Il caso

La battaglia del meloniano Marco Nonno per riavere la lapide fascista in piazza

di Sergio Rizzo   22 febbraio 2024

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Il neo coordinatore di Fratelli d'Italia a Napoli è stato protagonista qualche anno fa di un episodio significativo: ha fatto ripulire e mettere in bella mostra un memorabilia del Duce a Pianura. Dopo le condanne, i saluti romani e le foto vestito da soldato nazista, è l'ennesimo esempio di una "matrice" per nulla sopita nel partito della premier

È il 30 novembre 2015. In piazza San Giorgio, nel quartierone di Pianura, a Napoli, spunta una lapide fascista. Nel senso del periodo fascista. E autentica, per giunta. Una lastra rettangolare di marmo con il profilo geografico dell’Etiopia. Nel quale sono incise le seguenti parole: «Il popolo italiano ha creato col suo sangue l’Impero. Lo feconderà col suo lavoro e lo difenderà contro chiunque colle sue armi…». E via di questo passo. Firmato: Mussolini. Sono frasi tratte dal «discorso della proclamazione dell’Impero fascista» tenuto dal duce a Roma il «9 maggio a. XIV E. F.».

 

Il bello è che la lapide dello scandalo sta lì non dal 30 novembre 2015, il giorno in cui viene ufficialmente scoperta, bensì da una ventina d’anni. Soltanto che nessuno a Palazzo San Giacomo, Comune di Napoli, lo sa. Se qualcuno invece lo sa, si fa i fatti suoi. Di sicuro lo ignora il sindaco Luigi De Magistris. Ma quel giorno, lo viene a sapere anche lui. E gli va il sangue al cervello. «Napoli non ha piazze fasciste. Questo scempio sarà eliminato» avverte. 

 

Ma prima bisogna processare il responsabile dello «scempio». Perché un responsabile c’è. Si chiama Marco Nonno, consigliere comunale di Fratelli d’Italia. Classe 1970, si può considerare già un politico di lungo corso, e nel panorama della destra partenopea è una testa calda. I giudici gli hanno già appioppato una condanna per i disordini scoppiati contro la riapertura della discarica di Pianura, che gli costerà in futuro, causa legge Severino, la sospensione dal Consiglio regionale dove verrà eletto nelle liste meloniane. Ma lui la considera «una medaglia» e non arretra di un centimetro dalle proprie convinzioni. Ad Alessio Gemma che lo intervista per «la Repubblica» dice di non essere «mai stato fascista». Soltanto, un «ammiratore del più grande statista del Novecento che ha creato lo stato sociale in Italia. La sinistra
l’ha smantellato, ha solo privatizzato».

 

 

Il “più grande statista del Novecento”, che poi sarebbe il Cavalier Benito Mussolini. Già sentita questa, e proprio da quelle parti. In Consiglio comunale, dove finisce sul banco degli imputati, Nonno si difende come un leone. Racconta che la lapide dello scandalo sta lì da un bel pezzo. Se proprio lo vogliono sapere, ce l’ha messa lui, quando non è nemmeno consigliere comunale ma solo del municipio, eletto con 452 voti di pianuresi, lui che è «pianurese di sette generazioni». Per essere precisi, anzi, ce l’ha ri-messa dopo essersi fatto approvare un bel giorno dal Consiglio municipale, verso la fine degli anni Novanta, il relativo ordine del giorno. Tutti d’accordo. La lapide celebrativa dell’Impero compare in piazza San Giorgio nel 1936. Chissà perché proprio a Pianura, ma il regime è all’apice e l’Italia trabocca ovunque di esultanze cameratesche. Podestà e ras locali del partito fanno a gara per mostrarsi più fascisti del duce. Poi scoppia la Seconda guerra mondiale, arriva l’armistizio e con l’armistizio la Wermacht. Ma i tedeschi non hanno calcolato la reazione dei napoletani, che in quattro giornate li cacciano via a pedate. Napoli è la prima città d’Europa capace di liberarsi da sola dei nazisti. Che fare allora di quella lapide? La creatività partenopea, è noto, non ha confini. Così viene tolta dalla piazza e appiccicata per sfregio faccia al muro sulla parete del municipio non prima di aver inciso sul retro, trasformato nel lato a vista, i nomi dei loro morti nelle quattro giornate.

 

«Il 29 settembre 1943/ Caddero in Pianura/ baciati dalla gloria/ del popolo insorto contro/ la barbarie nazi fascista/ Colimoro Pasquale/ Mele Evangelista/ Vaccaro Antonio/ Mangiapia Fedele/ Longobardi Giuseppina/ Di Nardo Teresa/ Ai barbari oppressori/ eterno odio/ Ai martiri del popolo/ eterna gloria/ Pianura 1-10-1944».

Il caso
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Di conseguenza, quando Nonno la stacca dal muro del municipio e la rimette dov’era stata dal 1936 al 1943 non è più la stessa lapide di prima. È diventata dublefàs. Su un lato è fascista, su quello opposto è antifascista. E proprio per questo, dice Nonno nella sua arringa davanti a De Magistris, sta bene dove sta: «Rappresenta in maniera plastica la storia del popolo italiano, cioè quel popolo che fino al 1943 era tutto fascista e che il giorno dopo, senza neppure cambiare il marmo, ha girato la lapide e sulla stessa lapide ha indicato i morti antifascisti». E per lui la cosa può serenamente finire lì. Resta da capire perché la notizia faccia tanto rumore a scoppio ritardato.

 

Intanto pare che quando trasloca dalla parete del municipio a piazza San Giorgio quella lapide è talmente malridotta da rendere faticosa la lettura delle scritte. Dice chi conserva memoria del trasloco che passando lì davanti non ci si faceva quasi caso. Ma il 27 ottobre 2015 non farci caso è davvero impossibile. In piazza San Giorgio a Pianura si tiene una cerimonia con il consigliere comunale Nonno in prima fila. Preparata senza trascurare i minimi particolari. Li descrive lui stesso al sindaco in Consiglio comunale: «Ho fatto potare l’albero, ho fatto aggiustare un cestino, che il Comune di Napoli possedeva, ma che non aveva mai riparato, ho fatto donare quattro panchine alla piazza, ho fatto donare un pennone con la bandiera, abbiamo aggiustato la pavimentazione, abbiamo riverniciato le pareti, hanno donato un quadro di San Giorgio Martire...».

 

 

E quando è arrivato il giorno, dice, «abbiamo fatto una manifestazione alla presenza di venti carabinieri, dieci poliziotti del Commissariato di Pianura, dieci soldati dell’Esercito Italiano, che facevano il picchetto d’onore, quaranta bambini delle scuole elementari e di tutto il quartiere». Mancava solo la banda. L’occasione di un simile spiegamento di forze? È la solenne inaugurazione di un busto regalato a Pianura dall’Associazione paracadutisti italiani per rimpiazzare il monumento al milite ignoto che qualcuno, mesi prima, ha rubato. Avete letto bene: rubato.

 

Nessuno conosce il ladro, né come abbia fatto a portarsi via una statua che pesa un accidente, e ovviamente non si sa neppure dove sia finita. Una sola cosa è certa: il monumento al milite ignoto di Pianura è scomparso in una notte. Dissolto, sublimato, evaporato. Nemmeno i ladri di Operazione San Gennaro sarebbero arrivati a tanto. Nessuno l’ha più visto. La manifestazione con Nonno in prima fila, invece, l’hanno vista eccome. L’ha vista, soprattutto, il consigliere municipale Pino Di Stasio che fascista non è di sicuro. E gli è andata di traverso. Come gli è andato di traverso il faccione di un soldato con le fattezze del duce e la scritta «Hic manebimus optime» comparso sulle pareti riverniciate. Ma non ha digerito neppure la famosa targa del regime, che sta lì da vent’anni nel disinteresse generale per quel pezzo di marmo. Ora si scopre che è stata perfettamente pulita.

 

Come nuova: finalmente si legge con chiarezza quello che c’è scritto. Ed è sbalorditivo. Subito Nonno viene chiamato a rispondere in Consiglio comunale. Dove si annuncia una tempesta. Ma dopo una fiammata iniziale il dibattito si arena. Scivola sui verbali delle sedute precedenti, il parcheggio sotterraneo al Vomero, la solidarietà ai lavoratori della metropolitana, l’assistenza agli studenti portatori di handicap. Per planare infine sulla scomparsa di Luca De Filippo. E la lapide? Resta lì, dimenticata nella contrizione del minuto di silenzio per la morte del figlio del grande Eduardo. E lì sta ancora adesso, sempre nel disinteresse generale. Quello davvero non è mai cambiato.