Politica
30 ottobre, 2025Storia di un baluardo inutile, affidato a un codice e non a una legge
Prevedendo sfracelli, il vicesegretario della Lega Roberto Vannacci l’aveva messo in lista ad Arezzo. Ma serviva un miracolo. Per quanto impegno Bardelli Roberto detto «Breda» avesse profuso in campagna elettorale, ha raccattato solo 298 voti. Il tracollo della Lega in Toscana, dove il partito di Matteo Salvini in versione «Mondo al contrario» ha perso 300 mila voti, ovvero quasi l’85 per cento di quelli incassati alle Regionali del 2020, non l’ha risparmiato. Così non avrebbe fatto meglio Roberto Bardelli a lasciar perdere, come aveva suggerito la commissione parlamentare Antimafia?
Sempre che in questo caso, naturalmente, «suggerimento» sia un termine appropriato. Per l’Antimafia presieduta dalla deputata di Fratelli d’Italia Chiara Colosimo, il leghista Bardelli Roberto, aretino, classe 1972, era un «impresentabile». L’unico ritenuto tale fra tutti i candidati alle elezioni regionali della Toscana del 12 e 13 ottobre 2025. Motivazione? La condanna in primo grado a un anno subita per la vicenda della municipalizzata Coingas. Sentenza che ha pure causato, ai sensi della legge Severino, la sua sospensione dal consiglio comunale di Arezzo decisa dal prefetto. Bardelli però non ci sta ad essere bollato con quel termine infamante. Alla “Nazione” dice che la sua fedina penale è immacolata, e comunque la condanna è già prescritta. Di conseguenza, non vede perché debba rinunciare. È una questione di principio.
La storia degli «impresentabili» nasce al tramonto della cosiddetta Prima Repubblica, durante l’ultimo governo di Giulio Andreotti. All’inizio del 1991, la commissione Antimafia guidata allora dal pidiessino ex Pci Gerardo Chiaromonte approva un codice di autoregolamentazione per le candidature. Meglio sarebbe una legge, ma si aggirerebbe con difficoltà. Perciò si ripiega su un codice. Anche se, come vedremo, del tutto inutile.
Tangentopoli e la piaga della corruzione restano ancora sullo sfondo; allora si pensa che il problema etico più rilevante per la politica sia quella delle infiltrazioni della criminalità organizzata, e dunque il dossier spetta all’Antimafia. Ma dopo più di un ventennio da quel 1991 tutto è cambiato e il codice di autoregolamentazione va aggiornato ed esteso. Da quel momento – corre l’anno 2013 e l’Antimafia è guidata da Rosy Bindi – fioccano le censure per chi ha subito una condanna penale, sia pure in primo grado, o è stato rinviato a giudizio anche per reati contro la pubblica amministrazione. Con il numero che cresce a ogni giro di giostra, dato che un marchio di «impresentabilità», per quanto affibbiato da un organismo sulla carta tanto autorevole, non vieta di proporsi agli elettori.
Così, nella tornata delle elezioni regionali iniziata lo scorso anno, eccone già 21: sette in Sardegna, cinque in Basilicata, tre in Calabria, due nelle Marche e in Abruzzo, uno rispettivamente in Valle D’Aosta e Toscana. Più 23 per le elezioni amministrative del maggio scorso. E altri sei per le elezioni europee del giugno 2024. Totale, 50 candidati dichiarati «impresentabili» soltanto nell’arco di 18 mesi. Che si sono presentati quasi tutti, e molti di loro sono stati eletti dopo aver contestato le decisioni dell’Antimafia, considerate in qualche caso soltanto politiche.
Il fatto è che il giudizio della commissione parlamentare si basa sulle segnalazioni degli inquirenti, ma trattandosi dell’applicazione di un codice non manca una componente discrezionale. Alle Europee del 2024, per chiarire il concetto, queste segnalazioni riguardavano ben 20 candidati: dei quali solamente sei sono stati dichiarati «impresentabili». Fra questi, la coordinatrice di Italia Viva in Calabria Filomena Greco, protagonista di una vicenda ritenuta sconcertante che risale al 2016. Da sindaca di Cariati era finita in un polverone giudiziario dopo aver rescisso il contratto per la raccolta dei rifiuti a una società destinataria di interdittiva antimafia. «Mi aspettavo un applauso istituzionale e non l’inserimento in una lista di impresentabili», dice all’Ansa ricordando di aver anche rinunciato alla prescrizione e sospettando «veleni di palazzo». Lamentela però senza esito. Bocciata alle Europee nel giugno 2024, Filomena Greco si candida alle elezioni regionali calabresi di ottobre 2025. E di nuovo l’Antimafia la dichiara «impresentabile». Lei va avanti e stavolta ce la fa.
Pure il suo omonimo Greco Orlandino, sindaco di Castrolibero, viene eletto in Calabria. Per la seconda volta. La prima, con il centrosinistra di Mario Oliverio. Adesso, invece, con la Lega di Salvini. Anche se, scrive l’Antimafia, «il Gip presso il Tribunale di Catanzaro abbia disposto il rinvio a giudizio per il reato di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio aggravato dal metodo mafioso, per il reato di scambio elettorale politico-mafioso e per il reato di corruzione elettorale». Lui replica sdegnato che «il Riesame e la Suprema Corte di Cassazione hanno già scritto in sede cautelare a chiare lettere che i fatti non sussistono. Una Commissione più politica che Antimafia rischia di etichettare e condannare le persone prima ancora che un tribunale si pronunci». Concludendo: «Questo non è il garantismo previsto dalla nostra Costituzione».
Rimostranza simile a quella dell’ex senatore di Forza Italia Luigi Grillo, un tempo potentissimo factotum dei Lavori pubblici che a 81 anni vuol rientrare nel giro alle Europee. Ritrovandosi però anch’egli bollato come «impresentabile». Protesta che non ha «conti in sospeso con la giustizia». Ma dopo un patteggiamento di 2 anni e 8 mesi per corruzione gli argomenti si esauriscono. Non l’unico condannato, a dire la verità, fra i candidati alle Europee. Anche il capogruppo a Strasburgo di Fratelli d’Italia Carlo Fidanza, pezzo da novanta del partito della stessa presidente dell’Antimafia Chiara Colosimo, ha patteggiato una condanna per corruzione ma non finisce tra gli «impresentabili». E questo perché a differenza di Grillo la sua condanna, un anno e quattro mesi, è inferiore ai due anni e quindi per la legge Severino può tranquillamente sedere in un Parlamento, europeo o nazionale che sia.
Quanto alle elezioni comunali, l’impresentabilità riguarda anche consiglieri, sindaci e assessori delle amministrazioni sciolte per mafia. E qui ci si imbatte in casi singolari. Per esempio quello di Palagonia, 15 mila abitanti in provincia di Catania, sciolto dal governo di Giorgia Meloni nell’agosto 2023. Gli amministratori hanno fatto ricorso al Tar, che però ha confermato lo scioglimento. Quattro di loro, dichiarati come da regola «impresentabili» dall’Antimafia, si sono ricandidati e in due sono stati rieletti. Salvatore Astuti, sindaco dell’amministrazione sciolta per le presunte infiltrazioni, è passato al primo turno con il 51 per cento dei voti tornando così a occupare il posto di primo cittadino. Anche Francesco Paolo Favata è stato rieletto, e ora è vice sindaco.
Ma se le cose vanno così, e tutti o quasi gli «impresentabili» fanno spallucce, vi chiederete: a che cosa serve un codice di autoregolamentazione che da 35 anni non autoregolamenta un bel niente? Non sarebbe più sensato fare una legge, rimettendo anche a posto con l’occasione certe storture della Severino? Per esempio impedendo a chi è stato condannato in via definitiva, anche a un solo giorno di carcere, di sedere in un’assemblea di rappresentanti del popolo. L’articolo 54 della Costituzione non dice forse che «i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore…»?
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