Era immediato riconoscere negli Stati Uniti la più evoluta democrazia, fino a poco tempo fa. Esportatori dei valori occidentali, si diceva. Poi è arrivato Trump e la Casa Bianca ha perso quello smalto, che pure celava a fatica le contraddizioni di una società imperniata sul denaro. La salute era già un privilegio, il colore della pelle un discrimine. E poi le detenzioni a Guantanamo, le esecuzioni capitali. È sempre stata una questione di prospettiva alterata dal sogno americano o, forse, dal debito per la Liberazione. E ci si è dimenticati che l’avamposto dei diritti resta, da secoli, l’Europa. C’è un territorio in Italia che va ricordato per un primato, in questi tempi disgraziati. La Toscana, che quando era Granducato, nel 1786, fu il primo Stato al mondo ad abolire la pena di morte. Oggi la centralità dell’essere umano, spiccata nel Rinascimento che qui nacque, ritrova una primavera insperata nelle politiche regionali.
Il governo Meloni ha impugnato la legge approvata l’11 febbraio 2025, la prima in Italia a regolamentare il fine vita. «Abbiamo voluto rispettare la dignità di ogni persona, garantendo a tutti il diritto di scegliere come vivere e, in condizioni di sofferenza insopportabile, come morire», afferma Eugenio Giani. ln attesa del pronunciamento della Consulta, c’è stato già un caso di suicidio medicalmente assistito. «Davanti al dolore, non possiamo girare la testa dall’altra parte», rivendica il presidente. Contro il lavoro povero, il Consiglio regionale ha recentemente approvato una legge che stabilisce premialità per le aziende che partecipano alle gare regionali e riconoscono ai propri dipendenti un salario minimo di nove euro l’ora. «È il punto di partenza per garantire uno stipendio giusto. L’economia dovrebbe essere tarata sul benessere dei cittadini, prima che sul profitto».
Salute, lavoro e, nell’agenda del presidente, ha assunto priorità la tutela dei diritti umani. Ovunque. Ci sono stati l’atto simbolico, l’esposizione della bandiera palestinese sul palazzo della giunta regionale, e quello normativo: «Sono 146 i Paesi che riconoscono la Palestina come Stato. L’Italia no. Stiamo lavorando per far approdare in Parlamento una proposta di legge affinché venga legittimata da Roma la sovranità dei palestinesi sulla Cisgiordania e sulla Striscia di Gaza». A qualche finestra di distanza dall’ufficio di Giani, in corrispondenza della bandiera nera, bianca, verde con triangolo rosso, c’è una task force di ragazzi che aiuta il presidente nella comunicazione. Li guida il consigliere per le Politiche giovanili e portavoce del presidente, Bernard Dika. Ha 27 anni e ha ideato il Next Generation Fest, il più grande evento gratuito in Italia dedicato alla Gen Z e alla Gen Alpha. La quarta edizione si è tenuta a inizio giugno ed è un riflesso dell’impegno della giunta verso le nuove generazioni, che va dai nidi gratis ai bandi per il diritto allo studio.
Dika sta sistemando una pila di copie della Costituzione da consegnare agli studenti di Pistoia, nel fine settimana. «La Carta è la nostra bussola. Conoscerla significa sapere quali diritti ci spettano. Studiarla ci dà gli strumenti per lottare affinché ci vengano garantiti». Il terzo articolo, quello sull’uguaglianza. «In tanti si soffermano sulla prima parte, che pure è fondamentale: “Senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione” e così via. Però io mi accaloro quando ricordo che è “compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale” e, invece, questo governo non ha adeguato la spesa sanitaria all’inflazione, rendendo il diritto alle cure un privilegio». Per scalare le ormai infinite liste d’attesa, i cittadini sono costretti a rivolgersi al regime privato. Persino i governatori del centrodestra hanno respinto il tentativo di scaricabarile dell’esecutivo. Torna sulla faglia che si è aperta tra esecutivo e Toscana in materia di sanità e suicidio medicalmente assistito: «Non è una legge che spinge alla morte. È una legge che restituisce dignità alla libertà di scelta. Il governo Meloni ha deciso di impugnarla, con il pretesto che strabordi dalle competenze regionali. In realtà, è la rappresaglia politica di chi vuole imporre una sola idea di vita. E di morte».
«Chi oggi detiene il potere è spesso legato a una visione di mondo che non esiste più», aggiunge Dika. E allarga il discorso anche ad altri diritti. È giugno, il mese del Pride: «In Italia non abbiamo ancora una legge contro l’omolesbobitransfobia, non esiste una norma per il riconoscimento automatico dei figli nelle famiglie omogenitoriali». Il nostro Paese è in una posizione arretrata nelle classifiche dei diritti Lgbt. «Eppure, la società è più avanti delle istituzioni. Noi giovani non dobbiamo recepire i diritti civili: ci appartengono. Siamo già collocati dove il Paese dovrebbe essere». In Parlamento, non sono riusciti i tentativi di adeguare l’impianto normativo al mondo che Dika e i suoi coetanei abitano già. Lo scontro è netto: «Ci dicono che non è il momento. Ma noi il momento lo stiamo vivendo. Siamo migranti italiani senza cittadinanza. Siamo studenti senza accesso alla salute mentale. Siamo vite reali, ma fuori legge. Non per scelta nostra, ma per tornaconto elettorale di chi scrive le norme».
Dika ricorda il progetto pilota della Regione che ha istituito, in Toscana, lo psicologo di base, accessibile gratuitamente tramite Asl. «In un’epoca in cui il disagio è in crescita tra i giovani, questo servizio rappresenta un’azione concreta per abbattere lo stigma e rendere la salute mentale parte integrante del sistema sanitario pubblico». Non ha timore nell’attribuire a una parte politica le responsabilità dell’esacerbarsi di alcune discriminazioni. «La destra di Vannacci, il quale sostiene che “gli omosessuali non siano normali”. L’esaltazione di Meloni della presunta “famiglia tradizionale”. La demonizzazione che Salvini fa dei migranti che attraversano il Mediterraneo. Sembrano voler affossare le battaglie per l’inclusione. Il problema – conclude – non è solo Vannacci, ma chi resta in silenzio mentre afferma certe assurdità. Non è solo chi nega diritti, è chi li rinvia per calcolo politico. Chi oggi governa teme la libertà perché non la controlla».