Decisionista, determinata, maratoneta. Così la ex campionessa punta a riconquistare la città rossa dopo otto anni di destra. Con una coalizione che va da Conte a Calenda. Per riportare alle urne i delusi

Silvia Salis, un martello a sinistra nella Genova del disincanto

Quale razza di scommessa si sia messa in testa di vincere Silvia Salis correndo a Genova da civica del centrosinistra per la poltrona di sindaca lo si capisce quando alle undici di mattina, a via Molassana, nella Val Bisagno, il signor Cesare, una vita da operaio e una vita col Pci, la ferma in mezzo alla strada, agitando le impegnative del medico con le quali non riesce a prenotare una visita cardiologica di cui ha urgenza, e accorato quasi la prega di convincerlo a tornare a votare, perché, dice, «mi impegnavo a ogni elezione, poi a un certo punto ho scoperto che sono tutti uguali: ma lo vede che hanno fatto, pure qui?». Salis ascolta, annuisce, si sente parte della stessa storia: suo padre Eugenio, operaio e custode dell’impianto di atletica Villa Gentile, comunista, scomparso a febbraio, ha fatto in tempo a consegnarle una previsione lusinghiera: «Farai tornare a votare tanti come me». I sondaggi la favoriscono, l’impresa però è tutt’altro che semplice: una conquista metro a metro, tappa dopo tappa, diffidenza dopo diffidenza. Genova è la città più vecchia d’Europa, tra le più deluse d’Italia: l’ultima volta per il comune ha votato il 44 per cento, il 56 per cento dei genovesi è rimasto a casa, e non è detto che non lo faccia anche stavolta, per il voto del 25 e 26 maggio, per scegliere il successore di Marco Bucci, il sindaco che è diventato presidente della regione in autunno, dopo le inchieste che hanno travolto Giovanni Toti ma che, nonostante gli scandali, hanno confermato il centrodestra al potere.

 

È questo, dunque, il secondo miracolo che è chiamata a fare Silvia Salis, 39 anni, di Sturla, un figlio di un anno con il regista Fausto Brizzi, già lanciatrice di martello, due olimpiadi, dieci titoli, prima donna vicepresidente vicaria del Coni, che ha lasciato tutto per buttarsi a capofitto in quello che, da bambina, diceva essere ciò che avrebbe fatto da grande: «La sindaca». Una passione politica mai concretizzata, nonostante qualche offerta e qualche tentazione. Un nome arrivato a febbraio, dopo mesi di introversioni del Pd genovese, ancora stravolto dalla sconfitta alle Regionali del suo prediletto figlio locale, Andrea Orlando, tuttora definita tra i sofferenti dem un gol a porta vuota senza la porta. «Ma c’è voglia di cambiare segno al governo di Genova, i militanti sanno che è arrivato il momento di spingere tutti insieme», dice l’ex ministra Pd Roberta Pinotti, che su Salis ha puntato fin dall’inizio. Da Roma la segretaria dem Elly Schlein ha benedetto l’operazione, ed è andata a sostenere Salis sin dall’inizio. Riconquistare la ex roccaforte operaia, dopo otto anni di destra, sul piano nazionale significa ricucire una frattura, dare il messaggio che tornare a vincere si può.

 

Ecco quindi questa specie di ciclone, un’aliena con in mano la soluzione, che si intrufola nei mercati, nei bar, nelle tipografie, nelle piscine, nei Caf ma anche in Confindustria, dieci tappe al giorno, migliaia di chilometri avanti e indietro, studiando la notte i dossier di cui parlare di giorno, visto che la politica non era il suo mestiere. Del resto, ricorda, quando ha cominciato ad allenarsi, il lancio del martello era uno sport da maschi, considerato inadatto al suo fisico. Il carattere è quello delle sfide difficili, lo spirito è quello della «maratoneta».

 

Il primo miracolo l’ha realizzato appena discesa in campo: mettere assieme la coalizione, tutta, dai Cinque stelle ad Azione, da Conte a Calenda. Convincere i tanti maschi del gruppo che era lei la soluzione giusta. Anche imponendosi, nel corso delle trattative interne, quando si è trattato di dare al Movimento un secondo candidato presidente di Municipio (il Medio Ponente), ridimensionando le aspettative del Pd: «Perché l’importante è l’unità della coalizione: solo così arriviamo a governare, solo così potremo cambiare passo, dare una svolta di discontinuità», dice. L’unità, e vincere. «Dopo tanti anni che lottiamo, dopo otto anni, per la miseria!», esclama la signora Giovanna, a Voltri. Sarà per questo che il santino dell’aspirante sindaca si ritrova appicciato con lo scotch di carta anche su una torre di Porta Soprana, pieno centro, come una minuscola madonna laica. «Mi raccomando: a muso duro», le urla una signora in motorino ferma al semaforo, vedendola attraversare la strada.

 

Non che Salis sembri correre il rischio della demotivazione. Il piglio decisionista, più pratico che ideologico, ha creato non pochi scompensi e certamente ne creerà, negli avversari di certo ma anche nel suo campo: se ne sono visti assaggi anche in campagna elettorale, dal tema Gronda a quello del termovalorizzatore. Del resto il suo profilo moderato non è un segreto: l’anno scorso è stato il leader di Italia Viva Matteo Renzi a portarla sul palco della Leopolda, da manager sportiva, a raccontare la sua storia che, come ama dire citando Draghi, «dimostra il ruolo dello sport come ascensore sociale».

 

Per il momento, tuttavia, la massima destabilizzazione è quella del centrodestra. Bastava anche solo vedere quanto si è sbracciato Pietro Piciocchi, il vicesindaco facente funzioni di Bucci e ora candidato al suo posto, domenica sera durante il dibattito tra i candidati sindaci di fronte a oltre duecento scout dell’Agesci, seduti per terra nella palestra Sisi sport, tra i caschi dei motorini e i giacconi appallottolati, gli occhi attenti sul loro primo voto. Un appassionante incontro che il vicesindaco dell’opus dei, avvocato, otto figli, ha scelto di affrontare sempre all’impiedi, chissà perché senza microfono, urlando a dei ventenni il suo entusiasmo da «gioventù del cuore» (sic!) e il suo appassionante programma per diminuire i costi della Tari, costi di cui mediamente un ragazzo non si occupa.

 

Né del resto a Salis sono stati risparmiati in questi mesi gli attacchi politici e personali di ogni tipo (marionetta del Pd, di destra, comunista, attraversatrice col rosso, eccetera) a partire naturalmente dal suo aspetto fisico: il senatore Maurizio Gasparri, ad esempio, ha dato il suo contributo rivelando proprio da Genova che «la politica non è un concorso di bellezza». Parole come boomerang. Sassi che affondano nello stagno. Replicare non vale la pena: «Mi continuano a lanciare messaggi, a provocare, ma a me non piace parlare degli altri: io i messaggi li lancio ai genovesi, è per loro questa campagna», dice Salis. Lo insegna lo sport: occuparsi di se stessi, prima che dell’avversario. Fare il contrario significa svelare la propria paura. «Agli attacchi puoi cominciare a farci l’abitudine: sono cose che non finiscono con la campagna elettorale, anzi», le ha raccontato la sindaca di Firenze, Sara Funaro, che ha raggiunto Salis per un endorsement, e per un confronto tra campi di gioco difficili, per così dire, avendo vissuto lo scorso anno l’infuocatissima campagna per le comunali a Firenze, dove nessun colpo basso è stato risparmiato (e la coalizione era spaccata in quattro pezzi). A lei, Salis ha voluto fra l’altro far vedere il progetto-monstre del cosiddetto Skymetro, sopraelevata su pali di cemento larghi due metri che il centrodestra vuole costruire per collegare la Val Bisagno e che, tanto per cominciare, prevede l’abbattimento di una scuola: il centrosinistra è da sempre contrario, ma giusto lunedì il Consiglio superiore dei lavori pubblici ha dato l’ok al progetto. A sei giorni dal voto, che coincidenza.

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