“Senza una guida e un progetto condiviso si sta in piedi solo grazie a vincoli istituzionali o all’assenza di alternativa”, dice Arturo Parisi, al fianco di Prodi nella nascita dell’Ulivo

È l’ideatore, insieme con Romano Prodi, dell’unico soggetto politico unitario che, nella storia della sinistra italiana, abbia davvero vinto le elezioni politiche: l’Ulivo. «Fermatevi!», abbandonate «le vostre minuscole contese». È il consiglio appassionato  di Arturo Parisi – politologo, già ministro e parlamentare – anche davanti al rischio di un “frontismo” (sotto la guida Pd) che l’ uomo non solo di studi ma anche di esperienza politica considera «perdente». Ed è l’occasione per un raffronto fra oggi e ieri.

Il centro-sinistra ha vinto le elezioni politiche solo sotto la guida di Prodi, prima con l’Ulivo nel 1996 poi con l’Unione nel 2006, ma quest’ultima volta con un problema al Senato. Da allora, cosa è soprattutto mancato al fronte progressista, a parte l’ovvia assenza del professore bolognese, che già fa la differenza?

«Se oggi è vero che solo una coalizione può aspirare a vincere, essa deve innanzitutto esistere. Altrimenti a vincere sarà ora una, ora un’altra delle componenti, che competendo, possono pure accrescere la somma dei consensi. Ma per la sua unità, un avversario non basta. Senza un leader ed un progetto comune si sta in piedi solo grazie a vincoli istituzionali o all’assenza più o meno provvisoria di un’alternativa politica. Dico comuni: cioè non esclusivi di una sola delle sue componenti. Come furono appunto lo slancio programmatico dell’Ulivo e la guida di Prodi».

 

Il campo largo di cui si è tanto parlato in questi ultimi anni ma che è naufragato clamorosamente in Liguria favorendo il centro-destra, nell’ideale iniziale è una riedizione dell’Unione (che racchiuse sia la Margherita sia Rifondazione Comunista)?

«A livello nazionale, dove non c’è il sindaco o il presidente, una riedizione minore dell’Unione. Pensando alla coesione iniziale dell’Ulivo, e alla competizione alimentata poi dal Porcellum più che di campo largo ora direi larghissimo».

 

Schlein ha difficoltà a relazionarsi politicamente con Conte. Qualche consiglio, sulla base dell’esperienza, quando Prodi e lei dovevate gestire l’alleanza con Bertinotti?

«Anche nel gioco politico i comportamenti vengono dopo le regole. Quali consigli dare una volta che la regola è ogni giorno di più il “fotti compagno”, come lo chiamava Mastella? Non la competizione maiuscola per il governo, ma le incessanti minuscole contese che attraverso i talk show, i sondaggi, e le continue prove elettorali dicono da che parte pende la divinità. Se potessi, direi: fermatevi. Ricominciate dalle regole come per un momento accadde trent’anni fa. Pensando all’Italia, senza che fosse chiaro chi avrebbero premiato».

 

Prodi, pur potendo contare in un modo o nell’altro su Rutelli e su Mastella nella sua ultima sfida elettorale del 2006 con Berlusconi, si rivelò anche in grado di garantire un certo elettorato moderato. Non pensa che con Schlein, alle prossime politiche, tutto sarebbe molto diverso?

«Certo! Prodi era un leader comune e candidato premier designato attraverso le primarie da tutto il centrosinistra per portarlo unito alla vittoria. Elly Schlein è invece al momento la segretaria del Pd che innanzitutto deve puntare ad accrescere il consenso del partito. Tutto deriva da qui. Nella competizione per il governo, pur dentro una idea unitaria, Prodi doveva fare spazio al maggior numero possibile di voci».

 

Per un’alleanza a sinistra, Renzi e Calenda secondo lei sono più impegnativi di quanto lo fosse a suo tempo Mastella, che alla fine provocò la conclusione dell’ultimo governo Prodi e le elezioni anticipate spalancando le porte al centro-destra di Berlusconi?

«È vero! L’ultima mazzata la diede allora Mastella. Ma dal momento in cui il Porcellum, esaltando la competizione tra i partiti, alimentò la ricerca quotidiana della visibilità, ogni partito diventò impegnativo per la tenuta del disegno unitario. Impegnativo nella misura in cui quotidianamente si impegnava a segnalare la sua diversità per difendere e accrescere la sua quota di voti e di potere».

 

Ma occorre a sinistra una forza centrista, una Margherita 2.0?

«Davanti a un Pd di gran lunga preponderante, ogni partito minore è di fronte al dilemma se accettare il destino dei cespugli all’ombra della quercia limitandosi a competere con i suoi pari, o compensare con continue invenzioni il rischio che l’ombra della quercia lo renda invisibile. Tutto all’infuori del quadretto di Margherite 2.0 del marketing elettorale prospettato alla luce del sole come se gli elettori non vedessero. Voglio ripeterlo: quello che occorre è innanzitutto un leader e un progetto veramente comuni che sottragga il centrosinistra all’antico assetto frontista col Pd come stabile partito guida. Un assetto che ritengo ancora perdente».

 

Come vede, da politologo, la crisi dei Cinquestelle? È inarrestabile? Oppure intorno a Conte può esserci un “nuovo inizio”, tale da rinsaldare anche i rapporti con il Pd?

«Se per il centro sento i nostalgici immemori parlare di una versione 2.0 della Margherita, per i 5S la definirei una versione 0.2. Direi pure 0.0 se l’accettata intronizzazione di Conte come riferimento dei progressisti non impedisse a quello che resta del movimento di riattraversare il confine tra destra e sinistra. Quanto ai rapporti col Pd al momento direi che più è percepito precario il futuro del Movimento più è difficile l’accettazione da parte di Conte del ruolo di fratello minore di Elly Schlein».