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Quando L'Espresso con un disco scagionò Toni Negri

di Leopoldo Fabiani   18 dicembre 2023

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Il filosofo morto di recente fu condannato per violenze politiche. Ma fu anche accusato, con un giornalista de L'Espresso, di far parte delle Brigate Rosse e di aver partecipato al sequestro Moro. E il settimanale reagì con un'iniziativa clamorosa

Quel piccolo vinile morbido è un pezzo di storia d'Italia. Dove si intrecciano in modo quasi inestricabile politica, attività giudiziaria e giornalismo. Il disco fu allegato a L’Espresso nel numero del 27 gennaio 1980 (300.000 copie vendute, più o meno). L'iniziativa del direttore Livio Zanetti, che rischiò guai giudiziari seri, fu dirompente e suscitò un clamore forsennato. In pratica in edicola con il giornale c'era, quasi in tempo reale, la prova che i magistrati alla testa dell'inchiesta più importante del momento avevano preso un enorme abbaglio. Avevano accusato Toni Negri e Giuseppe (Pino) Nicotri di aver partecipato al sequestro Moro e di aver avuto il ruolo di “telefonisti” delle Br. Gli autori delle due telefonate in questione sono invece i brigatisti Mario Moretti (che scambia Eleonora Moro per la figlia e le chiede l'intervento “immediato e chiarificatore“ di Zaccagnini) e Valerio Morucci (che comunica all'assistente di Moro Franco Tritto dove si trova il corpo del Presidente).

Le loro voci sono messe a confronto nel disco con quelle di Negri e Nicotri. Toni Negri (scomparso di recente), studioso di filosofia di rinomanza internazionale, teorico dell'insurrezione, era all’epoca leader riconosciuto dell’area dell’Autonomia, dopo esserlo stato di Potere Operaio. Pino Nicotri era invece un giornalista dell'Espresso che da Padova aveva seguito (con Mario Scialoja) tutta la pista nera di Piazza Fontana e poi, sempre con pezzi molto informati, l'Autonomia veneta. Venne arrestato il 7 aprile 1979 dal giudice padovano Guido Calogero insieme ai capi di quel movimento, Negri, Vesce, Ferrari Bravo e altri. Tra le altre accuse, violenze, rapine, banda armata, c’era anche quella di avere diretto “l'organizzazione denominata Brigate Rosse“.

 

Agli autonomi si imputavano così non solo i reati commessi “in proprio“, ma anche quelli delle Br. Il “7 aprile” divenne subito un caso nazionale, che spaccò l’opinione pubblica. L’inchiesta suscitò dubbi e critiche anche fra coloro che non avevano alcuna indulgenza verso l terroristi e la violenza politica, se non altro perché si sapeva che Autonomia e Br erano organizzazione separate se non addirittura in concorrenza. Poiché i brigatisti avevano sequestrato e poi ucciso Aldo Moro a Roma l'inchiesta passò nella capitale. E arrivò l’accusa inverosimile che Negri e Nicotri fossero i telefonisti delle Br (Nicotri fu scarcerato dopo tre mesi, anche perché fu dimostrato che era a Padova il giorno della telefonata, partita da un telefono di Roma). 

 

Dal momento che le voci dei telefonisti e quelle degli accusati sono tra loro chiaramente incompatibili, L’Espresso ebbe l'Idea di farle sentire a tutto il Paese ("fate voi la perizia fonica“). Il primo obiettivo era scagionare il proprio giornalista, ma scompigliare il “teorema Calogero“ secondo il quale Autonomia e Br erano la stessa cosa, non dispiaceva affatto.

 

In quegli anni La Repubblica di Eugenio Scalfari, il quotidiano “cugino“ del settimanale aveva appoggiato la linea dura del Pci sul terrorismo e la scelta della fermezza sul caso Moro. Zanetti, più sensibile alle posizioni socialiste e radicali, aveva una linea parecchio più sfumata e attenta alle garanzie per gli imputati. Naturalmente le accuse di filoterrorismo fioccavano, da destra e da sinistra, le polemiche erano roventi, il clima molto pesante. Ma la linea non cambiava. Altri tempi.