Politica
17 ottobre, 2025L’arrivo di Vittorio Rizzi ha prodotto un primo effetto tangibile: il ritorno a un equilibrio interno tra le due anime dell’intelligence — quella esterna, operativa, e quella interna, preventiva — da tempo oggetto di spinte e contrappesi
Dietro le quinte della cerimonia sobria e impeccabile che ha celebrato, nei saloni del Quirinale, i cento anni dell’intelligence italiana, si è consumato un passaggio tutt’altro che formale. Non solo memoria, non solo storia: ma un nuovo inizio. Anzi, per chi conosce i codici della macchina di sicurezza nazionale, la conferma plastica che l’equilibrio interno dei Servizi è cambiato. Con mano ferma, e senza mai accendere i riflettori, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’intelligence, Alfredo Mantovano, ha ridisegnato la mappa della sicurezza nazionale, segnando una cesura con la stagione precedente. E riportando ordine dopo mesi di tensioni sotterranee e rotazioni strategiche.
Il primo segnale, il più forte, è arrivato con la sostituzione — a lungo attesa, e poi consumata in pochi giorni — di Elisabetta Belloni alla guida del Dis, il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza. La sua uscita non è stata conflittuale, ma nemmeno del tutto indolore. E il successore, Vittorio Rizzi, ex vicecapo della Polizia, è stato scelto con un profilo preciso in mente: basso profilo pubblico, sobrietà istituzionale. Intanto, la sua predecessora, secondo voci insistenti, potrebbe approdare in una grande partecipata pubblica. Leonardo, Eni, ma anche Poste o Enel: a marzo si aprirà una tornata di nomine di peso, e il nome di Belloni resta tra quelli che contano. Nel frattempo, l’arrivo di Rizzi ha prodotto un primo effetto tangibile: il ritorno a un equilibrio interno tra le due anime dell’intelligence — quella esterna, operativa, e quella interna, preventiva — da tempo oggetto di spinte e contrappesi.
Oggi questo equilibrio si regge su due figure centrali. La prima è Giovanni Caravelli, direttore dell’Aise (l’Agenzia esterna), uno dei pochi uomini dei Servizi che ha attraversato, quasi in silenzio, diversi governi senza mai perdere peso specifico. Esperto riconosciuto di Libia e Medio Oriente, considerato trasversalmente un “tecnico puro”, Caravelli ha costruito una rete solida, tanto a livello Nato quanto nei dossier strategici italiani. La sua scadenza si avvicina, ma nessuno scommette su un avvicendamento: nel clima internazionale attuale, con la Libia instabile e il Mediterraneo al centro della nuova guerra di reti e pipeline, Caravelli è percepito come una garanzia. La seconda figura è Bruno Valensise, direttore dell’Aisi (l’Agenzia interna). Meno conosciuto al grande pubblico, Valensise è un uomo di raccordo. Profilo di sistema, scelto per consolidare, non per rompere. E in effetti, la sua gestione ha riportato ordine nella macchina della prevenzione interna, soprattutto nel nuovo contesto di rischio cibernetico e ideologico.
Ma è nel livello intermedio — quello delle vice-direzioni — che si è giocata la vera partita politica. Negli ultimi mesi, le rotazioni hanno assunto un ritmo serrato. A inizio anno, il generale della Guardia di Finanza Leandro Cuzzocrea è stato nominato vice dell’Aisi. Un ingresso di peso, subito seguito da un altro movimento: il suo trasferimento al Dis, come braccio operativo di Rizzi. Una ricollocazione che molti nei corridoi di Palazzo Chigi leggono come un "riequilibrio di equilibri delicati".
Non meno osservata è la posizione del generale Francesco Paolo Figliuolo, divenuto vice direttore dell’Aise alla fine del 2024. La sua figura, mediatica e nota per il ruolo centrale nella campagna vaccinale, ha suscitato reazioni contrastanti tra gli “storici” dell’intelligence: apprezzato per la disciplina, ma — almeno per ora — ancora percepito come esterno ai meccanismi più riservati della macchina informativa.
Sul piano strategico, si affaccia intanto una partita che potrebbe essere ancora più delicata: la riorganizzazione dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale (Acn). È da tempo che il ministro della Difesa, Guido Crosetto, sostiene la necessità di portare l’agenzia sotto il controllo del suo dicastero. Una proposta che agita le acque, anche perché comporterebbe un accentramento non banale delle leve critiche della sicurezza digitale. Mantovano — forte della delega alla sicurezza — ha mantenuto finora una posizione di equilibrio. E la premier Meloni, pur non contraria nel merito, avrebbe espresso più di una cautela. Il rischio, secondo fonti riservate, è quello di «uno scossone troppo forte» in un settore ancora in fase di consolidamento.
I cento anni dell’intelligence italiana, celebrati con onori e silenzi, segnano dunque non solo una ricorrenza storica, ma il varo di un nuovo ciclo organizzativo. Più riservato, più stabile, ma anche più accentrato. Il vero messaggio, per chi sa leggerlo, è tutto politico: i Servizi tornano alla disciplina, sotto un controllo saldo e privo di fughe laterali. Una macchina che guarda al futuro con meno retorica e più comando.
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