Il senatore tesoriere Fina prova a rimettere in piedi il bilancio dopo le batoste del passato: le rate per la campagna del referendum del 2016 finiranno soltanto tra un anno, mancano 1,3 milioni di euro. Finita la cassa integrazione per i dipendenti, arriva la solidarietà. E decine di parlamentari non hanno pagato la “tassa” mensile

Chi c'era prima non ha lasciato in ordine, anzi ha sparecchiato in fretta. «A me piace dire che siamo un partito francescano, ci accontentiamo di poco», ribatte sornione il senatore Michele Fina, un esordiente per i palazzi romani, non per la militanza a sinistra, un coriaceo abruzzese che la segretaria Elly Schlein ha indicato Tesoriere di un Pd da adeguare alla frugalità dei tempi. Fina ha un «però» bello grosso, che lo angustia e lo angoscia. «Voi sapete che soltanto tra un anno finiremo di pagare le ultime rate a Poste e Postel per la campagna referendaria di Matteo Renzi nel 2016?». Altri 1,3 milioni di euro, stipati in un debito di 8,9, per una sciagurata spedizione di lettere ai cittadini votanti che, tuttavia, in massa votarono contro.

 

Negli uffici del Nazareno hanno calcolato con stupore, e ormai i calcoli sono leggenda, che in pochi mesi la propaganda renziana scaricò sul partito costi per 13 milioni di euro senza computare le risorse a disposizione fra comitato e fondazione. La cura di Renzi si sovrappose a quella di Enrico Letta che, ormai dieci anni fa, decretò la frettolosa rottamazione del finanziamento pubblico per tentare, e anch’egli perse, di rintuzzare l’avanzata dei grillini e soprattutto dei rottamatori. Ancora con i lividi del referendum e ancora sotto la gestione di Renzi, nel ’17 il Pd si è ritrovato con un ottavo dei ricavi e 174 dipendenti stabili. Questo squilibro ha costretto il Nazareno a chiedere la cassa integrazione che, dopo varie proroghe, è scaduta a ottobre e di recente si è tramutata in contratto di solidarietà annuale e rinnovabile per 115 reduci (89 effettivi e operativi, 26 in aspettativa non retribuita). Per le attuali dimensioni, al Nazareno potrebbero garantire lo stipendio pieno a non più di 60/65 lavoratori e dunque si prosegue con gli incentivi all’esodo.

 

Il conto economico dem è abbastanza semplice. La gran parte dei ricavi proviene dalla libera scelta del 2x1000 con la dichiarazione dei redditi: 6,9 milioni di euro nel ’21, 7,35 milioni nel ’22, proiezione attorno agli 8 milioni nel ’23. Per fare un paragone storico, ma neanche troppo: i finanziamenti pubblici nel 2008, stagione di elezioni politiche con Walter Veltroni, furono di 182 milioni di euro.

 

Michele Fina

 

Il tesseramento apporta un modesto capitale, ma è una luce di speranza con 766.000 euro e un intervento di “centralismo democratico”: «Il rendiconto 2022 è caratterizzato dalla presenza delle quote associative in quanto dal 28 febbraio 2022 - si legge nella relazione al bilancio - è stato approvato dalla Direzione Nazionale del partito il nuovo regolamento del tesseramento, il quale prevede che circa il 20 per cento della quota tessera è di competenza della tesoreria nazionale. Laddove le quote sono state incassate tramite la piattaforma nazionale, il Pd ha provveduto ad accendere un debito verso le strutture territoriali. Per quelle realtà che non utilizzano ancora la piattaforma e che hanno provveduto direttamente a raccogliere la sottoscrizione delle tessere, il partito ha iscritto nel rendiconto un contestuale credito, non ancora incassato».

 

E infine ci sono le donazioni volontarie di eletti e aziende (sempre meno) e quelle che si possono definire “obbligatorie” (sempre inceppate). Ogni parlamentare deve al partito un obolo di 1.500 euro al mese, e ne è consapevole dal momento della candidatura poiché l’accordo viene firmato davanti a un notaio. Queste sono le regole valide da un paio di legislature. Nonostante l’impegno formale e il regolamento interno, decine di parlamentari, in special modo i non eletti, interrompono il pagamento dei 1.500 euro e finiscono nel vortice dei contenziosi e nel bilancio alla voce “crediti”.

 

Il Nazareno deve recuperare 1,15 milioni di euro dai parlamentari in carica o uscenti e per riuscirci ha inviato 63 ricorsi e ottenuto 56 decreti ingiuntivi. Il tesoriere Fina è severo: «Su questo punto non transigo. Il rapporto col partito non può essere unilaterale. I servizi che vengono offerti vanno sostenuti con la quota mensile. Non faremo sconti a nessuno e non accetteremo richieste di sconti oppure trattamenti di favore per ragioni politiche. Se dovesse succedere, la nostra linea di condotta e il mandato del segretario Schlein sono chiari».

 

Ogni anno il Pd approva il bilancio di esercizio in attivo di circa mezzo milione di euro, ma il debito consolidato non smette di crescere fra svalutazioni, insolvenze, prestiti. Fina racconta il suo debutto al Nazareno, francescano ovviamente: un comitato per i tagli. Il Tesoriere sostiene che le spese di consulenti e collaboratori per gli eventi sono necessarie: se dentro le capacità si smorzano, bisogna cercarle fuori. Nei documenti illustrati in direzione si evince il tratto francescano: «La gestione dell’esercizio in corso è stata finora caratterizzata da investimenti nella comunicazione, legati principalmente al Congresso nazionale e alla campagna del due per mille. Su quest’ultima voce è partita una massiccia e innovativa campagna di comunicazione al fine di incrementare la più consistente entrata nel nostro bilancio. Per quanto riguarda i costi, l’anno 2023 - seppure caratterizzato dal sostenimento della campagna congressuale - rileverà costi inferiori a quelli del 2022, in quanto non ci saranno consultazioni elettorali a livello nazionale. Per questo saremo in grado di poter accantonare le risorse necessarie per il finanziamento della prossima campagna elettorale delle Europee oltre che degli altri appuntamenti elettorali previsti per l’anno 2024».

 

È abbastanza evidente che le prospettive economico-finanziarie per il Nazareno e di qualsiasi altro movimento siano scarse e la proposta politica ne risente: «I soldi ci servono per dare forza alle nostre idee», spiega Fina. Il tema si trascina da qualche anno, chi è al governo se ne dimentica, chi passa all’opposizione no: che fare dei partiti, come applicare la Costituzione?

 

In passato s’è rubato, davvero e parecchio senza retorica o populismo, ma davvero è più sano lasciare il consenso e il rapporto con i cittadini in balìa di lobby fameliche e interessi opachi? Anche i Cinque Stelle, cresciuti abbattendo il vecchio sistema, hanno aderito al 2x1000 e chiedono e studiano riforme. Fina provoca: «Oggi i partiti sono associazioni private. Io potrei ordinare, a mia totale discrezione, un acquisto di dieci milioni di caramelle e condannare chi verrà dopo Schlein alla chiusura e alla liquidazione del Pd». Invece i partiti sono un patrimonio collettivo, non un bottino di una consorteria. Il senatore dem s’è forgiato in Abruzzo nel mezzo degli scandali che travolsero la Margherita e il tesoriere Luigi Lusi (poi condannato). Mai più quei trucchi. E quegli inganni. Va recuperata la fiducia dei cittadini. Non più del 3 per cento dei contribuenti su 41,5 milioni aderisce al 2x1000. Quelli che non partecipano, o non sanno o non vogliono, o semplicemente provano repulsione. Il modello di riferimento è quello del Parlamento Europeo: rimborsi mirati per le attività, rigida sorveglia per le fondazioni. Il centrodestra non si appassiona all’argomento perché ha a disposizione il governo per “smistare” i suoi costi e i partiti verticali, con un solo uomo o una sola donna al comando, preferiscono gerarchie scalabili e personali (o di famiglia). Il discorso va fatto con serietà. Sbrigarsi comunque. Altrimenti sono caramelle. Amare.