Politica
17 novembre, 2025Dietro l’ennesima frizione sul sostegno militare a Kiev non c’è solo geopolitica né l’ennesima schermaglia tra “falchi” e “colombe”. Nei corridoi della Difesa e a Montecitorio, infatti, gira un’altra lettura: Crosetto starebbe già mettendo le basi per la più ambita delle corse
Dietro l’ennesima frizione sul sostegno militare all’Ucraina, quella tra Guido Crosetto e Matteo Salvini, non c’è solo geopolitica né l’ennesima schermaglia tra “falchi” e “colombe”. Nei corridoi della Difesa e a Montecitorio, infatti, gira un’altra lettura: il ministro Crosetto, che si finge riluttante protagonista, starebbe già mettendo le basi per la più ambita delle corse: quella al Quirinale. Un gioco lungo, di quelli che si costruiscono in silenzio e con orecchio teso verso Washington.
Secondo fonti che frequentano gli incroci più sensibili tra governo e Nato, la linea del ministro è ormai perfettamente sovrapponibile a quella auspicata dal Colle: atlantismo senza sbavature, europeismo pragmatico, e soprattutto l’idea — lanciata mesi fa alla festa del Foglio — di una “cessione di sovranità” in materia di Difesa. Una frase che all’epoca fece sobbalzare mezza maggioranza, ma che a Bruxelles venne annotata con un sorriso.
Il retroscena vero è che Crosetto, da settimane, insiste sulla necessità di pensare il riarmo non come un decreto spot, ma come una strategia ventennale: soldi, industria pesante, aumento del personale militare. Una prospettiva che in Italia fa tremare i conti pubblici prima ancora dei generali, mentre in Germania – dove ormai festeggiano il riarmo come se fosse il nuovo motore della crescita – si ragiona apertamente sulla reintroduzione della leva obbligatoria.
Nel governo c’è chi sospira: “Crosetto guarda oltre questa legislatura”. E qui arriva il punto che non si dice nei comunicati ufficiali ma rimbalza negli uffici dei capigruppo: il pallottoliere. Quello che conta davvero. Perché se e quando si riaprirà la partita per il Quirinale, il profilo “istituzionale e filo-Ue” potrebbe diventare la carta buona per un’ampia coalizione trasversale.
Nei calcoli che circolano tra i fedelissimi del ministro, la somma è presto fatta: FdI e FI come base naturale. Una fetta consistente del Pd, che non avrebbe difficoltà ad appoggiare un candidato gradito al Colle e ben visto all’estero. In più Matteo Renzi, che un ruolo da kingmaker lo rivendica a ogni legislatura, e Carlo Calenda, da sempre incline a scommettere su figure considerate “responsabili”. Il tutto condito da un riflesso geopolitico elementare: senza il via libera di Washington, nessuno sale il colle del Quirinale.
Da qui, dicono fonti bene informate, la rigidità di Crosetto sulla linea Ucraina: niente sbandamenti, nessun ammiccamento al “pacifismo tattico” di Salvini. Il ministro vuole certificare, passo dopo passo, affidabilità atlantica. Non per oggi. Per domani.
A Palazzo Chigi giurano che “è tutta dietrologia”, ma negli uffici della Difesa nessuno nega che il tema del riarmo sia ormai diventato anche una piattaforma politica magari buona un domani anche per sedersi sulla poltrona della presidenza del Consiglio. E mentre da Kiev arrivano notizie a intermittenza, nei palazzi romani cresce la sensazione che la vera partita si stia giocando su un altro fronte: quello dell’elezione che, ciclicamente, riscrive carriere e gerarchie.
In attesa che il conflitto cambi fase, c'è chi osserva, calibra e tesse. Con un occhio alla Nato e uno allo spoglio del futuro Parlamento. Perché nel risiko del potere, chi parte prima arriva meno affannato alla vetta del Colle.
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