Il movimento di estrema destra continua tranquillamente a stare nell'immobile di proprietà pubblica. Di più: in questi giorni celebra il ventennio della sua presa. E come per i saluti romani di Acca Larentia, all'indignazione non fa seguito alcuna azione. E i camerati possono stare tranquilli

"2003-2023. Vent'anni a testa alta!". Lo striscione bianco impera lì dove fino a cinque anni fa c'era l'insegna (anch'essa abusiva) Casapound. E in effetti sono passati vent'anni e i militanti del movimento neofascista sono ancora lì. «Non è che i fascisti siano tornati. Non se ne sono mai andati da qui», sorride un signore del quartiere, accanto al grande portone di legno al civico 8 di via Napoleone III, due passi dalla stazione Termini di Roma. 

 

La sede è viva. Attraversata da camerati che la abitano (o meglio la occupano), organizzano conferenze, dibattiti. Il sette gennaio si è tenuto il primo consiglio nazionale di Casapound Italia, che ha visto intervenire responsabili nazionali, regionali e figure che contano nella galassia nera. Si è tenuto nella sala Dominique Venner, dedicata al militante della nuova destra francese (teorico della sostituzione etnica, anti-lgbt) che una decina di anni fa si suicidò con un colpo di pistola all’interno della cattedrale di Notre-Dame a Parigi, estremo segno di protesta contro la sconfitta della Tradizione nel secolarizzato mondo occidentale. 

 

 

Il 27 giugno dello scorso anno il giudice monocratico di Roma ha comminato 10 condanne a 2 anni e 2 mesi nel processo per l'occupazione abusiva del palazzo in via Napoleone III da parte di esponenti e simpatizzanti di Casapound. Tra gli imputati, accusati di occupazione abusiva aggravata, anche Gianluca Iannone, Simone Di Stefano (non più nel movimento) e il fratello Davide. Il tribunale aveva disposto inoltre una provvisionale immediatamente esecutiva di 20mila euro e il risarcimento in sede civile per l'Agenzia del Demanio, proprietaria dell'immobile, ordinando inoltre il dissequestro dell'immobile e la sua restituzione. L'occupazione è già costata alle casse dello Stato 4,5 milioni di euro. Dello sgombero si parla ormai da molti anni. C'è anche un account su X (ex Twitter)che pone ogni giorno la stessa domanda: «Hanno sgomberato la sede di Casapound?». La risposta è sempre la stessa: ancora no. 

 

La storia dell’occupazione del palazzo di CasaPound era stata ricostruita da L'Espresso nel 2018. L’edificio, di proprietà pubblica, prima dell’occupazione ospitava gli uffici del ministero dell’Istruzione. Il 27 dicembre 2003 però l’edificio era vuoto e fu occupato da alcuni membri di un centro sociale di destra, che in quel periodo stava organizzando occupazioni anche in altri quartieri della città.

 

Il ministero chiese  lo sgombero del palazzo, ma dopo pochi mesi comunicò all’Agenzia del Demanio, la proprietaria dell’edificio, di volerlo riconsegnare per «cessate esigenze istituzionali». La richiesta fu respinta a causa dell’occupazione dei neofascisti. Da qui inizia una storia fatta di rimpalli tra i due enti pubblici. “Non dipende da me” e “ormai” sono le colonne d’Ercole della burocrazia, nel frattempo CasaPound trasforma gli ex uffici in appartamenti, fa inserire un'insegna nella facciata, rimossa dall'allora sindaca Virginia Raggi nel 2019. 

 

Bisogna ricordare che nel 2009 il comune di Roma, per volontà dell’allora sindaco Gianni Alemanno, si accordò con l’Agenzia del Demanio per acquistare l’immobile, ma l’accordo saltò a causa delle polemiche dell’opposizione. Alemanno era molto vicino ai movimenti di estrema destra e si temeva che potesse autorizzare l’occupazione piuttosto che chiedere lo sgombero. Nel 2016 l’allora commissario straordinario Francesco Paolo Tronca reinserì la sede di CasaPound nella lista delle occupazioni abusive della città, dopo che proprio Alemanno l’aveva esclusa. Immobilità, rimpallo di responsabilità, fino alla condanna e l'ordine di dissequestro e restituzione dell'immobile nel 2023. 

 

La sede di casaPound

 

Tobia Zevi, assessore al Patrimonio e Politiche abitative Roma Capitale, contatto da L'Espresso, declina la posizione del Comune: «L'immobile di Casapound deve essere sgomberato e recuperato alla collettività, eliminando una ferita aperta a Roma, città medaglia d'oro della Resistenza. Allo stesso tempo, confermiamo la nostra linea politica e operativa anche per questa occupazione: ove vi fossero persone o famiglie che vi risiedono in condizione di fragilità, e in possesso dei requisiti per l'Erp, garantiremo il passaggio "da casa a casa" con il ricorso agli alloggi popolari, ovviamente a prescindere dalle convinzioni politiche di chiunque».

 

Ma quando? La palla passa al ministro Matteo Piantedosi. Nella lista degli sgomberi lo stabile di CasaPound è in ottava posizione, questa parte è in carico al Ministero dell'Interno ed alla Prefettura. Non è detto che si vada in ordine di priorità.  I camerati per adesso possono fare sogni tranquilli.