Trame italiane
Quel filo nero che dalle stragi arriva a oggi
Piazza Fontana, Piazza della Loggia, Bologna. Tappe della storia nazionale che bisogna continuare a studiare e a indagare. Un libro ne ripercorre le vicende
Verona, bellissima città medievale e teatro di orribili trame nere. Lì si incontravano i neofascisti addestrati a tenere la Repubblica con il fiato sul collo, anche con le stragi. Le strade di Verona, i vicoli del suo magnifico centro storico, costruito lungo un’ansa del fiume Adige, il pavimento di piazza Bra, il selciato di via Stella venivano percorsi su e giù da uomini che complottavano contro la democrazia e che poi andavano a ristorarsi a Colognola ai Colli, alla trattoria di un certo Marcello Soffiati. Il veneziano Carlo Maria Maggi, mandante della strage di Brescia (Cassazione 2017) faceva lunghe passeggiate nel centro di Verona, sfacciatamente fiero di girare con i suoi amici Elio Massagrande e Roberto Besutti.
Erano tutti “soldati politici” di Ordine Nuovo, la centrale della violenza politica degli anni dello stragismo. Fondata da Pino Rauti e Clemente Graziani nel 1956 (nel novembre, nasce assieme a Gladio e non può essere un caso), costola dell’omonimo centro studi del Movimento Sociale, il simbolo del gruppo è l’ascia bipenne, il motto quello delle Ss naziste: «Il nostro onore si chiama fedeltà»: i think tank dell’atlantismo ritennero che per mantenere l’assetto politico fosse indispensabile tenere a freno in tutti i modi i movimenti sociali che guardavano avanti, a un futuro di grandi speranze egualitarie. Pino Rauti rientrò poi nel Msi: era necessario un “ombrello protettivo” per gli uomini dell’ordinovismo e in fin dei conti, oggi, possiamo dire che l’operazione andò a buon fine. Dicevamo delle strade di Verona: in vicolo Crocioni, in pieno centro, a meno di cinquanta metri dalla famosissima Casa di Giulietta, c’era la sede di Ordine Nuovo in un appartamento di qualche militante facoltoso. Poco più in là, in San Pietro in Cariano, un palazzo patrizio della dinastia dei Guarienti ospitava la sede del Msi.
Verona era capitale simbolica: città prediletta dal duce, le prime camicie nere si sentivano al sicuro nel cuore della Repubblica di Salò dopo l’8 settembre del 1943. Verona fu poi teatro delle cospirazioni della Rosa dei Venti, un “braccio” di Gladio che tentò un incerto golpe tra il 1973 e il 1974, ma vennero scoperti: tra i loro complici gli ordinovisti, gli atlantisti del Mar di Carlo Fumagalli, i nostalgici del Fronte nazionale, i monarchici di Edgardo Sogno tra le cui file il ministro Gennaro Sangiuliano avrebbe ambito a fare il partigiano bianco. Contento lui. Da Verona partiva spesso la manovalanza fascista per andare a fare le provocazioni nelle piazze: nel marzo 1968 partirono in venti per andare a dare una lezione agli studenti della Sapienza che avevano occupato la facoltà di Lettere: botte da orbi, il veronese Giampaolo Stimamiglio, prestante militante di Ordine Nuovo, tirò via un camerata dai calci dei rossi e poi si accorse che era Giorgio Almirante che gli fu sempre molto riconoscente.
All’ombra di quegli antichi palazzi, e proprio dentro uno di essi, Palazzo Carli, Verona ha ospitato per vent’anni, dal 1967 al 1987, l’unica Unità dedicata alla Guerra psicologica del nostro Esercito, una struttura dipendente dal Comando Forze terrestri alleate del Sud Europa della Nato: entravano e uscivano, graditi ospiti, i neofascisti di Ordine Nuovo. Era uno dei più grossi centri di potere militare sul nostro territorio sulla cui porta si fermano i segreti del neofascismo e delle stragi. Perché se è vero che molto sappiamo, parecchio ci è stato nascosto: dobbiamo dunque fermarci?
Maurizio Dianese e Gianfranco Bettin, noti e apprezzati saggisti, entrambi veneziani, tornano a ripercorrere i meandri dei nostri buchi neri in un libro dal titolo suggestivo, “La tigre e i gelidi mostri”, che si pone l’obiettivo di una verità d’insieme sulle stragi politiche in Italia, come avverte l’esplicito sottotitolo. Anche l’editore Carlo Feltrinelli ha sentito il bisogno di una sua personale nota per spiegare che, sì, è vero che si tratta di vicende già molto frequentate, ma arrivano fino a oggi e per questo è bene e giusto cercare una verità d’insieme. Gli autori si muovono dentro le più recenti carte giudiziarie per ripercorrere tre momenti tragici del Paese: Piazza Fontana, Piazza Della Loggia, stazione di Bologna. Lo fanno prendendoci per mano e accompagnandoci dentro il ventre molle degli ambienti che hanno animato lo stragismo: nella vita di Claudio Bizzarri, l’ex ragazzo con la camicia nera che pare proprio essere stato l’uomo che ha portato la bomba dentro la Banca dell’agricoltura, accompagnato da Delfo Zorzi, il primo morto nel 2019 a 73 anni, l’altro uscito estraneo giudiziariamente ma non dai ricordi degli ex camerati che hanno parlato; o attraverso le lunghe e meditate testimonianze su quella giornata in Piazza della Loggia che una allora ragazza ha reso all’ufficiale di polizia giudiziaria protagonista indiscusso delle attività investigative sui neri, Massimo Giraudo, prossimo al pensionamento ma non perciò meno impegnato con i processi bresciani; o dentro la vita di Paolo Bellini, autore a Bologna di un massacro ordito dai vertici del piduismo gelliano. Il mix di atlantismo, neofascismo e brutale anticomunismo sale dai livelli più bassi fino alle protezioni accordate da alcuni ufficiali dell’Arma dei Carabinieri tra i quali spicca il generaleFrancesco Delfino, l’ombra di uno stragismo politico che, attenzione, non ha accompagnato lateralmente la storia della Repubblica: ne è stato fondamentale protagonista.
Dovrebbe incoraggiarci la sorte toccata a quella città calpestata dai neri: Verona oggi è una comunità che guarda avanti e ha eletto sindaco Damiano Tommasi, ex calciatore animato da una visione solidaristica. Verona oggi è libera dal vecchio neofascismo, ma il resto del Paese?