Verso il voto

«Noi giovani voteremo alle Europee per dovere. Ma nessun leader italiano è in grado di rappresentarci»

di Chiara Sgreccia   27 maggio 2024

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Giovani al voto Ue

Come emerge dall'analisi di Scomodo su 10mila under35, c'è una distanza siderale tra la visione del mondo delle nuove generazioni e quelle delle istituzioni: «I politici perdono tempo a farsi dissing»

I giovani non sono disinteressati alla politica ma alle forme attraverso cui quella tradizionale si manifesta. Perché i partiti hanno fatto del loro coinvolgimento uno slogan, valido solo fin quando la partecipazione non si articola in forme che potrebbero mettere in discussione la realtà esistente. Chi ha trent’anni oggi non si sente rappresentato né a livello anagrafico, né per le tematiche che alimentano il dibattito, perché le istituzioni non comprendono le espressioni del loro attivismo politico, che o ignorano o reprimono. 

 

Così «c’è una distanza siderale tra la visione del mondo delle nuove generazioni e la realtà delle istituzioni. Soprattutto di quelle italiane. Perché, invece, nei valori dell’Ue c’è fiducia. Ma manca la conoscenza del funzionamento dei suoi organi visto che a scuola se ne parla poco»: è quanto emerge dall’analisi sul presente e sul futuro dell’Unione Europea, in vista delle prossime elezioni, realizzata su quasi 10 mila persone con meno di 35 anni, da Scomodo, una comunità di under 30 nata a Roma, che si impegna a creare spazi di espressione, condivisione, e crescita per le nuove generazioni.

 

Dai dati raccolti, infatti, si evince che il 47 percento degli intervistati ha più fiducia nelle istituzioni Ue che in quelle italiane (mentre il 39 per cento ha scarsa fiducia in entrambe), sebbene il 60 per cento dichiari di non sapere come funzionano. Ma soprattutto dalle risposte degli under 35 si capisce che l’83 per cento, più di 8 giovani su 10, pensa che i leader italiani non siano in grado di rappresentare le loro istanze nelle istituzioni europee. «Perché perdono gran parte del tempo a farsi dissing senza prendere, invece, in considerazione il nostro disorientamento», chiarisce, ad esempio, Filippo, studente di Giurisprudenza fuorisede, felice di poter votare a giugno per la prima volta dalla città in cui studia: «Siamo una generazione che non sa se potrà mai tornare a vivere nel posto in cui è cresciuta. Poter andare a lavorare all’estero oppure nelle grandi città per chi arriva da un piccolo comune è una grande possibilità. Ma oggi non è più una scelta in quanto la probabilità di tornare a casa dopo gli studi e trovare un’occupazione è bassissima». Filippo spiega che vorrebbe un’Europa che sì fosse protagonista nello scacchiere internazionale, ma anche capace di prendere in considerazione le istanze della sua generazione. «Come mi si può chiedere di aver fiducia nelle istituzioni? Quando già nella realtà universitaria mi scontro tutti i giorni contro il fatto che l’amichettismo conta più di quello che è giusto», commenta, invece, Cristian, che studia Scienze Politiche: «Voterò alle Europee per dovere civico e per contrastare le forze politiche che portano avanti battaglie opposte alle mie. Ma non c’è un partito da cui mi sento rappresentato».

 

A sottolineare la distanza che separa i giovani italiani dalla politica c’è anche un altro dato: se in tutti i Paesi membri dell’Ue tra le elezioni europee del 2014 e quelle del 2019 l’affluenza è salita (dal 42, 6 per cento al 50,7 per cento) a causa di un aumento del voto nella fascia dai 16/18 anni ai 24, in Italia è successo il contrario: mentre nel 2014, il 44,7 per cento dei 18-24enni diceva di aver votato, nel 2019 il 42,8. Come spiega Edoardo Bucci, 24 anni, tra i fondatori di Scomodo nel 2016, lo scollamento non è tra i giovani e gli ideali democratici – il 73 per cento degli intervistati, ad esempio, ritiene che sia importante che l’Ue faccia accordi solo con i Paesi che rispettano i diritti umani –  bensì tra under 35 e classe politica: «I partiti hanno perso connessione sia con i territori sia con i giovani. Mancano i corpi intermedi, la capacità di dialogo, la volontà di portare l’attenzione su tematiche più ampie e durature nel tempo. Ma anche l’elemento demografico pesa: nel 2019 l’età media dei membri del Parlamento europeo era 49 anni. Così, ci sono tante forme di attivismo politico che riguardano i giovani – territoriale, movimentista, dal basso –  che, però, non vengono lette dall’opinione pubblica più adulta come effettiva partecipazione politica. Forme che i partiti non intercettano e fanno passare per disinteresse». Emerge con chiarezza, dalle parole di Bucci, anche il paternalismo costante del dibattito politico attuale, per cui solo ciò che viene riconosciuto come valido dal “mondo adulto” può esistere.

 

Dalla ricerca “Nuovi europei”, infatti, si evince che il 94 per cento degli intervistati è preoccupato per la crisi climatica, il 90 per cento per l’aumento dei prezzi, l’89 per cento per la salute mentale. «Tutti temi che andrebbero affrontati per l’importanza che hanno, non racchiusi sotto il cappello di “quello che vogliono i giovani”», sottolinea ancora il co-fondatore di Scomodo. Anche perché sono argomenti che interessano proprio chi dovrà costruire il futuro dell’Unione Europea. E che, essendo interconnessi tra loro  – non si può parlare di giustizia climatica senza garantire quella sociale: i prezzi aumentano anche a causa degli eventi climatici estremi che proprio come i conflitti e la crisi economica creano preoccupazioni e ansie che influiscono sulla salute mentale, soprattutto di chi è una condizione di debolezza – mostrano l’esistenza di una visione del mondo diversa da quelle vigente. C’è un’impellente necessità di cambiamento che, secondo i 9.943 under 35 che hanno risposto al questionario “Sulle paure e le speranze dei giovani alla vigilia del voto”, dovrebbe svolgersi dentro la cornice dell’Unione Europea. Se questa, però, sarà in grado di intercettarla.