Il caso, alle volte, ci mette del suo. E come in ogni spy story che si rispetti non poteva mancare il morto. Infarto fulminante, una diagnosi che non lascia spazio a sospetti, veleni o manipolazioni. Pace all’anima di Carmine Gallo. Ma questo non aiuta di certo a spiegare che cosa sta succedendo adesso in Italia. Chissà quante altre cose avrebbe avuto da dire il superpoliziotto dal pedigree inappuntabile finito nei guai per il caso Equalize, che però stava pienamente collaborando con i magistrati. Gallo conosceva e frequentava il giro degli 007 de noantri da prima di imbarcarsi in una società specializzata nella produzione di dossier riservati a pagamento. «Con Marco Mancini eravamo amici, anche perché è tutta gente che ho conosciuto quando eravamo ai servizi. Tutti insieme eravamo, con Giuliano Tavaroli, con Mancini…». Chi seguiva le cronache ai tempi dello scandalo delle intercettazioni illegali di Telecom Italia, era il 2006, sa di chi si parla. Tavaroli, ex carabiniere, era il capo della sicurezza della compagnia telefonica e fu accusato, insieme all’agente segreto Mancini, di aver messo in piedi un sistema per realizzare dossier su politici, imprenditori e personalità pubbliche. Mancini ne uscì senza un graffio. Invece Tavaroli patteggiò quattro anni. E a distanza di tanto tempo dice a Repubblica senza infingimenti: «Il mercato delle informazioni è tra i più vecchi al mondo. Per questo non mi sorprendono le inchieste sugli accessi abusivi ai sistemi informatici, diverse fra loro ma legate da un punto comune: una richiesta bulimica di conoscere i segreti degli altri». Già. Ma non tutti i segreti sono uguali. E di sicuro ciò che sta accadendo non può essere considerato fisiologico sia pure in un Paese dove, per dirla sempre con Tavaroli, saremmo tutti guardoni digitali. Basta mettere in fila i fatti.
Il 31 ottobre 2022, a nove giorni di distanza dal giuramento del governo di Giorgia Meloni, il ministro della Difesa Guido Crosetto denuncia di essere oggetto di un’azione di dossieraggio. «Un tentativo di condizionare la composizione del nuovo governo attraverso l’acquisizione illecita e la diffusione strumentale di notizie false per attaccarmi», dice. Indaga la procura di Perugia, e l’inchiesta tuttora aperta coinvolge il tenente della Guardia di finanza Pasquale Striano e un ex magistrato, Antonio Laudati, della Direzione nazionale Antimafia. Si scopre che il dossieraggio non riguardava solo Crosetto, ma anche Ignazio La Russa, Daniela Garnero Santanché, Matteo Renzi e Denis Verdini. E altri ancora.
Passano i mesi e salta fuori, perché lo racconta Domani, che dal 2023 i servizi segreti spiano Gaetano Caputi. Lui ha presentato un esposto alla Procura e i giudici rivelano che tre agenti segreti hanno frugato nella banca dati dell’Agenzia delle entrate alla ricerca di non si capisce bene quali elementi sul capo di gabinetto della presidente del Consiglio Giorgia Meloni. La notizia finisce sul giornale e per tutta risposta il nuovo responsabile dei servizi Vittorio Rizzi denuncia la compromissione di atti riservati da parte della Procura di Roma guidata da Francesco Lo Voi. Guarda caso, il magistrato che per una curiosa coincidenza proprio in quei giorni ha spedito a Giorgia Meloni, scatenandone l’ira, la comunicazione circa l’esistenza di un esposto che la chiama in causa per il mancato arresto del torturatore libico Osama Almasri, intercettato in Italia e rispedito in Libia con l’aereo di Stato. Che i servizi segreti denuncino la Procura è un fatto senza precedenti. Ma senza precedenti sono anche le dimissioni della direttrice dei servizi segreti Elisabetta Belloni, nominata dal governo di Mario Draghi, prima donna a ricoprire un incarico tanto delicato. Succede nei giorni del sequestro a Teheran della giornalista Cecilia Sala. Circolano voci di presunti dissidi fra Elisabetta Belloni e Antonio Tajani, vicepresidente del Consiglio, ma anche con Alfredo Mantovano, ex magistrato e sottosegretario alla Presidenza con delega proprio ai Servizi. Lei racconta al Corriere che aveva annusato l’aria ed era arrivata l’ora di lasciare. Comprensibile. Ma perché in un momento così delicato? Nel frattempo è scoppiato il caso della società Equalize di Enrico Pazzali, ex manager di Fiera Milano e di Eur spa, ghiotto di marron glacé, del quale il presidente del Senato La Russa non smentisce la conoscenza.

Equalize era nata come azienda nel campo della cybersicurezza, e all’inizio fra gli azionisti di minoranza c’erano anche Stefano Filucchi, ex funzionario del ministero dell’Interno braccio destro di Gianni De Gennaro capo della polizia e poi dei Servizi, oltre al vicepresidente della Sea Pierfrancesco Barletta. Poi però è diventata un’altra cosa, e i due hanno lasciato. Il fulcro dell’azienda era il defunto Carmine Gallo. L’attività di produzione di dossier a pagamento doveva essere molto redditizia, se nel 2023 ha fatturato un milione 850 mila euro con utili per 600 mila. E mentre i giudici cercano di tracciare i contorni di questa storia assai sconcertante, alcune persone vengono a sapere da whatsapp che uno spyware di ultima generazione, battezzato Graphite, è penetrato nel loro telefonino. Sono un centinaio. La cosa è già di per sé discretamente grave. Ma lo è ancora di più perché fra gli spiati c’è anche qualche giornalista. Per esempio Francesco Cancellato di Fanpage, il giornale online che con una inchiesta ha svelato gli altarini non proprio edificanti, conditi da saluti romani e inni al Duce, di certi giovani meloniani. E perfino un prete, Mattia Ferrari, cappellano di bordo della Ong Mediterranea che soccorre i migranti in mare. Lo spyware è della società israeliana Paragon, che ha un contratto con lo Stato italiano per chissà quali compiti. Comunque ignoti. Contratto che dicono ora sospeso, ma del quale restano sempre segreti costi e obiettivi.

Non bastasse, ecco che un’inchiesta tira in ballo i vertici della Sogei, la società pubblica che ha in mano l’anagrafe tributaria e dunque gestisce dati fra i più sensibili. Il direttore generale Pasolino Iorio, accusato di aver intascato mazzette, finisce ai domiciliari e chiede di patteggiare tre anni. Non senza una chiamata di correo per l’amministratore delegato Cristiano Cannarsa, che invece si professa estraneo. Come estranea si manifesta anche Stefania Ronzato, titolare dell’azienda di cvybersicurezza e intelligenza artificiale che avrebbe aspirato (ma a quanto pare senza esito) a ottenere un incarico da Sogei. E, fermo restando il principio che sono tutti innocenti fino a sentenza definitiva, sarebbe solo una vicenda ordinaria di corruzione. Se però non avesse come corollario l’episodio di un capitano di Marina, indagato anch’egli, che secondo i giudici gira documenti ritenuti riservati a un giovanotto, Andrea Stroppa, classe 1994, referente in Italia di Elon Musk. Rapporto che sarebbe finalizzato al buon esito di un contratto per l’impiego da parte dello Stato italiano della rete di satelliti dell’uomo più ricco al mondo, nonché ministro della pubblica amministrazione federale americana e sodale di Donald Trump.

Roba da far sembrare uno scherzo innocente la scorribanda, scoperta nel 2024, di un dipendente di Intesa SanPaolo subito licenziato dalla banca, nei conti correnti delle sorelle Meloni, di John e Lapo Elkann, e dei figli di Silvio Berlusconi. Perché è capitato anche questo. Esiste un filo rosso che lega un tale incredibile e rapido susseguirsi di spiate, intercettazioni, intrusioni nelle banche dati? Crosetto se lo chiede. Anche se forse dovrebbe essere proprio chi sta al governo a saperlo, visto che c’è sempre l’impronta digitale di ambienti non troppo lontani dal variegato mondo delle barbe finte. Ed è quella domanda che si pone il ministro della Difesa, senza avere una risposta, a preoccupare non poco.
