25 aprile
"La Costituzione è nata dall’antifascismo": anche quest'anno Mattarella dice quello che la Destra non dice
Nel giorno della Liberazione Matteo Salvini candida il generale Vannacci e Meloni evita ancora una volta di pronunciare le parole "difficili" (antifascismo e Resistenza). Ma il Capo dello Stato ricorda: «Senza memoria, non c’è futuro»
Nella guerra di piazze tra insulti e applausi, scontri e commozioni che hanno segnato purtroppo, anche il 25 aprile due figure assumono ancora una volta il rilievo di simbolo per il Paese: per quelle parti dell’Italia e per quegli italiani che scelgono di identificarsi nell’una o nell’altra.
Il vice presidente del Consiglio Matteo Salvini, scopre la sua carta per le europee ufficializzando la candidatura del generale Roberto Vannacci che correrà in tutte le circoscrizioni. «Sono contento che un uomo di valore come il generale abbia deciso di portare avanti le sue battaglie di libertà insieme alla Lega in Parlamento europeo», ha detto alla platea venuta ad ascoltare la presentazione del suo libro 'Controvento', all'Istituto dei Ciechi a Milano. La candidatura di Vannacci il generale-scrittore che ha definito più volte Benito Mussolini «Lo statista che governò l’Italia dal 1922 al 1943», nel giorno della Liberazione fa discutere. «Una provocazione - l'ha definita il deputato Avs Angelo Bonelli - Una svolta xenofoba che premia un generale sotto provvedimento disciplinare avviato dal ministro della Difesa Crosetto». «Per festeggiare il 25 Aprile Salvini annuncia la candidatura di Vannacci, un militare criptofascista che dice di non potersi definire antifascista», è il commento del segretario di Più Europa Riccardo Magi.
Sergio Mattarella, invece, era al lavoro dalla mattina. Nella cittadina toscana di Civitella Val di Chiana, dove i nazisti uccisero a freddo quasi 250 civili per ritorsione compiendo così un «gravissimo crimine di guerra». Il Presidente ha speso il suo 25 aprile per una lezione di storia che non lascia spazio ai revisionismi. Fu un regime «disumano» che «negava l'innegabile» attraverso una strettissima censura dei giornali, che «non conosceva la pietà», che educava i bambini «all'obbedienza cieca ed assoluta». Un regime, quello fascista, «totalmente sottomesso» a quello hitleriano nonostante le velleità di grandezza, inginocchiato ai nazisti che «ci consideravano un popolo inferiore».
Così, mentre nelle piazze italiane il ricordo della lotta al nazifascismo sbiadiva nella contestazione a Israele per i suoi sanguinosi attacchi sulla striscia di Gaza, il Capo dello Stato elencava con rigore gli orrori compiuti dal fascismo, le sue codardie, il collaborazionismo con i nazisti fino all'ultimo tragico errore della repubblica di Salò, «il regime fantoccio instaurato da Mussolini sotto il controllo totale di Hitler». Ricordi potenti e citazioni che sembrano respingere quel distinguo di giustificazioni da e verso i palazzi della politica: «La parola antifascista purtroppo ha portato in tanti anni a morti» è stata la frase pronunciata dal ministro dell'Agricoltura, della Sovranità alimentare Francesco Lollobrigida, qualche giorno prima. Mentre il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano ha sostenuto alla vigilia del 25 aprile che in Italia c’è stata «la dittatura comunista».
Mattarella ha fatto così un pieno di «memoria» senza la quale, ha sottolineato, «non c'è futuro». Al presidente della Repubblica è stato necessario ripercorrere con crudezza la realtà storica per arrivare al cuore del messaggio di questo suo intervento per la Festa della «liberazione che non è una festa della "libertà" genericamente intesa. C'è stato chi ha liberato e chi ha collaborato con i nazisti».
«L'antifascismo» dovrebbe far parte del dna degli italiani, sembra dire Mattarella, ed è forse frustrante doverlo ripetere ad ogni 25 aprile. Invece la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha celebrato la giornata senza sforzi né pathos: venti minuti all’Altare della Patria e dieci righe su Internet, frase chiave: «la fine del fascismo pose le basi della democrazia» assenti parole come anti-fascismo e Resistenza.
Non è certo una replica voluta quella del Capo dello Stato, ma la coincidenza è significativa: la costituzione nasce dalla Liberazione, da quanti la resero possibile, e non ci dovrebbero essere divisioni sulla giustezza dei valori che compongono e strutturano la parola «antifascista», peraltro «fondanti» della stessa Costituzione. «Intorno all'antifascismo - ha spiegato il presidente - è possibile e doverosa l'unità popolare, senza compromettere d'altra parte la varietà e la ricchezza della comunità nazionale, il pluralismo sociale e politico, la libera e mutevole articolazione delle maggioranze e delle minoranze nel gioco democratico».
Se l'anno scorso da Cuneo Mattarella chiuse il suo discorso con una frase ad effetto e altamente simbolica, «ora e sempre Resistenza!», dalla Toscana ha articolato il ragionamento parlando del «riscatto morale» che rimise in piedi l'Italia: «L'8 settembre, con i vertici del Regno in fuga, fece precipitare il Paese nello sconforto e nel caos assoluto. Ma molti italiani non si piegarono al disonore. Scelsero la via del riscatto. Un riscatto morale, prima ancora che politico, che recuperava i valori occultati e calpestati dalla dittatura. La libertà, al posto dell'imposizione. La fraternità, al posto dell'odio razzista. La democrazia, al posto della sopraffazione. L'umanità, al posto della brutalità. La giustizia, al posto dell'arbitrio. La speranza, al posto della paura». Ed anche, è il non detto, il coraggio di prendere le armi per ritrovare una dignità che si era perduta sin dal lontano 1924. L'anno dell'omicidio di Giacomo Matteotti voluto da Mussolini, eseguito dai suoi sgherri, coperto proprio da quel fascismo nascente che con l'uso compiacente dei media di allora, coprì, depistò ed insabbiò. Il coraggioso politico socialista ed antifascista del quale si celebrano i 100 anni dell'omicidio e la cui figura il presidente ha voluto ricordare perché già allora il fascismo svelò «i suoi veri tratti brutali e disumani».