Politica
17 marzo, 2025

La pedemontana impiomba i conti del Veneto e Zaia litiga con il costruttore

La Regione e il consorzio Sis sono in guerra sugli extracosti. Ma i ricavi dai pedaggi restano al palo nonostante gli sconti per i pendolari. E la Corte dei conti chiede il recupero di 20 milioni di Iva non dovuta

Putin e Zelensky non hanno idea di quanto siano capillari i danni della guerra nell’Europa orientale o forse opterebbero per la pace immediata. Pare che gli «eventi bellici» abbiano condizionato i ritardi nella realizzazione della Superstrada pedemontana veneta, in sigla Spv, fra la provincia di Vicenza e quella di Treviso. Evocati dalla Regione Veneto e dal costruttore Sis, sono citati anche nella relazione della Corte dei conti di febbraio che critica duramente l’opera pubblica inaugurata il primo marzo 2024 ma entrata in funzione effettiva, secondo il tribunale contabile, soltanto il 4 maggio scorso con l’allacciamento all’autostrada Brescia-Padova (A4).

La Corte, che è già alla terza puntata su Spv, insiste sui 20 milioni di Iva non dovuta pagati a Sis e mai restituiti, oltre che sulle penali di 25 mila euro al mese per i ritardi mai incassate dalla regione, e punta l’indice sulla realizzazione della galleria di Malo, paesino trasformato in luogo letterario dal genio di Luigi Meneghello. Con i suoi sei chilometri il tunnel è fra i più lunghi d’Italia. Poco tempo dopo la sua inaugurazione, già fa acqua e ha definitivamente guastato la bella amicizia tra il presidente regionale Luca Zaia e Matterino Dogliani, imprenditore alla guida del consorzio Sis con gli spagnoli di Sacyr.

Dopo tante foto sorridenti al taglio dei nastri che hanno accompagnato l’apertura dei vari tratti di Spv, Zaia e Dogliani sono alle carte bollate su più fronti. Il primo round ha visto uscire vittorioso l’ente pubblico. A ottobre 2024 un collegio consultivo tecnico a cinque, una sorta di arbitrato allargato, ha bocciato la richiesta di Sis di avere 44 milioni di euro in più sul canone già esorbitante pagato dalla Regione. Il match di ritorno è previsto in aprile mentre infuriano le polemiche su una delle grandi infrastrutture più anomale d’Italia.

La Pedemontana Veneta, nata come investimento pubblico-privato con il presupposto di un piano di traffico sovrastimato, è un’opera costata 2,3 miliardi di euro di denaro pubblico, inclusi 1,57 miliardi in obbligazioni piazzate sul mercato. La Regione proprietaria l’ha affidata in concessione al costruttore pagandogli affitto di 39 anni e incassando i pedaggi. La giunta veneta ha dichiarato che dal primo marzo al 30 novembre 2024 ha versato un canone di 140,9 milioni contro 93,6 milioni di ricavi. Il deficit per l’intero anno è stato valutato in 51 milioni di euro dalla capogruppo Pd in Regione Vanessa Camani. Secondo le sue stime, il buco medio per la durata della convenzione sarebbe di 170 milioni all’anno.

Il canone aumenterà nei prossimi anni in base a una formula aritmetica inserita nell’allegato G della terza convenzione del 2017, quando non c’erano eventi bellici di prossimità e la delegata di Zaia era Elisabetta Pellegrini, oggi coordinatrice della struttura tecnica di missione del Mit con Matteo Salvini. Nel penultimo anno di convenzione l’affitto toccherà un massimo di 435,6 milioni di euro e la media per tutto il periodo si aggira sui 300 milioni l’anno.

Alle proteste delle opposizioni si è aggiunto il fuoco amico con il forzista Flavio Tosi, anche se l’ex sindaco di Verona non è mai stato amico di Zaia. L’ex leghista eletto all’Europarlamento nel 2024 ha attaccato la giunta per avere compensato il buco Spv con l’aumento dell’Irap, l’imposta sulle attività produttive, in un periodo che già non è dei più rosei per l’economia locale.

Fra le ragioni dello scarso successo di Spv ci sono i pedaggi che deprimono soprattutto il traffico leggero. Per il tratto da Montecchio sud a Malo ci vogliono 4,1 euro cioè 18 centesimi al chilometro, non molto sotto la tariffa dell’autostrada più cara d’Italia, la Brebemi, che però è appunto un’autostrada, come doveva essere la Spv prima del declassamento del progetto che oggi Zaia vuole rimettere in discussione con il Mit di Salvini per salire dai 110 ai 130 kmh di velocità consentita.

Da lunedì 10 marzo i prezzi sono stati calmierati a favore dei pendolari, con uno sconto del 60 per cento per chi percorre due tratte al giorno entro i 25 km dal lunedì al venerdì. Non è detto che basti. «Rischia di essere un’operazione a somma zero», dice Andrea Zanoni, consigliere passato dai democratici a Europa Verde, «perché ci sarà più traffico ma meno ricavi dai pedaggi».

La partita della Spv è uno dei tasti più dolenti di una regione che va verso le elezioni. Il voto è stato spostato dall’autunno 2025 al 2026 per consentire al non ricandidabile Zaia di presenziare dal palco d’onore alle Olimpiadi invernali di Milano-Cortina. Ma il fronte locale ha rilevanza nazionale visto che il partito di Giorgia Meloni vuole prendersi una delle aree ricche del Nord. E se molti riconducono a questioni personali l’ostilità del forzista Tosi, la recente polemica fra il senatore veneziano Raffaele Speranzon, uno dei fondatori di Fdi, e il capogruppo regionale leghista Alberto Villanova, accusato di parlare sotto l’effetto del prosecco, mostra che la tensione continua a salire.

«Quando si sta troppo tempo a Roma, si finisce a parlar per stereotipi facendo passare i veneti per ubriaconi. Quando lo fa un veneziano risulta avvilente», ha replicato Villanova a Speranzon, che è fra i candidati alla successione di Zaia. Ma potrebbe essere proprio uno stereotipo, quello di Roma ladrona, a decidere le sorti del Veneto.

Nell’ipotesi di una richiesta di danno erariale, la Spv scotta sempre di più. L’unico salvataggio possibile per i conti regionali è passare la patata bollente allo Stato. La strategia del ministro Salvini interessa anche l’altra Pedemontana, controllata dalla Regione Lombardia per circa due terzi e per il resto dalla Milano-Serravalle (gruppo Fnm). Anche la sorella lombarda a trazione leghista presenta le stesse caratteristiche di opera in ritardo, con problemi di extracosti, pedaggi molto alti e un bilancio in rosso per 12 milioni nel 2023. L’idea resta di trasferire le due opere in Autostrade dello Stato che, a proposito di anniversari, compie il primo anno di età il prossimo 9 aprile. La società ha in patrimonio quattro concessioni pubbliche: la Asti-Cuneo, il Fréjus, il traforo del Bianco e la Cav. Il cda è formato dal presidente Carlo Vaghi, amministratore della Milano-Serravalle engineering, dall’ad Vito Cozzoli, ex di Sport e Salute, e dalla consigliera Gioia Gorgerino, proveniente dall’Ance. Vaghi ha annunciato sei gare in sei anni. La prima riguarda proprio la Brescia-Padova nel 2026. La seconda è per la Milano-Serravalle nel 2028. Ma è probabile che Cozzoli se ne vada molto prima. Il suo nome è in lizza per sostituire Roberto Tomasi, in uscita da Aspi.

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