Pochi, malpagati, aggrediti e in crisi di vocazioni. Si lavora a nuove opportunità, spiega la presidente di Fnopi Barbara Mangiacavalli. I colleghi indiani: “Bene, ma non sia l’unica soluzione”

Mai come negli ultimi anni, la professione infermieristica è attraversata da profondi cambiamenti. La carenza di risorse economiche e di personale, unita allo storico calo demografico del Paese, sta minando, più di quanto non accada ai medici, una figura cardine del Servizio sanitario nazionale.

Gli infermieri oggi sono troppo pochi: secondo la Corte dei Conti ne mancano almeno 65mila, ma la situazione potrebbe peggiorare visto che circa 40mila andranno in pensione entro il 2027. Per questo la Federazione nazionale Ordini professioni infermieristiche (Fnopi) è impegnata da tempo nello sviluppo di una proposta di rilancio che si articola in diversi punti. A partire dalla «svolta epocale» annunciata qualche settimana fa dal ministro della Salute, Orazio Schillaci, che prevede l’introduzione di tre nuove lauree magistrali ad indirizzo clinico, in grado di aprire per la prima volta in Italia la strada verso la prescrizione infermieristica (seppur non di medicinali). «Stiamo cercando di ribaltare le condizioni per rendere la professione attrattiva per le nuove generazioni – spiega Barbara Mangiacavalli, presidente Fnopi – Oggi l’infermiere che entra nel sistema sanitario svolge le stesse mansioni, nelle stesse condizioni e con lo stesso stipendio, per quarant’anni. Non è più accettabile. Noi, attraverso il confronto con le istituzioni, vogliamo migliorare la vita professionale dell’infermiere perché non si può pensare che il Ssn possa continuare a reggere con questi numeri, senza contare che non è stato riconosciuto il lavoro usurante della professione, a rischio di continue violenze e aggressioni. E con infermieri stranieri presenti nelle nostre strutture ancora con titoli in deroga dai tempi del Covid».

Su questo tema Schillaci ha fatto sapere di voler portare subito in Italia 10mila infermieri indiani: «L’idea è di farli reclutare direttamente dalle Regioni. Sulla formazione accademica non ci sono problemi: l’India ha buoni standard». La Federazione degli infermieri non è contraria, «ma l’importante è creare delle condizioni per cui possano poi tornare nel proprio Paese, così come i nostri cervelli in fuga verso l’Italia – sottolinea Mangiacavalli – Questa non dev’essere l’unica soluzione fattibile».

Tra le proposte dalla Federazione c’è poi la valorizzazione delle competenze che va di pari passo con un riconoscimento economico maggiore. «Rispetto alla media dei Paesi Ocse, lo stipendio italiano medio è inferiore dal 25 al 40% –  spiega Mangiacavalli –  A questo dobbiamo poi aggiungere il fatto che la professione non ha accesso automatico alla dirigenza e non ha la possibilità di svolgere la libera professione fuori dall’orario di lavoro, poiché, finita la deroga al 31 dicembre 2025, rischia di essere ripristinato il divieto di cumulo di impieghi per chi lavora nel pubblico. Ma quest’attività permetterebbe ad alcune strutture che soffrono la carenza di infermieri, la copertura di molti turni».

C’è poi la volontà di introdurre l’assistente infermieristico – una figura pensata non con logica sostitutiva, ma per rendere più appropriata la presenza qualificata dell’infermiere. Il modello è quello del nursing assistant anglosassone, un’evoluzione dell’operatore socio-sanitario, che affianchi l’infermiere per l’assistenza di base.

Altro tema strategico è la sanità digitale. «La tecnologia può contribuire a migliorare la presa in carico e la continuità del servizio – specifica Mangiacavalli – ma non deve essere un ulteriore elemento di disuguaglianza. C’è un tema di fragilità digitale nel Paese, dall’anziano alla persona disabile. In questo senso l’infermiere di famiglia può essere un facilitatore di questi processi».

Intanto, però, gli infermieri, così come i medici, finiscono spesso sui giornali per le aggressioni nei loro confronti: minacce fisiche, verbali, fino a vere e proprie spedizioni punitive. Secondo i dati dell'Osservatorio nazionale sulla sicurezza degli esercenti le professioni sanitarie e sociosanitarie (Onseps), ripresi dal ministero della Salute, nel 2023 le aggressioni rilevate a livello di aziende sanitarie sono state 16 mila con 18 mila operatori coinvolti. Ma, secondo la survey condotta da Fnopi per l’Osservatorio, gli infermieri che hanno dichiarato aggressioni durante il 2023 sono il 40,2% del campione. E due terzi delle persone aggredite sono donne. «Questi episodi spesso nascono da mancate risposte che i cittadini patiscono per la carenza del personale, che peggiora una situazione di disagio organizzativo e di stress lavorativo –riflette Mangiacavalli – Le misure approvate dal governo, come l’arresto in flagranza di reato anche differito e pene più pesanti per chi provoca danneggiamenti, sono ciò che attendevano gli infermieri. Il vissuto di un professionista aggredito è faticoso da elaborare e non è un caso se si registrano molti episodi di abbandono delle professioni di cura e assistenza». Auspicabile, quindi, la costruzione di un percorso di sensibilizzazione dei cittadini rispetto al corretto utilizzo delle strutture e dei servizi del Ssn.