Politica
22 ottobre, 2025E se Fico perdesse? La risposta, seppur taciuta nei comunicati ufficiali, è sussurrata nei salotti e scritta negli occhi preoccupati di chi, nel Pd e nel M5s, ha puntato tutto – troppo – su una candidatura che, almeno nei numeri, traballa
Nel silenzio sempre più denso che avvolge il Nazareno, si avverte l’eco di una domanda che da giorni rimbalza nei corridoi della politica romana: e se Fico perdesse in Campania? La risposta, seppur taciuta nei comunicati ufficiali, è sussurrata nei salotti e scritta negli occhi preoccupati di chi, nel Partito Democratico e nel Movimento 5 Stelle, ha puntato tutto – troppo – su una candidatura che, almeno nei numeri, traballa.
Roberto Fico, ex presidente della Camera, simbolo della stagione "alta" dei Cinque Stelle, è il candidato “unitario” voluto da Giuseppe Conte e accettato, non senza mal di pancia, da Elly Schlein. Un’imposizione mascherata da scelta condivisa. Ma se le urne del 23 e 24 novembre dovessero consegnare la Campania al centrodestra di Edmondo Cirielli, l’effetto domino sarebbe devastante.
Non è un caso se l’uscita di scena di Chiara Appendino, con le dimissioni da vicepresidente del M5S, abbia assunto in queste ore il sapore di un avvertimento. L’ex sindaca di Torino, mai pienamente riconciliata con il Pd dopo i cinque anni di assedio in Sala Rossa, si è sfilata proprio nel momento in cui la campagna campana entrava nel vivo. Il suo gesto, dietro la patina personale, è politico. Ed è diretto tanto a Conte quanto a Schlein.
Nel Movimento, la tensione è palpabile. I sondaggi riservati, circolati tra i fedelissimi dell’ex premier, danno Cirielli in rimonta, spinto da un asse tutto interno al centrodestra: Forza Italia ha fiutato l’aria e punta a replicare il modello Calabria, diventando il primo partito. E se succedesse davvero? Allora non cadrebbe solo Fico. Cadrebbe con lui l’intera architettura del "campo largo".
Perché la verità è che la Campania, questa volta, vale più di una Regione. È la prova del nove per il progetto Schlein-Bettini-Franceschini. Un’alleanza di sinistra-sinistra, tenuta insieme da una narrativa identitaria, ma con gambe fragili sui territori. Ed è proprio nei territori che il Pd continua a perdere. Le Marche, la Calabria, ora forse la Campania. La Puglia e il Veneto sembrano già assegnate – Decaro in un caso, Stefani nell’altro – ma lì le partite erano scritte. La vera battaglia, quella che misura il peso reale del progetto progressista, è Napoli e dintorni.
Una sconfitta di Fico, dicono sottovoce anche i più prudenti tra i riformisti, significherebbe il fallimento del modello Conte-Schlein. Non solo per la linea politica, ma per i nomi che la rappresentano. Goffredo Bettini, padre nobile della sinistra romanocentrica, ne uscirebbe indebolito. Dario Franceschini, recentemente tornato in auge dopo una lunga fase defilata, perderebbe l’ultima scommessa: quella secondo cui per battere Giorgia Meloni non serve un moderato, ma un’identità radicale.
Eppure, guardando i numeri, il dubbio cresce: forse serve eccome un moderato. Il centrodestra vince da anni proprio lì, in quel mezzo campo che il Pd ha abbandonato in nome della purezza ideologica. La sconfitta di Fico potrebbe aprire la strada non solo a un regolamento di conti interno, ma addirittura a un congresso anticipato. Non è un caso che la corrente riformista stia già scaldando i motori. Tra Lorenzo Guerini, Pina Picierno, Paolo Gentiloni e Piero Fassino si ragiona attorno a un nome che circola con insistenza: Silvia Salis, vicepresidente del Coni e sindaca d'Italia "potenziale", figura trasversale, gradita al Quirinale e non invisa al mondo cattolico.
La sua candidatura non sarebbe solo per la segreteria, ma in prospettiva come unica carta da giocare contro Meloni alle Politiche del 2027. Uno scenario che, fino a pochi mesi fa, sembrava lontanissimo. Ma la politica italiana, si sa, si muove per scosse telluriche improvvise. E la faglia, stavolta, passa per la Campania.
Chi vince lì, si prende tutto: la narrazione, la leadership, la legittimità. Chi perde, invece, rischia di portare giù con sé un’intera stagione. Perché se cade Fico, non cade solo l’ex presidente della Camera. Cade Schlein. Cadono Bettini, Franceschini. Cade l’illusione che basti un patto di vertice per vincere nel Paese reale. E forse, dopo il 24 novembre, il centrosinistra dovrà ricominciare tutto daccapo.
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