«Non riusciamo a farci capire fuori dal Palazzo». Negli angoli del cortile del Transatlantico un gruppo di parlamentari sottolinea uno dei problemi del Partito Democratico che resiste nei sondaggi: era al 14% quando Elly Schlein è stata proclamata, ora tocca il 20%, ma resta la distanza di dieci punti da Fratelli d’Italia. I malumori serpeggiano fra i dem, molto ben occultati, e fra qualche dirigente stanco di rincorrere una narrazione sfilacciata che sfugge dallo stato delle cose di un’opposizione che c’è ma non si vede.
«Non ho ancora capito perché abbiamo scelto di non spiegare la nostra linea sull’Ucraina». Il casus belli è la correzione di linea sull’Ucraina. In sintesi: il 10 gennaio il Pd si è astenuto sulla mozione del centrodestra (l’anno scorso votò a favore) e ha votato la propria (che è passata). Mentre i falchi atlantisti (Lorenzo Guerini, Lia Quartapelle e Marianna Madia) hanno sentito il dovere di votare anche il testo del centrodestra e contro quello del M5S. Per il Pd un cambio di rotta: non proseguire con un’apertura di credito incondizionata al governo sulla politica estera e prendere le distanze sull’invio delle armi chiedendo un impegno diplomatico per la fine della guerra. «Eppure tutto il racconto è andato in mano ai centristi che hanno detto che ci siamo astenuti. E poi Lia Quartapelle che va per conto suo e spiega la giornata», si lamentano i dem vicini alla segretaria. È un episodio tra tanti che ci parla di «un partito in difficoltà», come spiega a L'Espresso il politologo Piero Ignazi: «Il Pd non riesce a imporsi su alcun tema. Ci è riuscito due volte: tempo fa su Cutro, dove ha messo molto in difficoltà il governo. Dopo un periodo di grande appannamento, c’è stata una ripresa sul tema del salario minimo dove il Pd si è mosso bene, in sintonia con Cinque Stelle. Si è vista così l’efficacia di una posizione. Il punto è che il Pd da solo riesce a muoversi, ma in alleanza la pressione è più forte. Questo è stato un momento importante dell’opposizione. Il problema oggi è che non se ne vedono molti altri. È un questione generale del Pd, direi anche storica e che va da ricercarsi in tutta una serie di differenze interne che non si conciliano molto».
«La tradizione di cattiva comunicazione del Pd risaledalla sua nascita. E anche a prima», spiega Giovanna Cosenza, semiologa, allieva di Umberto Eco. L’esperta di comunicazione politica sposta l’attenzione sulla segretaria Schlein, accusata spesso di essere poco comprensibile, astratta: «C’è questa tendenza linguistica nella tradizione del centrosinistra italiano che dura. Abbiamo tutti in testa la vividezza delle metafore di Bersani, che per un periodo sono state oggetto di affettuosa satira (pensiamo a Crozza), ma all’epoca erano inefficaci. Peccava di politichese, burocratese e astrazioni varie. Questo è nella tradizione del Pd ma soprattutto è precedente al Pd, pensiamo al vecchio Pci. Un'eredità che si porta dietro. Purtroppo la comunicazione di Elly Schlein rientra in questo filone: parole lontane dalla quotidianità, eccesso di astrazione. Nessun esempio concreto o percepibile: pensiamo alle famose “esternalizzazioni”. È il politichese della sinistra. Certo, bisogna dire che Schlein aggiunge a questo l’autenticità e un po’ di idealismo. La segretaria ha una passione autentica, si vede che ci crede. Uguaglianza, solidarietà, inclusione, diritti civili, a tutto questo crede più di altri rappresentanti del Pd. Però è come se dopo non riuscisse ad agganciare gli ideali a fatti concreti a causa di un linguaggio inutilmente complesso, generale e astratto. Non permette di valorizzare alcuni aspetti positivi». In soccorso a questo deficit sofferto da militanti e dirigenti, si sente il “rumore di fondo di un lavorìo nel partito”, avrebbe detto Enrico Berlinguer.
Per svecchiare la comunicazione social è stato affiancato alla segretaria il social media manager Guglielmo Masin, collaboratore di Alessandro Zan, 33 anni padovano, l’uomo dietro lo schermo del padre del ddl Zan che è riuscito a rendere pop e social la battaglia della legge contro l’omotransfobia in tutta Italia con numeri da capogiro. Ma i social non bastano, spiega Ignazi: «La segreteria non deve occuparsi solo della linea del partito, ma anche della sua organizzazione. Non si riesce a fare molta attività se non c’è nessuno che la implementa a livello locale. Spesso accusano il partito di assenza di un programma ma è un fandonia. A differenza di Giorgia Meloni quando era all’opposizione, il Pd ha una visione concreta e ha indubbiamente la classe dirigente migliore di tutti gli altri partiti, ma deve uscire dai palazzi. Ma questo puoi farlo solo se fuori dai palazzi hai una gruppo di militanti che ti segue. Non si può sperare di discutere di sanità o guerra con delle mozioni. Pensiamo che impatto mediatico avrebbe, invece di stare lì a parlare di mozioni e contro-mozioni, se il Pd realizzasse un digiuno a rotazione da parte di dirigenti, militanti. È un esempio, sottolineo, per dire che questo partito che si trova dopo un decennio per la prima volta all’opposizione ha bisogno di fare un’opposizione fantasiosa, aggressiva. Deve rompere gli schemi».
Rompere gli schemi ma anche rompere con il passato per uscire da quella che Giovanna Cosenza definisce «la maledizione del centrosinistra. Un sortilegio che va rotto con una rivisitazione della comunicazione. Tutto questo non può farlo chi viene dallo sfondo culturale che circonda il Pd. Non dico che bisogna assumere una persona con un frame di destra, quello che serve è invece un’altra mentalità che abbandoni lo snobismo e l’elitarismo. È una questione di mentalità, lo ripeto. Non di ideologia. Questa comunicazione dà per scontato conoscenze, competenze, valori e immaginari che non sono così scontati per i suoi elettori. La sua autenticità è chiara, ma non passa. Le persone che sperano nella segreteria Schlein chiedono di essere viste». Segnalare al mondo, comunicare. Una rivoluzione anche questa, un cambio d’epoca.