Il caso

La Lega ci riprova con la castrazione chimica. Ma è solo fumo da campagna elettorale. E non risolve niente

di Simone Alliva   18 settembre 2023

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Giulia Buongiorno

Dal palco di Pontida Giulia Bongiorno rilancia: "Sarà la nostra battaglia". Ma non è la soluzione alla violenza. E il disegno di legge depositato al Senato non piace al ministro della Giustizia Nordio e agli alleati di Forza Italia

«Se uno stupratore non riesce a tenere i propri impulsi vuol dire che ha bisogno di un aiuto, ovvero la castrazione chimica. Non è una tortura, è un trattamento farmacologico e questa sarà la nostra battaglia». La responsabile Giustizia della Lega e senatrice, Giulia Bongiorno, dietro gli occhiali neri e con voce ferma, riporta sul palco del raduno di Pontida un’idea-bandiera della Lega dai tempi del Calderoli (era il 2005). «È come aprire il Colosseo ai leoni», commenta Luana Zanella, capogruppo di Alleanza Verdi Sinistra alla Camera: «Uno slogan di natura populista, buono a infuocare gli animi ma inefficace, inutilizzabile, inutile a prevenire il crimine». 

 

Lo slogan, però, infiamma Pontida e riattiva il percorso del ddl «Introduzione del trattamento farmacologico di blocco androgenico totale a carico dei condannati per delitti di violenza sessuale» a prima firma Mara Bizzotto depositato il 2 agosto scorso in Senato. Proposta snella. Un solo articolo, prevede che possa essere su base volontaria o coattiva. Nel primo caso, può essere richiesto dai condannati per stupro e per violenza sessuale nei confronti di minori dopo una valutazione, da parte del giudice, della pericolosità sociale e della personalità del condannato e dei suoi rapporti con la vittima. La castrazione chimica coattiva è disposta dal giudice se il condannato per gli stessi reati viene dichiarato incapace di intendere e di volere, dopo una perizia psichiatrica. Il trattamento inoltre dovrebbe rientrare in un programma di recupero psicoterapeutico, di cui si occupa l'amministrazione penitenziaria. 

 

Adesso, fanno sapere dal Carroccio, è ora di accelerare. Ma la questione è fortemente politica, tutta interna alla maggioranza. La Lega punta segnare una differenza di approccio al fenomeno delle violenze di genere, nel tipico modus leghista fatto di soluzioni spicce. Un'urgenza: quella di segnare la propria identità figlia della convenienza pre-elettorale visto che le europee sono imminenti. 

 

Ma il percorso parlamentare presenta già degli ostacoli. Il primo, non indifferente, è il ministro della Giustizia, Carlo Nordio secondo cui: «La castrazione chimica è un ritorno al Medioevo». Quattro anni fa il guardasigilli intervenne sul Messaggero per stroncare la legge sulla castrazione, smontando pezzo per pezzo il provvedimento del governo giallo-verde: alla fine l’emendamento di Lega e FdI al cosiddetto “Codice rosso” di Giulia Bongiorno (che stabiliva una corsia preferenziale per i reati di violenza domestica e di genere) non riuscì a passare. «Una proposta all’avanguardia» per l’avvocata Bongiorno, per di più da applicare su base volontaria, in alternativa al carcere. Ma fatta a pezzi dall’attuale ministro della Giustizia: «Comprensibile che, come dopo ogni strage terroristica c'è chi invoca il patibolo» spiegava Nordio, «così ad ogni violenza sessuale si prospetti la possibilità di rendere inoffensivi questi criminali neutralizzandoli con gli strumenti chimici. Tuttavia, non sarebbe una scelta razionale». Nordio sottolineò anche l'incompatibilità con i diritti sanciti e protetti dalla nostra Costituzione negli articoli 27 e 32: «Questa alternativa sovvertirebbe completamente la struttura del nostro codice e della Costituzione, dove la pena ha una funzione preventiva, retributiva e rieducativa. Si può concedere che la castrazione prevenga nuovi crimini: ma se le attribuiamo anche una funzione retributiva ciò significa che torniamo alla vecchia pena corporale». 

 

Anche gli alleati di Forza Italia si sono sempre detti contrari al ddl del Carroccio, un copione già scritto che gli azzurri hanno già stralciato in passato votando contro. E sono pronti a farlo di nuovo. «Se si introduce la castrazione chimica - dice Rita dalla Chiesa, vicepresidente dei deputati azzurri - lo Stato fallisce. Uno Stato non può intervenire sul corpo di un individuo, nel modo più assoluto. Ci sono altre cose che dovrebbero aiutare a far sì che tutto quello che sta succedendo, che è veramente una cosa terribile, non succeda più». Ma già la vicepresidente dei deputati di Forza Italia Deborah Bergamini si era detta molto preoccupata per questa misura: «Mi si accappona la pelle ogni volta che penso che lo Stato debba intervenire sul corpo di un cittadino». 

 

Ci sarebbe poi un altro aspetto poco considerato dal dibattito politico in corso: il rischio di minimizzare la violenza sessuale e ricondurre la responsabilità della violenza non alla persona, ma al suo organo genitale. «Non ha a che fare con un impulso sessuale irrefrenabile che si può contrastare con dei farmaci – spiega Antonella Veltri, presidente della rete dei centri-antiviolenza D.i.Re–  Lo diciamo da almeno trent’anni, ma le motivazioni della violenza maschile contro le donne stanno nella cultura. Serve un impegno responsabile, strutturale e trasversale da parte di tutti i soggetti coinvolti, in particolare su formazione e prevenzione. E servono finanziamenti». Cultura e formazione, principi che il governo continua a non vedere, perso tra le bonifiche di Caivano e la richiesta di abbassare la soglia di imputabilità per gli under 14.