Politica
16 ottobre, 2025Dei moderati non c’è necessità, dice Franceschini. Mentre Taruffi liquida il centro. Ma la Toscana racconta altro. “Così come la storia”, ricorda Parisi, evocando la stagione Prodi
Il capovolgimento era stato anticipato da Dario Franceschini, i moderati non ci interessano più, ha in sostanza detto a fine estate l’esponente del Pd, il cui percorso politico è iniziato da vicesegretario del Partito popolare italiano. Meglio il voto identitario, «dando ai tuoi elettori una ragione per non astenersi», argomentava l’ex ministro in un’intervista a la Repubblica, il 16 settembre. Più recentemente, l’8 ottobre, fra il voto della Calabria e quello della Toscana, sullo stesso quotidiano, Igor Taruffi, il dirigente del Nazareno più vicino a Elly Schlein, è andato oltre: «L’idea che le elezioni si vincano al centro non è suffragata dalla storia dei risultati elettorali».
Il 13 ottobre, il voto della Toscana ha visto però il bis di un riformista proveniente dal filone socialista e allergico alle radicalizzazioni. Ricandidato dal campo largo, Eugenio Giani ha vinto con quasi il 54 per cento contro il 40 per cento del meloniano Alessandro Tomasi, con una rivalutazione, da parte della leader del Pd, dei «moderati» che – ha commentato – hanno votato la nostra coalizione».
Come la mettiamo? Arturo Parisi, al fianco di Romano Prodi nella vittoria del 1996 e nella semi-vittoria del 2006, la vede così: «In ultima analisi tutto dipende da cosa intendiamo quando diciamo che le “elezioni si vincono al centro”. E dipende anche da quale sia l’obiettivo della politica: se solo vincere le elezioni o dare nel presente un futuro al Paese. Chissà? Magari una volta chiariti queste due punti – premette il politologo ed ex ministro – potremmo anche essere d’accordo con Taruffi. Se invece insiste nel dire che in un sistema in qualche misura maggioritario e tendenzialmente bipolare si può fare a meno dei voti degli elettori che non si definiscono di sinistra, direi tranquillamente che ha torto. Visto che affida la verifica dell’idea alla “storia passata”, avendo, diciamo, dato una mano alle due uniche occasioni nelle quali quelli che si definiscono “sinistra” hanno partecipato a una vittoria, posso assicurarlo che è proprio la storia a dare torto a lui e alla attuale segreteria del Pd».
La prospettiva di un partito sempre più radicalizzato toglierebbe inevitabilmente spazio alla componente riformista. Aumenterebbe il disagio della minoranza una leadership di partito convinta che si possa vincere raccogliendo voti strettamente di sinistra e che fra gli astensionisti da riconquistare non ci siano “moderati”. La premessa di questo ragionamento è che la politica ormai si sia radicalizzata, fino al punto di rimescolare tutto. «Di sicuro – osserva il politologo Salvatore Vassallo – negli ultimi anni, si è sviluppata una tendenza alla polarizzazione su alcuni temi identitari – a destra l’immigrazione, a sinistra i diritti civili e ora la questione palestinese – che possono mobilitare segmenti dell’elettorato esposti alla tentazione dell’astensione. Ma esistono anche parti dell’elettorato – avverte il direttore dell’ Istituto Carlo Cattaneo di Bologna – che possono spostarsi da un campo all’altro: sono di misura contenuta – fra il 4 e il 5 per cento – eppure potenzialmente determinanti. Il riferimento è soprattutto ai voti ottenuti nelle elezioni politiche del 2022 dall’area che potremmo definire liberal-democratica: Azione, Italia Viva e + Europa. Non sono voti di proprietà dei leader di queste formazioni politiche. Una parte proviene da elettori che in passato hanno votato per il centrodestra e potrebbero tornare a farlo. Del fatto che siano elettori esposti al richiamo del centro-destra, abbiamo un riscontro empirico dai flussi registrati nelle elezioni regionali e locali. È un elettorato che diffida dei toni demagogici e che potrebbe essere ininfluente solo nel caso in cui i Cinque Stelle riuscissero a ripetere quanto sono riusciti a realizzare nelle ultime settimane della campagna elettorale del 2022, mobilitando una quota significativa di potenziali astenuti, soprattutto al Sud, ma portando, stavolta, quei voti nel campo largo. Se invece – conclude Vassallo –verrà confermata la tendenza vista nelle recenti Regionali, con il Movimento di Conte che arranca, non avendo in prospettiva più altro da proporre o promettere a quel tipo di elettorato, il voto “centrista” diventerà determinante».
Dunque, rischia molto un Pd radical più che liberal, a maggior ragione se l’alleanza con i post-grillini non funziona in termini aritmetici oltre che politici. Schlein può giusto evitare, e ci sta riuscendo, che Conte le tolga voti, ma resta solo una sfida tutta all’interno dello stesso fronte. Nelle Regionali d’autunno, il voto della Toscana vede i Cinque Stelle raccogliere meno consensi di Alleanza Verdi e Sinistra (rispettivamente 4,3 e 7 per cento).
Ancora più significativo, rispetto a tutti e due i partiti, il sorpasso di cui è stata capace la lista direttamente collegata con il candidato del centro-sinistra e che racchiudeva anche quelli di Matteo Renzi guardando ai voti centristi: “Eugenio Giani Presidente Casa Riformista” (8,8 per cento) conquista la seconda posizione nella coalizione, dopo il Pd (in crescita al 34,4 per cento). Per il futuro? Nei sondaggi riguardanti le Politiche, M5S a livello nazionale è quotato intorno al 13 per cento, appena sotto il livello già basso delle elezioni 2022, ma poco per essere determinante, oltretutto in un’ alleanza con il Pd che non è stata ancora sperimentata nell’elezione del Parlamento.
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