Il vero bersaglio del portavoce di Rocca è il presidente del Senato Ignazio La Russa, colpevole di aver parlato di «matrice fascista» della strage, sempre negata da quel pezzo di destra cui da decenni dà voce l'ex di terza posizione. Che ora chiede scusa ma non si dimette

Niente dimissioni. Al massimo le scuse. Alle tre del pomeriggio di lunedì, due giorni dopo il post sulla strage di Bologna, e sempre via Facebook, Marcello De Angelis chiede «scusa a chi ho offeso», con un lungo post in cui afferma di avere «massimo rispetto per le istituzioni democratiche e per tutte le cariche dello Stato», prima fra tutte la presidenza della Repubblica».

Così, 48 ore dopo la riflessione sull’anniversario appena trascorso (in cui affermava tra l’altro: «so per certo che non c’entrano nulla Fioravanti, Mambro e Ciavardini», e «lo sanno tutti: giornalisti, magistrati e cariche istituzionali; e se io dico la verità loro, ahimé, mentono») De Angelis, responsabile delle relazioni esterne del governatore del Lazio Francesco Rocca, cerca di attutire gli effetti del suo attacco di sabato pomeriggio alle sentenze di condanna per i terroristi neri che è suonato anzitutto come un atto di spregio verso i magistrati, il capo dello Stato Sergio Mattarella e i parenti delle vittime.

 

Parole che risuonano, tra il silenzio assoluto della presidente del Consiglio Giorgia Meloni («non è felice», ha riferito Rocca, l’unica parola autorizzata finora), e la flebile e tardiva dichiarazione del governatore stesso («parla a titolo personale, valuterò»). E, invece, l’esplicitazione dell’aggettivo «neofascista» in una intervista al “Corriere della Sera” da parte di Matteo Piantedosi. Il ministro dell’Interno, unico membro del governo a partecipare, anche da ex prefetto, alle celebrazioni del 2 agosto si era ben guardato a Bologna dal citare esplicitamente quell’aggettivo che ormai bisognerebbe inserire nel vocabolario di pronto uso del governo Meloni. Attenendosi così, in pieno, alla linea anguillesca della premier. Celebrare sì, aggettivare no.

In realtà, come dicono a microfoni spenti anche in Fratelli d’Italia, le parole di De Angelis dentro il mondo della destra hanno un destinatario chiarissimo: Ignazio La Russa. Il presidente del Senato, nel ricordare la strage della stazione, aveva infatti aggettivato. Troppe volte al centro delle polemiche e, infine, sotto la lente d’osservazione del Quirinale, dopo una serie di scivoloni di cui ricordiamo il più spaventosamente surreale («a via Rasella fu colpita una banda musicale di semi-pensionati»), La Russa in occasione del 2 agosto si era per la prima volta arrischiato in un equilibrismo istituzionale, limitandosi peraltro a parlare nelle celebrazioni di «matrice neofascista» come «verità giudiziaria», da ricordare «doverosamente».

Più riluttante che rivoluzionario, insomma. Peraltro sulla stessa linea di Piantedosi, che infatti parla con prudenza di «matrice accertata riferita esclusivamente alla verità giudiziaria». Ma in realtà è moltissimo, per la sensibilità della destra dell’Msi-An-FdI. «Parecchi, per non dire tutti, in Fratelli d’Italia pensano che Mambro, Fioravanti e Ciavardini non c’entrino nulla con la strage». Tutti o quasi tutti.

Le voci che vengono da dentro al partito confermano quel che ha scritto domenica l’ex ministro dem Andrea Orlando, anche lui su Facebook: «Le parole di De Angelis hanno esplicitato quello che molti pensano nella destra italiana e in Fratelli d’Italia a proposito della strage di Bologna». La posizione di Marcello De Angelis, in questo senso, è tutt’altro che isolata.

Per quanto l’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno sia stato l’unico a complimentarsi pubblicamente per il «coraggio», quella posizione esprime una convinzione profonda, cementata nei decenni, semmai inabissata per ragioni politico-istituzionali. E nemmeno poi tanto: lo testimonia la reiterata richiesta di Federico Mollicone, presidente della commissione Cultura alla Camera, di istituire una commissione d’inchiesta stragi indirizzata per quel che riguarda Bologna alla cosiddetta pista palestinese (peraltro già percorsa senza esito dalla magistratura).

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Lo stesso De Angelis è del resto molto di più che il portavoce di un presidente di Regione. Militante di Terza Posizione, cognato di Ciavardini che ne ha sposato la sorella, il fratello Nanni morto in galera in circostanze oscure, in carcere di massima sicurezza a Brixton per sei mesi e per tre anni in Italia (dopo la condanna per associazione sovversiva e banda armata), poi giornalista, direttore del mensile “Area” e del “Secolo d’Italia”, parlamentare, De Angelis è ricordato anzitutto come anima dei 270 bis, gruppo musicale sui cui testi si sono formati negli anni Novanta i ragazzi del Fronte della gioventù, per i quali era un mito, al di là delle appartenenze a questa o quella corrente.

Come raccontato da più parti, Giorgia Meloni fu fidanzata di suo fratello Renato. «Ma c’è stato un momento in cui chiunque avrebbe voluto fidanzarsi con Marcello», ricordano per sintetizzare il ruolo che ebbe. A dire quanto sia complicato quello che adesso, dalle colonne del “Giornale”, Luciano Violante consiglia alla premier: «Tagliare le antiche catene», per costruire il «partito conservatore» che la premier ha in mente e al quale «non servono né le reticenze, né i richiami sibillini. Si chiuda una volta per tutte, nella chiarezza, con quel passato». Un programma persino più vasto del previsto.