Andrea Delmastro aveva tutti i “segnali” per comprendere “la riservatezza” e “la delicatezza” delle informazioni che ha passato a Giovanni Donzelli. I giudici dell’ottava sezione penale del tribunale di Roma hanno pubblicato le motivazioni della sentenza con cui lo scorso 20 febbraio il meloniano sottosegretario alla Giustizia è stato condannato a 8 mesi, con sospensione della pena, per rivelazione di segreto d’ufficio in relazione al caso dell’anarchico Alfredo Cospito. “Il Collegio ritiene che le notizie comunicate dall'imputato all'onorevole Donzelli (di Fratelli d’Italia, ndr) rientrassero e rientrino nell'ambito del segreto di ufficio” e "che la comunicazione di tali notizie abbia comportato un concreto pericolo per la tutela e l'efficacia della prevenzione e repressione della criminalità e che Delmastro non può essere ritenuto tanto leggero e superficiale, come per certi versi vorrebbero difesa e procura, da non aver considerato e non essersi reso conto della valenza e delicatezza, e in definitiva della segretezza, di quelle informazioni”. Nel mezzo dello sciopero della fame di Cospito, al 41-bis al carcere di Opera e visitato in quei giorni da esponenti delle opposizioni, Donzelli aveva attaccato il centrosinistra citando alcune conversazioni tra l’anarchico e alcuni boss mafiosi; quelle informazioni Donzelli le aveva ricevute per sua stessa ammissione da Delmastro, che ai tempi era anche suo coinquilino oltre che compagno di partito, che aveva però divulgato informazioni riservate che lui aveva in quanto sottosegretario alla Giustizia con delega al Dap, il Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria.
"Agì in modo del tutto autonomo"
I magistrati di Piazzale Clodio scrivono nelle motivazioni che “risulta che l’imputato (Delmastro, ndr) compulsò con fretta e premura insistente gli uffici del Dap. Dallo stesso esame di Delmastro appare evidente che egli agì in modo del tutto autonomo e senza nessuna preventiva consultazione con gli uffici, anche il racconto che l'imputato fa di una consultazione del magistrato Sebastiano Ardita, unica persona, a cui è stato fatto esplicito riferimento, avvenne in momento successivo. Quindi prima che della condotta incriminata”, proseguono i giudici, “non vi furono consultazioni con gli uffici e nessuno rassicurò l'imputato che le informazioni potevano essere divulgate al di fuori degli uffici. Al contrario, come già ricordato, tutto il percorso con cui le informazioni richieste giungono” a Delmastro arrivano con “segnali che indicano la riservatezza”.
"La difesa di Delmastro è priva di senso logico"
In un altro passaggio i giudici romani affrontano, contestandola, anche la strategia difensiva adottata dal sottosegretario: "Ritenere che l'indicazione 'delimitata divulgazione' potesse avere valore solo all'interno del Dap, i cui componenti erano dunque tenuti alla riservatezza, e non avesse invece alcun valore all'esterno, ossia che chi aveva conoscenza della la notizia o dell'informazione in ragione del suo ufficio ma quale appartenente a uffici diversi al Dap potesse liberamente divulgarla, è privo del più elementare senso logico". La condanna di Delmastro, tra l'altro, è arrivata dopo uno scontro singolare all'interno del tribunale di Roma. Con la procura che aveva chiesto l'archiviazione (ribadita anche in dibattimento) e con il gip che aveva invece disposto l'imputazione coatta; scelta poi confermata dai giudici in processo.
43 pagine di motivazioni
Nelle 43 pagine di motivazioni i magistrati romani aggiungono che “le notizie comunicate dall'imputato a Donzelli, in termini e modi tanto precisi da consentirne una riproduzione letterale parola per parola rivelavano che il detenuto Cospito portava avanti intese con elementi di spicco della criminalità organizzata per una comune battaglia per l'abolizione del regime 41 bis: una sorta di saldatura per convergenza di interessi tra la criminalità politica e la criminalità comune, nella sua più pericolosa forma. Intese – si legge – che erano ritenute di rilievo e degne di attenzione sotto il profilo preventivo e repressivo". Le notizie “rivelavano che i detenuti erano controllati e ascoltati, anche al di fuori delle previsioni normative e quanto da loro detto era oggetto di relazioni di servizio". Per i giudici "sarà anche stato un segreto di pulcinella, come osserva nella sua memoria il difensore dell'imputato, ed è certamente corretto ipotizzare che i detenuti temano e ritengano di essere ascoltati e osservarti; tuttavia – secondo la sezione penale del tribunale di Roma – un conto sono le ipotesi che più o meno fondatamente un soggetto formula, altro è la certezza, con collocazione del fatto in un preciso contesto spazio temporale”. È "certo che, a seguito del clamore mediatico dell'intervento in parlamento di Donzelli, tanto il Cospito che i detenuti di criminalità organizzata vennero a sapere che il loro colloquio era stato ascoltato e riferito”.