Si può definire “donna” soltanto chi lo è biologicamente. La ministra per le Pari opportunità Eugenia Roccella si è detta d’accordo con la sentenza emessa ieri, 16 aprile, dalla Corte suprema britannica, secondo cui una persona transgender con un certificato che la riconosce come donna non potrà essere considerata una donna ai fini della legge e, quindi, non potrà condividere le tutele previste per chi è nata biologicamente femmina. “È un atto di giustizia verso le battaglie delle donne”, ha commentato la ministra, in un’intervista al Corriere della Sera.
“Le donne hanno fatto una grande fatica, un incredibile percorso verso la libertà e poi si sono trovate scavalcate da uomini che si sentono donne”. Questo, secondo Roccella, altro non è che “una nuova forma di patriarcato”, che mette le donne “in condizione di marginalità, subalternità, esclusione, discriminazione”. La ministra non cambia opinione anche quando si tratta di uomini che hanno fatto la transizione completa, anche chirurgica. “Sappiamo tutti che si nasce uomini o donne. Che i cromosomi sono tali tutta la vita, qualsiasi cosa tu faccia, qualsiasi chirurgia”, afferma. “Non si può cambiare qualcosa che è profondamente legato al corpo”.
Per questo, commenta Roccella, bisogna rivedere anche il tipo di tutele che possono essere garantite alle donne che hanno fatto la transizione. “Nessuno vuole togliere le tutele alle persone trans”, ma devono essere quelle adatte al caso specifico: “Possono avere le tutele di chi ha fatto la transizione, non delle donne con il corpo sessuato”. In Italia, per ora, sembra non esserci la possibilità di un’iniziativa governativa che vada nella stessa direzione della sentenza britannica, perché il Paese non sarebbe “ancora” interessato dagli “eccessi del mondo britannico”. Quello che servirebbe, chiosa la ministra, è un dibattito con le donne che si definiscono transfemministe: “Un vero dibattito, senza pregiudizi, tra le femministe della differenza e le femministe intersezionali”.
La sentenza ha messo in allarme la galassia Lgbtqia+. “C’è profonda preoccupazione per le implicazioni di vasta portata della sentenza della Corte Suprema. È incredibilmente preoccupante per la comunità transgender e per tutti noi che la sosteniamo", ha dichiarato Simon Blake, Ceo di Stonewall, una delle principali organizzazioni in Europa per i diritti della comunità Lgbtqia+.
Sulla stessa strada degli Usa
Un passo indietro nei diritti delle persone trans che non riguarda soltanto il Regno Unito. Il dipartimento di Giustizia americano ha intentato una causa contro il Maine per aver permesso ad atlete transgender di competere negli sport femminili. È l'ultimo capitolo di una battaglia contro lo Stato democratico: a febbraio, dopo aver emesso l'ordine esecutivo che escludeva le persone transgender dalle competizioni sportive per donne, il presidente Donald Trump si era scontrato con la governatrice, Janet Mills. E la scorsa settimana l'amministrazione ha deciso di tagliare i finanziamenti federali al Maine per le scuole pubbliche proprio per questo motivo. Il presidente ha anche dichiarato che spingerà il Comitato olimpico internazionale a modificare le sue regole sugli atleti transgender prima dei Giochi di Los Angeles del 2028.