Libertà di informazione

Lo sciopero Rai diventa un caso politico: Tg1 e Tg2 vanno in onda grazie al "sindacato" di Destra

di Chiara Putignano   6 maggio 2024

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L'astensione dal lavoro proclamata da Usigrai viene aggirata attraverso Unirai vicina al governo e a Fratelli d'Italia. Saltano i notiziari regionali, ma delle edizioni "incerottate" di quelli su Rai 1 e 2 vanno normalmente in onda, per la gioia del governo. «Crolla il muro del monopolio sindacale», esulta Gasparri

Al posto dei notiziari regionali su Rai 3 va in onda il telefilm del cane poliziotto con più vite di un gatto; ma lo sciopero delle giornaliste e dei giornalisti Rai fallisce sui Rai 1 e Rai 2. Un "controboicottaggio" messo in atto attraverso Unirai, neonato sindacato di destra dei cronisti della televisione pubblica che si sono messi all’opera per evitare un vuoto nel palinsesto. Il risultato, messo in onda con le edizioni delle 13 e alle 13.30, secondo l’organizzazione sindacale che ha indetto l’astensione dal lavoro, sono però «telegiornali con servizi e collegamenti insolitamente lunghi per raggiungere la maggior durata possibile». Insomma, una pezza che coprirà pure il buco ma ha «cancellato interi temi e intere notizie come cronaca e economia. Un inganno ai cittadini per mascherare il fallimento del boicottaggio».

 

Da via del Plebiscito 102 a Roma - dov’è stata organizzata una conferenza stampa delle giornaliste e dei giornalisti Rai - il segretario Usigrai Daniele Macheda aveva messo le mani avanti: «Verificheremo se non ci sono state violazioni del diritto di sciopero. Vedremo che prodotto riusciranno a fare. Se si accontenteranno di giornali monchi o sommari che non rispondono a criteri giornalistici». E alla fine qualche minuto dopo la risposta è arrivata: servizi chiusi e firmati, collegamenti in diretta con le sedi estere, come Gerusalemme, Parigi e Mosca ma anche con Palazzo Chigi. «Sappiamo che è un tentativo che l'azienda stava facendo. Il diritto di scioperare o non scioperare va tutelato per tutto per tutti», ma non è accettabile «tentare strumentalmente di boicottare lo sciopero», conclude Macheda. Sciopero che ha funzionato in modo particolare su Rai 3 dove, tranne in Puglia e Marche, i notiziari regionali non sono andati in onda. 

Se c’è qualcuno che sembra particolarmente entusiasta di quei «tredici servizi con collegamenti insolitamente lunghi» è uno dei membri della commissione di Vigilanza, nonché presidente dei senatori di Forza Italia, Maurizio Gasparri: «Liberi di scioperare, liberi di lavorare - scrive su X -. Crolla il muro del monopolio sindacale. Vince la libertà di scelta per tutti». Evidentemente c’è da chiarirsi su quale sia l’interpretazione del concetto di libertà, la stessa rivendicata dalle giornaliste e dai giornalisti della Rai. La stessa nel nome della quale è stato indetto lo sciopero del 6 maggio, a partire dall’ultimo terreno di scontri tra dirigenza e dipendenti, ovvero il tentativo di «censura di un monologo sul 25 aprile (quello di Antonio Scurati ndr)». 

Di tutt’altro avviso è Matteo Ricci, primo cittadino di Pesaro e candidato alle prossime Europee per il Pd al Centro: «Siamo dinanzi -non soltanto ad un danno per la libertà di stampa, evidenziato anche dai recenti dati forniti dal World Press Freedom Index 2024, ma a un danno per l'azienda. Se ne sono andati tutti verso altri canali. La Rai va salvata e preservata. Ecco perché va sostenuta l'azione di sciopero che giornaliste e giornalisti stanno attuando oggi per garantire al più presto maggiore libertà d'informazione e un futuro solido per l'azienda che, ricordiamolo, è pubblica». 

A guidare lo sciopero non solo «il clima asfissiante» che si respira nei corridoi della Rai ormai da tempo, ma anche «le scelte del vertice aziendale che accorpa testate senza discuterne col sindacato, non sostituisce coloro che vanno in pensione e in maternità facendo ricadere i carichi di lavoro su chi resta, senza una selezione pubblica e senza stabilizzare i precari, taglia la retribuzione cancellando unilateralmente il premio di risultato», come spiegava Usigrai nel comunicato letto durante il telegiornale di domenica. Dura la replica del Cda della Rai che ha accusato i suoi dipendenti di «promuovere fake news» per «motivazioni ideologiche e politiche». Di contro, la scelta e le motivazioni dello sciopero sono state ribadite dalle giornaliste e dai giornalisti durante la conferenza alla Stampa Estera di lunedì mattina, che con forza rivendicano la volontà di «perdere uno o più più giorni di paga», piuttosto che la libertà. Al tavolo c'erano Serena Bortone, quella che alla fine il monologo di Antonio Scurati sul giorno della liberazione l’ha letto in diretta su Chesarà, il conduttore di Report, Sigfrido Ranucci, Macheda e Vittorio Di Trapani, presidente Fnsi che su X commenta: «In piena linea con il clima di attacco alle libertà e ai diritti, il vertice Rai attacca il diritto allo sciopero dell’Usigrai e tenta di delegittimare il sindacato, accusandolo di posizioni ideologiche. Comportamenti dal sapore antisindacale che riportano ai padroni anni Cinquanta e Sessanta». 

Il conduttore di Report invece ha individuato il punto di declino della Rai a partire «dall’approvazione della legge Renzi». Da lì in poi «la situazione è peggiorata. Soprattutto nell’ultimo anno: non ricordo un premier che abbia definito linciaggio un’inchiesta del proprio servizio pubblico, come sull’accordo per l’immigrazione con l’Albania». Bortone invece ha approfittato della conferenza per tornare sul caso Scurati lasciato in sospeso e tutt’ora da chiarire: «Il contratto è stato chiuso il lunedì prima della trasmissione per 1.500 euro lordi, poi Scurati ci ha dato il testo del suo intervento e io lo ho girato al mio superiore, come normalmente avviene - spiega la conduttrice -. Alle 16.30 del pomeriggio di venerdì l'ufficio scritture ci ha detto che il contratto era stato annullato. Non era mai successo che un contratto fosse annullato dall'alto». In totale contrapposizione a quanto accaduto e al «clima asfissiante per la libertà dell'informazione in Rai» - come l’hanno definito i vertici di Fnsi, nella tv pubblica che sogna Serena Bortone c’è anche «la rappresentazione del dissenso». Perché per la conduttrice, e contrariamente a quanto sostenuto nella replica dell’azienda, «la perdita del pluralismo fa perdere qualità, ascoltatori e soprattutto onore».