Politica
9 ottobre, 2025Nel 2020 Giani fermò la marea nera in Toscana, ora tocca a lui dimostrare che il campo largo, ammaccato dopo le sconfitte di Marche e Calabria, può ancora vincere
Il riscatto del centrosinistra, per strano che possa sembrare, a questo punto dopo la batosta in Calabria, per la verità piuttosto annunciata, è affidato al ciuffo bianco, non propriamente rivoluzionario, di Eugenio Giani. «Ordinato, classico, con lo spruzzo finale di un vecchio profumo per capelli che oggi non producono più», nella mirabile descrizione tricologico-esistenziale fatta da quello che è da sempre il suo barbiere, Carmine Marra, 75 anni, calabrese di nascita, pratese d’adozione, ora candidato coi renziani.
Un taglio, uno stile, una linea politica. Governatore uscente della Toscana, 66 anni, da 35 in politica, sorridente e ostinato, dotato di una inclinazione quasi stregonesca all’ubiquità come sanno sia a destra («prezzemolino») che a sinistra («dopo un po’, anche se non avvertito, lui appare sempre»), Giani adesso con un campo largo inedito in Toscana, ma fortissimamente voluto dalla segretaria del Pd Elly Schlein, è chiamato dal calendario – secondo scadenze attentamente apparecchiate dai meloniani, come si vede – a dimostrare che l’Italia non è solo le Marche o la Calabria riconfermate a guida destra nelle ultime due settimane. E anzi, che da questo punto in poi vedremo un altro film: dalla Toscana che vota il prossimo 12 e 13 ottobre, e dove andranno alle urne quasi quattro milioni di persone (più della somma del- le due regioni dove si è già votato), fino a Puglia e Campania, previste con il Veneto il 23 novembre, la lancetta delle previsioni pende in tre casi su quattro decisamente a favore del centrosinistra. Interessante soprattutto perché a misurarsi è una coalizione uniforme dei progressisti. Il Pd, i Cinque stelle, i renziani della cosiddetta Casa Riformista, la sinistra di Avs insieme ovunque: fin qui non è bastato per ribaltare le sorti del voto – è del resto un tempo che privilegia la conservazione, non il cambiamento – ma l’effetto sul lungo periodo è ancora da capire.
«Solo con Giani ricominceremo a respirare», confidavano del resto al Nazareno già a fine settembre. Era accaduto anche cinque anni fa, nel 2020, quando l’ex assessore renziano era diventato governatore (ma senza i Cinque stelle) spezzando la progressione della destra che – modello Umbria, più che Marche – in Regione, in quegli anni, tra la Lega dei pieni poteri salviniani e l’ascesa di Fratelli d’Italia, aveva preso pezzo a pezzo una delle zone più rosse d’Italia, arrivando a conquistare sette città capoluogo su dieci (escluse solo Firenze, Livorno e Prato). Non è un caso se adesso, a fine agosto, dopo mille lotte intestine, il centrodestra abbia contrapposto a Giani, nella corsa a governatore, uno dei volti di quella stagione, il due volte sindaco di Pistoia Alessandro Tomasi, 45 anni, una vita in Azione giovani e alleanza Nazionale, oggi coordinatore regionale di FdI, il primo nel 2017 (e poi nel 22) a strappare la sua città alla sinistra dopo settantadue anni di governo ininterrotto. C’è però rispetto al 2020 la notevole differenza del campo del centrosinistra tutto unito, il che negli ultimi sondaggi divulgabili, due settimane fa, contribuirebbe a dare a quel campo, secondo Nando Pagnoncelli, un vantaggio di ben 13 punti. Ed è questo l’aspetto da tenere sotto osservazione, essendo questo l’unico vero elemento di novità lungo il quale si può snodare un futuro diverso.
A inizio agosto, infatti, dopo cinque anni passati all’opposizione in Regione, i Cinque stelle hanno optato per quello che il leader Giuseppe Conte fino a pochi giorni prima definiva, per escluderlo, un «sacrificio notevole»: l’alleanza pro-Giani. Il renziano Giani, chi l’avrebbe mai detto. Una scelta politica fatta dal leader M5S anche guardando sondaggi non lusinghieri (3-4 per cento, mentre alle ulti- me Regionali avevano preso il 7 per cento), guardando al magro risultato di non aver appoggiato un anno e mezzo fa la corsa per Firenze di Sara Funaro, ex assessora di Dario Nardella, oggi prima sindaca donna della città. Una decisione presa, comunque, passando per numeri da far paura: a esprimersi sulla piattaforma online sono stati infatti circa la metà dei cinquemila Cinque stelle aventi diritto, hanno votato sì circa 1.500 persone, no circa mille. Non certo le masse popolari. Un fenomeno analogo era accaduto anche nel voto pro alleanza con Matteo Ricci nelle Marche: ha votato un terzo dei circa 2400 aventi diritto, 640 sì. Ma si tratta di un quadro non esaltante che riguarda in sé i Cinque stelle, più che le loro opzioni di alleanza: negli ultimi tre anni elettorali, gli ex grillini hanno perso, in media, poco meno della metà dei voti rispetto ai turni precedenti, a prescindere che si presentassero da soli o in compagnia di Partito democratico e altri.
In questo orizzonte elettorale, la destra di Giorgia Meloni e di Matteo Salvini – ancor più di quella di Antonio Tajani, che spera almeno di pescare qualcosa dall’area moderata spiazzata dall’alleanza tra Renzi e Conte – si trova in una posizione assai più sfavorevole rispetto a quella che sognava a inizio estate, quando un campo largo del centrosinistra ancora non c’era, nel Pd ancora non era sciolta la questione De Luca in Campania, e soprattutto quando in Toscana era appena esploso, proprio in faccia ai democratici, il caso della sindaca di Prato Ilaria Bugetti, indagata per corruzione e dimessasi dall’incarico a inizio giugno.
Ecco, proprio quando si apprestava a piombare sullo scandalo e a imbastirci la sua bella campagna elettorale, la destra si è dovuta fermare perché è diventata a sua volta teatro di una spaventosa faida interna tra meloniani i cui veri risvolti si intravedono appena: plichi anonimi, foto hard, minacce di rivelare uso di droghe, pedofilia, appartenenza massonica hanno portato a una denuncia da parte l’avvocato Tommaso Cocci, capogruppo FdI a Prato, candidato di punta della parlamentare Chiara La Porta, che ha finito per coinvolgere il suo rivale interno Claudio Belgiorno, donzelliano, a sua volta nei guai per pregresse questioni di rimborsi e ora con un piede fuori da FdI, così come un altro esponente dei Fratelli, il vicepresidente del consiglio comunale di Empoli Andrea Poggianti. Da qui è inoltre scaturita una indagine della procura di Prato, appena cominciata, sulle logge come centrali di potere occulto: voti, nomine, denari. Si tratta, ad ogni buon conto, dello stesso universo che ha travolto la sindaca Bugetti, nell’inchiesta che vede al centro l’imprenditore Riccardo Matteini Bresci.
Su questo intricatissimo caso, uno dei tanti dossieraggi interni che agitano incontrollati il primo partito italiano, danza leggero come su una pista di pattinaggio il generale leghista Roberto Vannacci, intravedendo margini di crescita.
Giusto lo scorso weekend è arrivato in grande spolvero, e contestazioni fuori, per celebrare il “Remigration Summit 2025” al Grand Hotel Palazzo di Livorno, denunciando la presunta «invasione» dei migranti che necessita di «rimandare ai loro Paesi chi non si adegua alle nostre identità e alle nostre radici», e di celebrare intanto il sicuro, attuale collegamento con le destre di Germania, Ungheria, Romania e Spagna. Al candidato governatore di centro- destra Tomasi, e al più toscano dei vertici FdI Giovanni Donzelli, tra una faida e l’altra, non è rimasto che insistere anche loro sul tasto immigrazione, promettendo l’apertura di un nuovo Cpr, anzi due, e di un tetto per impedire ai migranti di avere le case popolari: prima i toscani, ammesso che interessi.
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