Legge inopportuna e controproducente. Il divieto in Italia esiste già e la norma, simbolica, rischia di ledere i bambini nati negli altri Paesi, dice la costituzionalista Marilisa D’Amico

Vietato vietare» è stato un celebre motto del maggio francese, prima di diventare, tirato a lucido e svuotato nel senso, uno dei primi slogan elettorali di Silvio Berlusconi. Come un messaggio al telefono senza fili, è arrivato alla attuale destra di governo con significato traslato. Vietare il vietato. La gestazione per altri (Gpa) in Italia era già illegale, ma il ddl approvato dal Senato il 16 ottobre la vieta di nuovo, rendendola «reato universale». «È un intervento inopportuno, inutile e rischia di diventare controproducente», spiega Marilisa D'Amico, ordinaria di Diritto costituzionale e prorettrice con delega alla terza missione e alle pari opportunità all’Università degli Studi di Milano. «L’ordinamento italiano dava già indicazioni chiare nel considerare la maternità surrogata un disvalore, con il supporto della Corte costituzionale che l’ha definita “offensiva della dignità della donna”». Rendere perseguibili i cittadini italiani che vi ricorreranno all’estero è un modo, secondo l’esecutivo, per scoraggiare la pratica, ma a livello giuridico non si può parlare di reato universale.

«L’extraterritorialità del diritto penale – continua D’Amico – è retta dal principio di reciprocità, ma la maternità surrogata non è come l’omicidio, è legale e regolamentata in molti Paesi europei». In particolare, Armenia, Bielorussia, Georgia, Russia e Ucraina ammettono la Gpa sia per scopi commerciali che altruistici (cioè senza un compenso verso la donna gestante). Cipro, Grecia, Macedonia del Nord, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito e Irlanda ne permettono la pratica esclusivamente a titolo gratuito. Nonostante la Corte europea dei diritti dell’uomo non si sia mai espressa sulla convenzionalità della maternità surrogata, secondo la costituzionalista «introdurre il reato universale potrebbe entrare in contrasto con i principi di libera circolazione».

Sono diverse le criticità che potrebbero essere ravvisate dalla Consulta: «Mi aspetto che vengano sollevate questioni di legittimità costituzionale, ci sono molti elementi tecnici a cui appellarsi». E se sulla carta ci saranno problemi, è nell’applicazione pratica che risiedono i principali rischi della legge: «Non si considerano adeguatamente le ripercussioni che l’intervento legislativo può produrre ai danni dei bambini nati all’estero. È una norma che pone in secondo piano il principio del superiore interesse del minore, su cui concordano sia la giurisprudenza costituzionale, che la Corte europea». La stessa Corte costituzionale, nel 2021, aveva sollecitato il legislatore a intervenire per regolamentare le conseguenze giuridiche sui nati da Gpa. La discussione sugli effetti del ddl prescinde dalle considerazioni generali sulla pratica: «È un tema complesso – spiega D’amico – c’è il rischio dello sfruttamento del corpo delle donne che va bilanciato con la libertà procreativa, su cui si è già espressa la Corte costituzionale nel caso della fecondazione medicalmente assistita. Di certo non si può gestirlo con una norma-vessillo che serve solo a nutrire una certa narrazione». Ciò che non convince la giurista è l’uso della sanzione penale come strumento per orientare comportamenti personali: «Come già per l’interruzione volontaria di gravidanza, è un divieto irragionevole che difficilmente punirà i contravventori. Una norma simbolica che cerca di difendere un valore, ma lo fa nel modo peggiore, attraverso la minaccia della pena».