Verso il voto

Fabrizio Barca: «Un tour per una nuova agenda della Ue»

di Fabrizio Barca   22 aprile 2024

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Una maratona di incontri sui territori. Welfare, sanità, diritti, pace, i temi affrontati nella campagna del Forum Disuguaglianze Diversità. Obiettivo: la partecipazione

Scetticismo sull’Unione europea; scarso interesse per il voto dell’8-9 giugno. È la foto dell’Italia scattata da Eurobarometro lo scorso ottobre: il 63% ritiene che la propria voce a Bruxelles non conti, contro il 47% in media Ue; la stessa appartenenza dell’Italia all’Ue è ritenuta buona cosa solo dal 43%, contro il 61% in media Ue; e così, solo per il 40% è davvero importante votare, contro 47% in media Ue.

 

Sono orientamenti confermati dai primi 20 incontri (di 80) in tutta Italia, da Catanzaro a Dronero, da Asti ad Avellino, che il Forum Disuguaglianze Diversità ha realizzato con in mano la leva di Quale Europa, uscito per Donzelli. È una verifica significativa, perché ad accoglierci sono persone interpreti delle disuguaglianze del Paese, impegnate per la giustizia sociale e ambientale, protagoniste di quel fermento diffuso che ci tiene sulla frontiera dell’innovazione. Emerge allora lo iato tra il carattere radicale, concreto e motivante delle esperienze realizzate in molti territori e il sistema delle istituzioni europee, vissuto come lontano, sordo e inconcludente. E allora negli incontri abbiamo preso di petto scoramento e giudizio di inconcludenza. Come fa il libro. Per condividere che, in realtà, su questioni fondamentali per le nostre vite, l’Ue, dopo una lunga deriva dominata dalla cultura neoliberista, ha avviato un ripensamento diffuso, compiendo passi significativi nella giusta direzione; ma non lo ha fatto in campi decisivi come pace e cooperazione internazionale e, comunque, si è quasi ovunque imballata, compiendo decise retromarce. Vediamo.

L’Ue ha rimesso al centro i diritti sociali con il Pilastro del 2017, dandogli attuazione attraverso direttive e costruendo il monitoraggio degli esiti, ma poi ha mancato gli obiettivi – si pensi alla povertà – e non ha contrastato l’erosione dei sistemi di welfare nazionali prodotta dalla concorrenza fiscale fra Stati membri. Con la pandemia, ha sospeso il patto di stabilità, ma poi lo ha reintrodotto con meccanismi automatici astrusi che bloccano gli investimenti; ha realizzato acquisti congiunti di vaccini dai privati, ma senza adottare clausole di rinegoziazione e a condizioni di prezzo inammissibili, e ha negato al Sud del mondo la sospensione dei brevetti su quei vaccini. Ha lanciato la svolta del Green Deal, ma poi, non solo in connessione con l’aggressione russa all’Ucraina, ha iniziato una marcia indietro a tutto campo. Ha compreso che l’obiettivo di sostenibilità ambientale e sociale va portato dentro la responsabilità delle grandi imprese, ma poi ha annacquato la direttiva che gli dava cogenza. Ha lanciato Next generation Eu con le missioni strategiche giuste, rompendo il tabù del «debito Ue», ma poi non si è dotata delle risorse umane per verificare che le nuove regole che mettono al centro risultati conseguiti e riforme fossero rispettate nella sostanza; e così, oggi, a dominare è il vecchio obiettivo di spendere, a ogni costo e comunque, in barba a monitoraggio e partecipazione, che in Italia sono a zero. Ha promosso un modello originale di governo del digitale trainato dai diritti delle persone, anziché dalle mega-corporations (Usa) o dallo Stato (Cina), anche spingendo la condivisione dei dati non personali per funzione di interesse pubblico, ma non osa procedere alla necessaria limitazione dei monopoli intellettuali.

 

Sul fronte delle relazioni internazionali il vento del cambiamento, in realtà, non è mai arrivato. Non è arrivato nella politica verso l’Africa e le migrazioni, con il pessimo Patto appena concluso, che mortifica i diritti di asilo, ignora ogni prospettiva strategica per un’Europa in crisi demografica ed è incapace di concepire un rapporto paritario, post-coloniale con l’Africa. Non è arrivato nelle gravi crisi belliche, dove, come drammaticamente già fu nei Balcani, l’Unione europea è incapace di promuovere dialogo ed è anzi fonte di spirito bellico, ovviamente sulla pelle di altre e altri.

Ecco allora emergere le due ragioni del go and stop appena riassunto. Permane dentro le classi dirigenti dell’intera coalizione che ha governato l’Europa un marchio culturale neoliberista per cui la complessità sarebbe governabile solo da saperi fortemente concentrati, anche monopolistici, postura che sotto la facciata della tecnocrazia favorisce la dinamica autoritaria. E poi pesa fortissimo il deficit di capacità di quelle classi dirigenti, che letteralmente non sanno gestire metodi di governo partecipati, di confronto fra livelli di governo e con le forze sociali, ed ecco allora il «dirigismo delle buone intenzioni», fatto da scatti in avanti non spiegati e precipitosi passi indietro. Una manna per gli avversari del cambiamento.

 

E allora? A che cosa puntare in modo realistico l’8 e il 9 giugno? In nome di cosa ritrovare la voglia di votare? La risposta torna e ritorna nei nostri incontri. L’Unione ha la scala, i principi di coesione e pace e gli strumenti per la svolta radicale necessaria. Serve una sua diversa classe dirigente. Non la si cambia dalla mattina alla sera, ma la si può penetrare. Il Parlamento europeo è il luogo adatto per farlo. Perché persino a Trattati dati, moltissimo passa in quel luogo. Perché il Parlamento funziona: funzionano le sue commissioni e audizioni e il confronto fra parlamentari di partiti e Stati diversi. Perché noi, in Italia, possiamo scegliere chi eleggere, come ci è invece negato nelle elezioni nazionali. E allora mettiamo alla prova ogni candidato e candidata, chiedendo impegni su proposte concrete come quelle di Quale Europa. E miriamo a espandere quella nuvola di parlamentari progressisti in sintonia con la contemporaneità che la settimana scorsa ha tentato di realizzarlo davvero un cambiamento, dando vita a un’infrastruttura europea per la ricerca e lo sviluppo di farmaci: 156 sì, con 98 che si sono astenuti rigettando il no di scuderia. Al prossimo Pe potremmo farcela.

 

Fabrizio Barca, Forum Disuguaglianze Diversità