La città lombarda torna al centro della cronaca nera. Il sindaco la difende. Ma lo scrittore Jonathan Bazzi, che ci è nato, lancia l’allarme su degrado sempre più profondo e rassegnazione

Qui non siamo nel Bronx, ma a Rozzano, nella periferia sud di Milano che costeggia il Naviglio, in direzione Pavia. A rinnegare l’accostamento e a difendere i suoi quarantaduemila cittadini è il sindaco Giovanni Ferretti. Sul sito del Comune, nella schermata principale, il primo cittadino ribadisce che Rozzano è abitata da persone oneste e perbene. «Ospitiamo un quartiere popolare, che è il più grande in Italia e uno dei più grandi in Europa, il quale declina delle problematiche e delle situazioni che vanno monitorate, ma che comunque non ci danno come diversi dai Comuni di Italia. Non siamo culla di malavita, ma di eccellenze».

La risposta arriva dopo le polemiche suscitate dalla frase attribuita a Fedez durante la rissa tra lui e Cristiano Iovino, in cui il rapper avrebbe ricordato, secondo un testimone, la sua provenienza come fosse un timbro di forza e intoccabilità. Valerio Staffelli di “Striscia la Notizia” ha per questo consegnato al sindaco il “Tapiro d’oro”, consentendogli di rispondere difendendo la città. Eppure, nei giorni scorsi, c’è stato un altro motivo per cui si è parlato di Rozzano: la tragica storia di Manuel Mastrapasqua, il trentunenne ucciso di notte per un paio di cuffiette del valore di quindici euro, mentre tornava a casa dopo il lavoro.

Jonathan Bazzi, lo scrittore cresciuto nelle case popolari di via Giacinti, aveva ambientato qui il celebre romanzo “Febbre”, finalista al premio Strega 2019. Per amore della verità, lui non fa sconti alla città in cui è nato: l’affetto critico è l’unico sentimento che può correggere il mondo, plasmare materie informi rendendole bellezze.  Questo proprio per la gente onesta, quella che resiste e vorrebbe vivere al sicuro.

«È un Sud raffreddato – scriveva nel romanzo – senza mare, senza famiglia, senza più tradizioni. È la sua forza impetuosa e animale virata al negativo, affamata, ingabbiata in quei palazzi in serie senza mondo intorno. Rozzano è Sud sequestrato, incattivito, in cattività».

«Quello che vedo è un peggioramento – spiega ora Bazzi – io vengo da due famiglie, una composta da operai immigrati e una, quella paterna, di impiegati che vivevano nelle case popolari. C’erano tante storie diverse. Oggi, nelle case popolari, ci sono persone con una storia molto simile di fragilità e con problemi molto simili economici, di scarsa fiducia nelle istituzioni, distanza dal mondo della cultura e dalla scuola. Inoltre ci sono zone inagibili per la gente che spaccia per strada. Il tasso di abbandono e di dispersione scolastica è altissimo. Ci sono tantissimi bambini e adolescenti che non studiano. Un gruppo di ragazzini a bordo di monopattini elettrici, una delle ultime volte in cui sono andato per un sopralluogo di lavoro, nella piazza principale, ha iniziato a seguirci e a circondarci per poi lanciarci delle bottigliette per farci allontanare».

«Bisogna smettere con il tentativo di normalizzare Rozzano. Bisogna riconoscere che ci sono cittadini onesti, certo, ma anche una subcultura con disvalori condivisi in modo omogeneo. La rassegnazione spesso sfocia in vendetta, perché si sente che non c’è modo di diventare altro. Bisogna dare le medesime possibilità fin da piccoli a chi vive qui, come a chi cresce in altri luoghi: scegliere chi voler diventare e coltivare questo sogno, superando l’umiliazione di non poter avere un desiderio. La conseguenza di questo mancato rapporto con la verità immobilizza le cose».