Inchiesta

Dopo gli scandali su Marocco e Qatar, il “parlamentare diplomatico” fa paura

di Carlo Tecce   25 maggio 2023

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Le inchieste in Europa sulle influenze straniere costringono Camera e Senato, su iniziativa di Pierferdinando Casini, a una stretta: bloccare i troppi intergruppi informali con i Paesi stranieri che possono essere usati per ingerenze (se non peggio)

Le scorpacciate di diplomazia fanno male. I parlamentari italiani ne sono ghiotti. A tanti piacciono le penisole, preferibile quella del Golfo. Altri marcano tignosi la Cina. I più scafati si contendono il genere classico, Francia, Spagna, Germania, Stati Uniti e soprattutto Israele. Però i più lungimiranti si accapigliano per Azerbaijan, Marocco, Algeria. La quota esotica è soddisfatta da Islanda, Caraibi, Asia orientale, Isole oceaniche. Pure l’India è strattonata. Ci sono incontri pubblici e anche riservati, viaggi di gruppo, scambi culturali, proposte di legge, stipule di convenzioni, seminari, dibattiti e visite. La diplomazia è un dubbio irrisolto fra occasione e pericolo, vantaggi e interferenze, e peggio ancora.

Le inchieste su corruzione e ingerenze al Parlamento Europeo - lo scandalo che ha coinvolto il Marocco e il Qatar - hanno indotto le istituzioni italiane, Camera, Senato e non solo, a limitare con discrezione ai parlamentari la libera interpretazione della diplomazia. Deputati e senatori hanno due modi per esercitare la cosiddetta «diplomazia parlamentare».

Il primo modo è definito spontaneo (con malizia, a volte spintaneo) e consiste in gruppi informali di amicizia con Parlamenti/ambasciate straniere. Questi gruppi informali di amicizia, spontanei o spintanei che siano, rivendicano l’assoluta libertà di associazione, che è spesso un alibi per negare qualsiasi trasparenza.

Il secondo modo è sfruttare un organismo riconosciuto e universale, che ha origini antiche di un secolo e mezzo. In sigla si chiama Uip, cioè Unione Interparlamentare. Il presidente mondiale è un portoghese, il socialista Duarte Pacheco. Il presidente italiano è il senatore Pier Ferdinando Casini, rieletto all’unanimità dai colleghi per la nuova legislatura, già presidente onorario perché ha svolto un mandato, unico di tre anni, non ripetibile, di presidente mondiale.

La Uip ha sezioni bilaterali di amicizia con un deputato o un senatore al vertice. Ha un fondo equamente diviso fra palazzo Madama e Montecitorio di circa 350.000 euro per l’adesione alle plenarie (assemblee) e per le spese fisse di gestione. Alimenta relazioni abbastanza codificate, più o meno protette. I viaggi con denaro pubblico, per esempio, sono singolarmente approvati dal Comitato di Presidenza di Uip. Per la forma, non sono di certo gite. In più di una occasione Casini, che sta per celebrare i quarant’anni da parlamentare e ne ha viste di Repubbliche (e reputazioni) cadere e che ha percepito la portata devastante delle indagini in Europa, ha suggerito ai colleghi bisognosi e appassionati di contatti internazionali di non avventurarsi in gruppi, gruppetti o grupponi dai connotati non istituzionali, ma di sfruttare il circuito convenzionale di Uip.

E per essere più ascoltato, e per scoraggiare dunque, Casini ha coinvolto i presidenti Lorenzo Fontana (Camera) e Ignazio La Russa (Senato) e negli archivi si è addirittura recuperata e ostentata una lettera del ’97 di Luciano Violante, all’epoca quarta carica dello Stato insellata a Montecitorio da un Parlamento di centrosinistra. Ecumenico. Questo periodo altamente inquieto, per la guerra in Ucraina e le sue conseguenze (inflazione, energia, alleanze), espone l’Italia a ogni tipo di aggressione esterna, ancora di più quella diplomatica, felpata e insidiosa.

L’esigenza italiana di far incetta di metano altrove per sottrarsi al ricatto di Mosca, l’aggressore degli ucraini, ha spinto i governi - al plurale, Mario Draghi e Giorgia Meloni - ad aumentare le forniture da Paesi che calpestano i diritti civili, come le monarchie assolute di Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti. I sauditi peraltro sono in forte espansione, in pieno periodo «rinascimentale», e sono favoriti per l’Expo 2030 che vede Roma candidata. Per Amnesty International, lo scorso anno, il regime di Riad ha ordinato 196 impiccagioni. Lo sgomento dei parlamentari italiani probabilmente è vissuto intimamente. Fuori, c’è grande euforia. Soltanto nelle ultime settimane si sono tenuti due eventi: il Saudi Italian Business Forum a Milano, a porte aperte e una tavola rotonda a Roma, a porte chiuse, dedicata ai parlamentari con l’ambasciatore Saud Al-Sati. La dipendenza energetica attenua le denunce morali. Ne sono consapevoli gli azeri, che promettono di raddoppiare il gasdotto Tap che sbarca sulle coste del Salento e che però, come ha dimostrato L’Espresso segnalando i colloqui dell’ambasciatore di Baku prima di un’audizione alla Camera, non tollerano intromissioni in vicende interne come la crisi umanitaria nel Nagorno Karabakh. Il senatore Marco Scurria di Fratelli d’Italia, che presiede il gruppo ufficiale di amicizia con l’Azerbaijan, è appena tornato da Baku, assieme a Ettore Rosato di Italia Viva e Giulio Terzi di Sant’Agata sempre di Fdi, per festeggiare il centesimo anniversario della nascita di Heydar Aliev, che ha governato per dieci anni dal ’93 e alla morte, dopo contestate elezioni, gli è succeduto il figlio Ilham che tuttora governa: «La nostra missione in Azerbaijan è finalizzata al potenziamento del partenariato strategico. C’è un grande entusiasmo, fondamentale per una concreta cooperazione», ha commentato Scurria.

La Uip ha costituto 86 sezioni bilaterali, una cifra ancora provvisoria, al momento inferiore di una decina rispetto alla precedente legislatura, ma va ricordato che i parlamentari sono 600 e non più 945. Casini ha contenuto i rischi: i gruppi informali pare che siano pochi (non esiste un censimento) e tra i pochi si tende a sciogliersi per confluire in Uip. A scrutini ancora caldi, a ottobre, un deputato di Forza Italia già spediva appelli per allestire il gruppo non ufficiale, non Uip, con l’Azerbaijan. A febbraio un senatore dei Cinque Stelle, con una dozzina di righe, pretendeva che i colleghi si iscrivessero con una specie di “ok” al gruppo non ufficiale con il Marocco. Faciloneria da inesperti. Perché la stessa distribuzione delle sezioni bilaterali di Uip segue un criterio di proporzione e di propensione.

I Fratelli d’Italia, i più numerosi, hanno ottenuto le presidenze più “strategiche”, per usare il lessico di Scurria, e hanno sottratto amici agli alleati/rivali leghisti. Nel comparto idrocarburi: oltre l’Azerbaigian, Fdi si è presa l’Arabia Saudita con Marco Osnato, il Kuwait con Matteo Gelmetti, Qatar, Bahrain, Emirati Arabi con Salvatore Caiata. La sensibilità geopolitica è un altro metodo di selezione. Il senatore Terzi di Sant’Agata, da ministro nel governo Monti si dimise polemicamente per divergenze sul caso Marò, e adesso presiede il gruppo per l’India. Fdi ha scelto l’Ungheria per tutelare il rapporto sintonico con il Paese di Viktor Orbán; Israele per dare vivo dispiacere a Matteo Salvini; i baltici Lettonia, Estonia e Lituania, che hanno quel pessimo giudizio russo che da un paio di anni è prerogativa di Fdi. Non era così in passato. La sezione bilaterale con Russia e Bielorussia fu affidata a Francesco Lollobrigida, il ministro e cognato. E di Lollobrigida colpiscono le dichiarazioni contro le sanzioni economiche a Mosca per l’occupazione mascherata del Donbass in Ucraina: «Cinque anni di sanzioni non hanno sortito alcun effetto - diceva quattro anni fa - se non la penalizzazione delle imprese italiane. Fdi sostiene da sempre che la strada per risolvere la crisi tra Ucraina e Russia sia un ritrovato dialogo tra Nato e Federazione Russa, non la logica della contrapposizione tra blocchi seguita fino a ora. Ma ci vorrebbe un governo capace di avere una politica estera e una visione geopolitica». E forse, almeno per Lollobrigida, è arrivato.

In questo turno Casini non ha assegnato la Russia per ovvie ragioni. Ai leghisti di suggestivo sono rimasti la Serbia e l’Oman. Piero Fassino (Pd) non ha rinunciato alla Francia. Né i Cinque Stelle alla Cina che dovrà subire lo sgarbo del mancato rinnovo dell’accordo per la Via della Seta che fu firmato da Giuseppe Conte. Gli Stati Uniti erano di Mara Carfagna, adesso di Mariastella Gelmini. Questo lo scenario. La legislatura è lunga. E la diplomazia parlamentare saprà stupire. Tremate.