"Quegli antidemocratici a Ventotene". Così Mantovano ha ispirato Giorgia Meloni

Il cattolicissimo sottosegretario alla presidenza, in un intervento di due anni fa ha detto che il Manifesto di Spinelli e Rossi era la summa del partito degli anti-italiani. Usando le stesse parole riprese da Meloni nel suo show alla Camera

Brutto posto questa Ventotene. «C’è stato fino a un recente passato una sorta di pellegrinaggio a Ventotene per rendere omaggio agli estensori del Manifesto, in particolare ad Altiero Spinelli. Il pellegrinaggio è finito quando ci si è resi conto che - parlo da meridionale - non portava bene. Perché normalmente chi ci andava dopo poco cadeva, da Merkel a Renzi». A parlare così è stato due anni fa il vero ispiratore dello show di Giorgia Meloni alla Camera contro il Manifesto di Ventotene. Chi ha fornito l’arma di distrazione di massa alla premier? La domanda ha percorso per ore il Transatlantico. Tutti a ipotizzare che fosse il braccio destro Giovambattista Fazzolari. Sbagliato. Era l’altro braccio destro: Alfredo Mantovano.

 

La prova è in un intervento che il sottosegretario alla presidenza del Consiglio e uomo chiave della premier fece nel giugno 2023 in un convegno organizzato dalla rivista “Tempi” a Caorle. Quasi la fotocopia, ante-litteram, di quel che ha detto quasi due anni dopo Meloni alla Camera. Sia nei modi che nelle citazioni. Ma se Meloni ha pescato il fior da fiore, le parole di Mantovano vanno rilette perché svelano il ragionamento di fondo.

 

In quell’intervento oggi dimenticato, in casa della rivista di Comunione e liberazione, il cattolicissimo Mantovano comincia, proprio come Meloni, citando il Manifesto di Ventotene come qualcosa di «tanto citato quanto non letto, tanto esaltato quanto poco meditato». Lui però lo ha letto, citato, meditato. E parte con gli anatemi. Lo definisce un «riferimento ideale del partito antitaliano», costituito da «un raggruppamento trasversale che ha una sua precisa visione della storia, la cui sintesi è: l’Italia è un Paese sbagliato», in ultimo perché nel 1948 «ha voltato le spalle al sol dell’avvenire». Qualcosa a metà tra la Terza Internazionale e la Spectre, insomma.

 

A questo raggruppamento trasversale, che avrebbe voluto stare col blocco sovietico, «il ripristino di una regola elementare di ogni sistema democratico non piace a prescindere». Da sempre, in pratica. C’è quel trascurabile dettaglio che il manifesto è stato composto da due confinati del regime fascista, Altiero Spinelli e Ernesto Rossi, e rivisto da Eugenio Colorni, ucciso dai fascisti nel 1944. Difficile collocarli nella squadra di quelli che non volevano ripristinare il sistema democratico, ma non importa. Mantovano prosegue: «È un partito che non si presenta alle elezioni», ma che «all’inizio della storia repubblicana si era incarnato nel Partito d’Azione: non ha avuto molto successo elettorale, ma l’ha mantenuto, per lo meno come impostazione, sul piano culturale, arrivando a dettare una tendenziale egemonia, anzitutto nei media, ma non soltanto nei media».

 

Summa simbolica di questo partito antitaliano e antidemocratico sarebbe, spiega Mantovano, il Manifesto di Ventotene. «Voglio menzionare 2 o 3 passaggi perché è veramente il modo di intendere oggi l'opposizione, non soltanto al governo del Meloni, ma all'identità italiana». Nel convegno di Tempi, giugno 2023, Mantovano procede a leggere questi passaggi, il terzo dei quali è lo stesso pronunciato da Meloni alla Camera.

 

Il manifesto di Ventotene, «quello che viene spesso identificato come il manifesto fondativo dell'Europa», in questa visione sarebbe in realtà il manifesto degli anti-italiani. Chi si richiama al manifesto di Ventotene è per di più, nel mondo Meloni-Mantovano, allergico alla democrazia, considera «il potere democratico torbido, verrebbe da dire plebeo» e il il popolo «non consapevole di ciò che serve effettivamente per il suo stesso bene».

 

In tutto questo, la destra sarebbe sostanzialmente vittima di un’ingiustizia, spaventosa: «È veramente un paradosso che veniamo considerati una deriva autoritaria perché vogliamo ribadire, nella prassi di governo quotidiana, il principio che governa chi ha preso i voti», protesta Mantovano. La vera democratica insomma è Giorgia Meloni. Schiacciata dai tiranni di Ventotene e dai loro epigoni: da Altiero Spinelli ad Elly Schlein.

 

Praticamente, sostiene Mantovano, la deriva autoritaria sono loro. Quelli che si richiamano a Ventotene e che accusano di «deriva autoritaria» chi è stato democraticamente eletto. Un partito-non-partito: non soltanto i politici, anche i giornalisti, gli euroburocrati, i giudici. «Oggi le opposizioni non sono tanto quelle presenti in Parlamento, ma si trovano in alcuni gruppi editoriali, si trovano pericolosamente in alcune fasce della burocrazia in Italia e soprattutto in Europa, si trovano in alcuni pezzi di giurisdizione». Ovvero la stampa, la magistratura. È il mondo alla rovescia raccontato ieri da Mantovano. E oggi dalla premier Giorgia Meloni.

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