La transizione ecologica, l’impatto che avrà sull’economia industriale e la giustizia climatica sono argomenti su cui l'Unione dovrà decidere nei prossimi anni. Ma mentre Weber prova ad affossare il Green Deal, il gruppo S&D fatica a presentare proposte concrete

Nel 2019 gli attivisti di Fridays For Future che occupano il Parlamento Europeo a Bruxelles piantando tende e agitando striscioni all’interno della sede dell’Assemblea elettiva europea, proprio nel weekend in cui si tengono le elezioni per la nuova rappresentanza. Nel 2023, a fine mandato, gli agricoltori che mettono a ferro e fuoco il quartiere europeo per protestare contro il Green Deal, il grano di Kiev e lo stop ai pesticidi. Sono questi i due fermo immagine che raccontano più di altri le prossime elezioni europee a giugno 2024. Questa è la sfida. Questa la posta in gioco della campagna elettorale appena cominciata.

 

Se ne parla sottotraccia da settimane: la transizione ecologica, l’impatto che avrà sull’economia industriale, la giustizia climatica. Ombre grandi di aspettative e prospettive sul voto europeo. Mentre nel mondo di sopra gli argomenti all’ordine del giorno sono quelli visibili, le candidature che spaccano come quella quasi certa dell’anti-abortista, anti-ddl Zan, anti-fine vita Marco Tarquinio nelle file di un Pd dove la grande rivoluzione annunciata dalla segretaria Elly Schlein per un partito inclusivo e in linea con l’Europa dei diritti ne esce annacquata. E ancora le voci che confermano Lucia Annunziata e Antonio Decaro candidati al Sud, Cecilia Strada capolista al Nord Ovest. L'incognita Giorgia Meloni e Elly Schlein nelle liste. Il test della leadership di Matteo Salvini nella Lega e quel derby tra il Carroccio e Forza Italia. Titoli di giornata, polemiche interne. 

 

Nel mondo di sotto ci sono le questioni reali: l’economia che in quest’ultimo decennio è cresciuta la metà degli Stati Uniti (4 per cento contro 8 per cento). La politica estera con i conflitti che bruciano dall’Ucraina al Medio Oriente. Questioni che obbligheranno la Ue a imboccare la strada di una riforma dei Trattati fondativi dell’Unione e di una profonda revisione dei propri meccanismi di funzionamento. Un tema di prospettiva che coinvolge il futuro dell'Europa e ci dice qualcosa nel modo in cui le forza politiche entrano nel dibattito sull’Ue. Francia e Germania hanno già presentato una serie di idee e il Parlamento Europeo ha fatto altrettanto chiedendo di ottenere il diritto di iniziativa legislativa, cioè di proporre nuove leggi, prerogativa che a oggi resta in capo alla Commissione Europea. Un’altra richiesta avanzata dal Parlamento è che all’Ue siano assegnate maggiori competenze in materia di ambiente, salute, energia, affari esteri e difesa.

 

Tutti, o quasi, sembrano consapevoli che un’Unione già troppo lenta e disunita con 27 Stati membri rischia la paralisi se dovesse arrivare a 32 dopo l’ingresso di Ucraina, Moldavia, Albania, Montenegro e Bosnia. Il Parlamento vorrebbe quindi un peso maggiore nell’adozione di atti legislativi su questi temi che per essere approvati dovranno ricevere il consenso sia del Parlamento Europeo sia del Consiglio dell’Unione europea. Al momento, invece, la maggior parte dei provvedimenti segue procedure legislative speciali, che prevedono un coinvolgimento minore da parte dei parlamentari europei. Ci sarebbe poi la questione dell’unanimità prevista da queste procedure: il Consiglio dell’Ue attribuisce a ciascuno dei 27 Stati membri il cosiddetto potere di veto. È proprio così che l’Ungheria ha ostacolato a lungo l’adozione di un pacchetto di aiuti per l’Ucraina del valore di 50 miliardi di euro. Il superamento dell’unanimità è un tema ricorrente nel dibattito sulla riforma dei trattati. Divide anche il nostro Paese e le coalizioni. La segretaria del Pd, il ministro degli Esteri Antonio Tajani (Forza Italia) e la deputata di Italia Viva Maria Elena Boschi hanno detto che bisogna superare il meccanismo del diritto di veto, mentre la Lega è apertamente contraria.

 

Ma è la sfida del cambiamento climatico destinata a sollevare discussioni e politicizzare il dibattito pubblico da qui ai prossimi mesi. Da tempo il leader dei popolari europei, Manfred Weber, strizza l’occhio al movimento dei trattori e tenta di affossare i piani verdi di transizione ecologica, assieme all’estrema destra, cercando di riposizionare il suo partito in vista dell’inizio della campagna elettorale. Sullo sfondo c’è il progetto di alleanza con i conservatori dell’Ecr, di cui fa parte Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, e la nascita di un fronte postelettorale centrodestra-destra che possa sostituire nella prossima legislatura la maggioranza che ha governato a Strasburgo in questi 5 anni, ovvero il Ppe, i socialisti (S&D) e i liberali (Renew), con spesso il sostegno dei Verdi. Per capirlo basta ricordare il “no” del Ppe sulla “Legge sul ripristino della Natura”, tassello chiave dell’ambizioso Green Deal europeo che punta a recuperare il 20% delle aree terrestri e marine dell’Ue entro il 2030. Una spallata non riuscita che ha portato alla spaccatura del Ppe. Il testo è infatti riuscito a passare anche se il negoziato tra i rappresentanti di Parlamento, Commissione e Consiglio ha portato a un’intesa, con elementi al ribasso che vengono incontro ai critici. Tuttavia Weber che vede gli imprenditori come propria base elettorale è riuscito a polarizzare il dibattito pro o contro il clima. Presenza fissa ai picchetti degli agroindustriali sotto all’Europarlamento sul fronte opposto di quelli di Greta Thunberg; Weber non ha mai mancato il suo appoggio a Copa Cogeca, la federazione di sindacati agricoli più longeva, importante e influente d’Europa che rappresenta soprattutto gli interessi dei grandi agricoltori industriali e delle cooperative. Il tema sulle misure per il clima e l’ambiente, la protezione dei consumatori e i diritti dei lavoratori è dunque pronto a incendiarsi di fronte a un ribaltamento delle forze all’interno del Parlamento. E se i Popolari (che compongono tuttora la maggioranza “Ursula” insieme con le forze di Sinistra) hanno già scaricato le stesse iniziative a cui avevano lavorato, i socialdemocratici non riescono a essere chiari. Come spiega Politico Europe, il problema dei socialisti è la «mancanza di visione». 

 

Pur rivendicando una “transizione giusta” - difendere i mezzi di sussistenza e dei diritti delle persone combattendo al tempo stesso il cambiamento climatico - il gruppo fatica a concretizzare quel messaggio ampio in proposte radicali per il timore di scoraggiare una base elettorale “anziana”. Un programma elettorale quello dei socialdemocratici che risulta a molti analisti “confuso” sui dettagli del Green Deal. All’ultimo congresso i discorsi sul clima si sono concentrati più sul riscaldamento globale che sull’impatto economico delle persone. «L’obiettivo dichiarato dei socialisti è quello di integrare nella strategia climatica del blocco più politiche sociali, creando un “Green Social Deal”», spiega Politico: «C'è solo un problema: non è chiaro che cosa questo voglia dire».