Politica
6 dicembre, 2025«Non sono uscite spontanee, non questa volta», mormora una fonte molto vicina alla leader. Perché l’impressione, dentro il Nazareno, è che qualcuno stia muovendo le pedine con una certa, inquietante, sincronizzazione
Doveva essere il rilancio. È diventata una resa dei conti. I tre giorni di Montepulciano non hanno ricompattato il Partito democratico attorno alla segretaria: anzi, secondo chi le è vicino, avrebbero avuto l’effetto opposto. E oggi Elly Schlein si trova a sfidare un doppio fronte che, nella lettura di alcuni suoi collaboratori, non sarebbe affatto casuale. «Non sono uscite spontanee, non questa volta», mormora una fonte molto vicina alla leader. Perché l’impressione, dentro il Nazareno, è che qualcuno stia muovendo le pedine con una certa, inquietante, sincronizzazione.
La scintilla arriva da Graziano Delrio, ex ministro ed esponente di punta dei riformisti. Il suo disegno di legge per adottare la definizione IHRA di antisemitismo — consegnato al Senato con una tempistica che ha sorpreso persino i più esperti osservatori — ha aperto un fronte immediato e incandescente. Nel partito la divisione sul Medio Oriente è profonda, e Schlein lo sa. Ecco perché, raccontano i suoi, il gesto di Delrio è apparso come “troppo calibrato”, quasi progettato per costringerla in un angolo: tra l’ala filopalestinese e quella più atlantista, tra identità e realpolitik. Una trappola perfetta.
A complicare il quadro arriva poi la reazione di Francesco Boccia, capogruppo al Senato e uno dei più vicini alla segretaria. La distanza netta presa dalla proposta Delrio — definita “a titolo personale” — è stata letta come un atto di tutela verso Schlein. Ma è anche il segno che intorno alla leader si percepisce qualcosa di più di un semplice incendio improvviso. «C’è un filo che collega tutto, e non è difficile seguirlo», sussurra un dirigente nazionale. «Qualcuno vuole far saltare il banco prima che lei possa blindare la linea».
Poi esplode il caso Fassino. L’ex segretario dem vola alla Knesset in una missione istituzionale prevista da tempo, ma le sue parole — «Israele è una democrazia» — diventano benzina sul fuoco. La segreteria, colta di sorpresa, prende le distanze. Peppe Provenzano precisa che non era lì “per conto del partito”. Ma la composizione della delegazione e il ruolo di Fassino nel protocollo parlamentare raccontano altro. E qui, nel cerchio magico della segretaria, scatta l’allarme: davvero due esponenti storici dei riformisti hanno colpito sullo stesso tema, nello stesso momento… per puro caso?
A molti, dentro il Pd, la risposta appare scontata. «È tutto studiato» racconta un senatore di lunghissimo corso esperto di "giochi" in Transatlantico. «Hanno deciso di uscire dal silenzio e di farlo sul terreno più delicato per lei. Il prossimo capitolo? L’Ucraina». Una pressione crescente che riapre l’ipotesi di un congresso anticipato, evocato apertamente da Pina Picierno, una delle antagoniste interne più ascoltate.
Secondo chi ha partecipato a Montepulciano, Schlein non ha gradito né il tono protettivo del “correntone” che la sostiene, né il risveglio improvviso dei riformisti. «Lei non sopporta l’idea di essere commissariata, né dagli uni né dagli altri», confida un parlamentare. E il suo discorso finale, teso e nervoso, lo confermerebbe. Anche perché — ammettono i fedelissimi — la segretaria ha iniziato davvero a temere che una parte del partito stia lavorando per metterla in difficoltà, generando un clima da pre-congresso permanente.
La convocazione dell’assemblea del 14 dicembre, interpretata come una mossa per riprendere l’iniziativa, è stata però letta dal blocco di maggioranza come un segnale di chiusura. E così, sullo sfondo della frattura su Israele, si muove una partita molto più ampia: quella del potere interno.
Perché nel Pd, oggi come ieri, nulla avviene per caso. E se le bordate dei riformisti arrivano tutte insieme, sullo stesso dossier, nel momento più fragile della segretaria, è difficile liquidarle come coincidenze. Schlein questo lo ha capito. E adesso, nel cuore del Nazareno, teme che il tempo della tregua sia già finito.
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