Arrivato dall’Albania, Bernard Dika ha inventato il Next Generation Fest di cui L’Espresso è media partner: ”Ho aspettato 16 anni per avere la cittadinanza”

"Noi giovani non siamo il futuro, siamo il presente" - L'intervista a Bernard Dika

I compagni di scuola stanno partendo in gita scolastica. Lui, invece, è in coda fuori dalla questura per sbrigare delle pratiche che gli impongono di sentirsi diverso. C’è sua madre ad accompagnarlo, parla italiano a stento. Lui no, ha il piglio oratorio del politico. Tiene comizi in giro per le scuole della provincia, accende nei coetanei il desiderio di lottare per il bene comune. Ma quando si tratta di andare in gita con loro, il suo permesso di soggiorno non gli consente di lasciare l’Italia. Il paradosso: non può uscire dall’Italia, ma non è nemmeno un cittadino italiano, benché sia arrivato qui, dall’Albania, quando aveva appena un anno. Poi, compiuti i 16 anni, sua madre riceve la cittadinanza e lui, che non parla albanese ma con l’italiano ha già attirato le attenzioni dei politici locali, la ottiene di conseguenza. Lo notano anche al Quirinale: Sergio Mattarella gli conferisce l’onorificenza di Alfiere della Repubblica per il suo impegno nel migliorare le condizioni degli studenti toscani, dall’edilizia scolastica al trasporto pubblico, e nell’alimentare la memoria dell’antifascismo. Bernard Dika oggi di anni ne ha 27 ed è il più giovane dirigente della pubblica amministrazione. «Mi vergognavo di spiegare ai miei compagni che mi toccava saltare la scuola per andare a rinnovare il permesso di soggiorno. Inventavo scuse, dicevo di avere delle visite mediche», ricorda. «Tutta la mia infanzia è stata una grande invenzione: non avevo le opportunità dei miei amici, non avevo una casa dove invitarli a studiare il pomeriggio. Avevo una sola possibilità per restare in Italia e convincere mia madre a non tornare in Albania: dare il massimo per il luogo che mi aveva accolto così da diventare parte integrante di quella comunità». Il sindaco di Larciano, piccolo centro in provincia di Pistoia, il parroco, una famiglia locale ammirano il suo prodigarsi per gli altri e gli forniscono supporto. Dika, intanto, comincia a essere invitato su palchi sempre più importanti. Nel 2018, alla Festa dell’Unità in Piazza del Popolo, striglia i vertici del Partito democratico per la loro litigiosità «e per il poco spazio lasciato ai giovani, usati come vetrina, ma ai quali vengono interdetti ruoli di responsabilità».

 

La carriera prosegue. Eugenio Giani lo inserisce nel suo staff per la campagna elettorale del 2020. Vincono le Regionali. Inizia la legislatura come consigliere del presidente per le politiche giovanili. Poi arriva la nomina a portavoce, mantenendo le deleghe precedenti. Ed è in questo ruolo che rilancia GiovaniSì, il programma regionale per l’autonomia dei giovani. Dika architetta il Next Generation Fest, un festival dedicato alle nuove generazioni in cui migliaia di ragazzi hanno modo di incontrare, nel Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, esempi positivi che possano ispirarli: artisti, imprenditori, sportivi, talenti di ogni ambito. Quest’anno, per la quarta edizione, L’Espresso ha deciso di essere media partner dell’iniziativa. «Il mio motto è: “Noi giovani non siamo il futuro, siamo il presente”. Adesso è l’unico tempo che ci è dato per apportare i cambiamenti che vogliamo, nella società e in noi stessi». Dika non accetta che gli adulti frenino i ragazzi, come spesso avviene in politica, con la scusa di accumulare prima esperienza. «Come si può maturare se non si è coinvolti in primo piano? E poi, perché dobbiamo delegare le decisioni che ci riguardano a qualcuno che, invece, non ne sarà impattato?». Mattarella gli ha conferito l’onorificenza anche perché, da presidente del Parlamento degli studenti toscani, Dika è riuscito a far approvare dal Consiglio regionale una legge scritta dai ragazzi sul contrasto al bullismo. Non era mai accaduto.

«Il referendum è un momento meraviglioso per la democrazia. È una delle rare occasioni in cui i cittadini possono incidere direttamente sulle leggi, senza demandare ai rappresentanti politici». Riaffiora il suo passato: «Sono sempre stato italiano ed europeo. Non ho mai parlato altra lingua, non ho mai avuto altro luogo da poter definire casa. Eppure, ho dovuto aspettare 16 anni prima di essere riconosciuto per ciò che sono sempre stato. Non voglio che altri soffrano le discriminazioni che ho subito: perciò voterò convintamente sì al referendum sulla cittadinanza». C’è una rabbia, che Dika definisce «rabbia costruttuiva», nei suoi ragionamenti. «Non ci salveranno i sovranisti che gridano “prima gli italiani”, “America first”, ma finiranno per isolare le persone. O ci salviamo tutti o non si salva nessuno». Dai cambiamenti climatici alle disuguaglianze economiche, dallo sfruttamento del lavoro alle guerre: nessun Paese può contrastare autonomamente i problemi epocali che «riguardano tutti», sostiene Dika. «Lo Stato, da solo, non conta più nulla. Le multinazionali, con il loro potere economico e quindi negoziale, mettono in concorrenza tra loro persino le Nazioni. Intanto, i diritti dei lavoratori vengono erosi».

Dika lancia un appello alle nuove generazioni, affinché assumano un ruolo da protagonisti nelle decisioni, anziché delegarle ad altri. «Capisco che molti si sentano sopraffatti. Ma non è impossibile cambiare. È impossibile andare avanti così». La rabbia, mentre parla di giovani, sembra trasformarsi in speranza. «Non so dove porterà tutto questo. Ma so che preferisco provarci piuttosto che restare fermo. Scelgo di esserci, perché il cambiamento non arriva da chi guarda, ma da chi si espone. Da chi cade, si rialza, insiste. Da chi non aspetta il momento giusto, lo crea». In una società in cui è facile rifugiarsi nell’individualismo, il percorso di Dika dimostra che è possibile partire dal margine e costruire un presente condiviso, dove ogni giovane sia parte attiva di una storia collettiva. Perché i giovani, ripete il mantra, non sono il futuro, sono il presente. «Spetta anche a noi decidere, ora, l’Italia di domani».

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