Dalla scomparsa del leader carismatico sono sotto mille sigle, di rado riunite per battaglie comuni. E spesso in lite anche giudiziaria. Ma c’è chi prova a rimetterli insieme

Divisi e lontani, all’insaputa di un’opinione pubblica che li ricorda compatti nel nome di libertà e diritti. I radicali oggi non gravitano più nella stessa galassia, implosa in mille pezzi che di rado tendono ad avvicinarsi, senza riallinearsi del tutto. Sguardi opposti che faticano a convergere, da quando la loro stella polare è caduta.

 

«Capitale corrotta=nazione infetta». Così titolava L’Espresso dell’11 dicembre 1955, a pochi mesi dalla fondazione, presentando una delle prime inchieste italiane a firma di Manlio Cancogni sulla disordinata espansione urbanistica di Roma nel dopoguerra, priva di qualsiasi piano regolatore. Il titolo sintetizzava la campagna contro la speculazione edilizia portata avanti dal Partito Radicale, nato lo stesso anno e intimamente legato al settimanale di Arrigo Benedettied Eugenio Scalfari, già membro della segreteria. L’eco dell’inchiesta portò Leone Cattani, capolista alle elezioni comunali di Roma del 1956, verso il primo seggio radicale dell’Assemblea Capitolina. Un timido ingresso nelle istituzioni di un partito che, negli anni a venire, contribuirà a traghettare il Paese verso un’inedita e laica modernità, grazie alle campagne per il no all’abrogazione del divorzio e dell’aborto, battaglie per la depenalizzazione delle droghe, contro la pena di morte e la leva.

 

Temi verso cui gli elettori volgevano lo sguardo grazie ad una politica fatta col corpo, sottoposto a digiuni estremi e autodenunce. Proprio il corpo del loro leader Marco Pannella ha resistito fino al 2016, quando a 86 anni si spegne per un tumore. Un applauso di migliaia di mani accoglie l’arrivo del feretro in piazza Navona, portato sul palco dove tutti gli esponenti delle realtà radicali passano in rassegna i loro ricordi. Nel 1989, infatti, il partito si sveste della sua connotazione tradizionale confluendo in un nuovo soggetto transnazionale e transpartitico. Una Ong di respiro internazionale al cui interno gravita una «galassia radicale» composta da associazioni, comitati e liste rappresentati in un Senato ad hoc, ognuna delle quali promuove le storiche campagne in maniera autonoma e per conto del partito.

 

Nel tempo, i rapporti tra partito centrale e «soggetti costituenti» si deteriorano, causando l’esodo di illustri esponenti radicali verso lidi politici di ogni colore, e l’assenza di una figura collante come Pannella aggiunge altro sale sulle ferite. La svolta è nel settembre 2016, quando durante un congresso straordinario nel carcere di Rebibbia viene cancellato – sotto la regia dell’allora tesoriere Maurizio Turco – l’organo del Senato interno, prevedendo l’elezione delle cariche ogni 5 anni.

 

Con poche modifiche statutarie «viene sovietizzato il partito», spiega Marco Perduca, ex senatore radicale e braccio destro di Marco Cappato nell’Associazione Luca Coscioni, tanto che «da lì in poi, piano piano, sono andati tutti via». La corrente contraria viene espulsa dal Partito con tutti gli altri membri della galassia, la cui cancellazione verrà ratificata nel congresso del 2019. A partire da cui tutte le associazioni saranno sfrattate dalle sedi storiche di via Torre Argentina, per rifugiarsi sotto un nuovo tetto: +Europa. Come nei divorzi più burrascosi, il Partito trascina in tribunale Radicali Italiani, nato nel 2001 per gestire le campagne nazionali, contestando debiti per migliaia di euro. Non è bastato un accordo transattivo a placare le tensioni fra ex alleati, estesi a macchia d’olio anche verso Nessuno tocchi Caino, l’unica realtà rimasta fedele al Transnazionale. «Per dei dettagli del contratto non davano più la possibilità a Rita Bernardini, presidente dell’associazione, di usare il bagno della sede di Torre Argentina», afferma Matteo Hallisey, classe 2003 alla guida di Radicali italiani: «Turco voleva essere l’unico rappresentante del mondo radicale, tutti gli altri erano degli eretici».

 

Nonostante l’allontanamento forzato, i membri della ex galassia non hanno mai smesso di collaborare per progetti comuni. Tanto che i loro principali esponenti (Emma Bonino, Giandomenico Caiazza e Bernardini stessa) spiccano fra i nomi della lista «Stati Uniti d’Europa» in corsa per le elezioni europee di giugno. Lo stesso nome sarebbe dovuto comparire sullo storico simbolo della Rosa nel Pugno depositato dal Partito Transnazionale, escluso dal Viminale perché foriero di confusione con l’omonima lista già presente, e solo di recente riabilitato dal Tar. «Evidentemente il ministero riteneva più opportuno “proteggere” il simbolo presentato da chi ha più aderenze con il regime italiano», commenta Turco, oggi segretario.

 

Il distacco tra i radicali affiora sul lato politico e personale, non a caso al federalismo di Radicali Italiani e +Europa, il partito di Turco risponde appoggiando Forza Italia. «Il Partito Radicale è composto dai suoi iscritti, l’iscrizione è aperta a tutti e nessuno può essere espulso», continua Turco, mentre i Radicali Italiani si dichiarano «senza rancore e aperti per iniziative comuni». D’altronde, un filo rosso di proposte pannelliane continua a legare le loro agende, rischiando però di confondere cittadini e osservatori estranei alla bolla partitica. Per scongiurare questo pericolo, il forum “Bellezza radicale” prova a superare la diaspora promuovendo un dialogo tra le realtà della ex galassia. Specialmente in tempi in cui gli antiabortisti hanno i tappeti rossi nei consultori, si rischia la patente tre giorni dopo uno spinello e la regolamentazione dell’eutanasia è ancora in mano a singole regioni o giudici.