Tenersi il più possibile a distanza dallo Zar. La strage di Sumy ha cambiato tutto. Dopo i due missili con bombe a grappolo che i russi hanno lanciato contro la città ucraina, lasciando sul terreno 34 vittime, fra le quali due bambini proprio nella Domenica delle Palme in cui le famiglie si recavano a Messa, è arrivata la svolta. Il fronte pacifista della politica italiana ha capito che era il momento di mettersi al riparo (una volta per tutte?) dalle accuse di putinismo che non era riuscito a scrollarsi di dosso in tutto il periodo precedente.
In un modo o nell’altro, uno schieramento trasversale aveva bocciato la “soluzione militare” della crisi di Kiev, fatta principalmente di aiuti militari dell’Occidente. Senza mezze misure, dall’opposizione, i Cinque Stelle votando contro i decreti varati dal governo Meloni; fermandosi a metà strada la Lega che non poteva rompere l’alleanza di centrodestra spingendosi fino a tanto. Ma con una nota comune: l’insistenza sulla ricerca del dialogo con Vladimir Putin, come soluzione politico-diplomatica che, secondo le due forze politiche, sarebbe stata ostacolata dagli Stati Uniti prima dell’arrivo di Donald Trump.
Ancora nel dicembre dello scorso anno, poche settimane dopo le elezioni statunitensi, Giuseppe Conte davanti ai pentastellati riuniti a Bologna per la Costituente del movimento, argomentava: «Se fossi stato al governo avrei tartassato Putin di telefonate per farlo sedere a un tavolo, per convincerlo nel suo interesse a recuperare un ruolo nella comunità internazionale e rinunciare al folle scontro». E, pur ricordando di aver «condannato subito l’aggressione di Putin», l’ex presidente del Consiglio sosteneva che l’Occidente aveva scelto «una prospettiva di conflitto militare per piegare la Russia» nella direzione di «un’escalation a oltranza».
Sono diversi i toni dopo la strage del 13 aprile, prima ancora dei raid russi su Kharkiv e dei missili contro Kiev, conferma di un’escalation in atto. «Fermare Putin», ha chiesto in modo esplicito Il Movimento di Conte in un documento dei capigruppo delle commissioni parlamentari Esteri e Difesa. Da lì – mentre lo Zar ha deciso una tregua solo nei giorni intorno al 9 maggio, ricorrenza della vittoria sul nazismo – inizia la complicata ricerca di una terza via. Ci dice uno dei firmatari del documento M5S, il deputato Marco Pellegrini: «La strage di civili a Sumy non deve dare forza né a Putin né a quegli estremisti, Nato ed europei, della guerra a oltranza e della sola opzione militare».
Né con Putin né con la Nato. Sulla scia della manifestazione pacifista del 5 aprile a Roma, sembra questa la linea di confine sulla quale si attestano i Cinque Stelle. Quanto alla Lega, la posizione è quella di dichiarare la propria adesione alla linea Trump sull’Ucraina. Una scelta che, come abbiamo visto, in larga parte è condivisa dai pentastellati. Ma solo Matteo Salvini si spinge a dichiarare che «Trump ha fatto in due mesi più che altri in tre anni», sperando che il successore di Joe Biden «riesca nel cessate il fuoco che si è proposto». Insomma, per criticare duramente la linea interventista che è stata fissata da Emmanuel Macron con il progetto della coalizione dei “volenterosi”, non occorre esporsi nuovamente all’accusa di putinismo. È sufficiente professarsi trumpiani, visto che il piano di pace americano non è lontano dalle richieste del Cremlino.

«È innegabile – commenta Stefano Silvestri, direttore di AffarInternazionali – che i putiniani siano oggi in difficoltà. Di conseguenza, la posizione di Trump, critica nei confronti di Volodymyr Zelensky, consente a questa parte della politica italiana di essere comunque anti-Ucraina, in altre parole di schierarsi per una pace che non piace a Zelensky ma che potrebbe andare bene a Putin, il quale punta a ottenere quella vittoria che non ha conquistato con le armi: il Paese neutralizzato sotto il suo controllo, sia pure indiretto». Sotto l’aspetto di politica interna, questa scelta né con Putin né con la Nato è «abbastanza debole», osserva Silvestri, sottolineando anche un altro aspetto: «Siamo in una fase nella quale Giorgia Meloni, recuperando il rapporto con Trump e allo stesso tempo difendendo le ragioni di Zelensky, dimostra che non è necessario essere anti-ucraini per esprimere un atteggiamento positivo nei confronti del presidente americano».
L’esito dell’incontro tra Trump e Giorgia Meloni del 17 aprile alla Casa Bianca non ha certo favorito Salvini sul terreno del filo-americanismo né su quello della ricerca di una soluzione per l’Ucraina: le carte torna a darle la presidente del Consiglio. Ma il tema della Difesa europea – che nasce dall’esigenza dell’Unione di fronteggiare in prospettiva il progressivo disimpegno militare Usa in Europa e l’incognita russa – resta divisivo per il governo, come ha dimostrato la scelta di non inserire la parola “riarmo” nella recente risoluzione di maggioranza approvata in Parlamento. E anche la decisione di portare al 2 per cento la spesa italiana per la Difesa non senza la possibilità di impegnarsi con Trump ad andare oltre nei prossimi anni, è accompagnata da alcune riserve mentali e ambiguità, come dimostrato dalla polemica tra Giancarlo Giorgetti (Lega) e Guido Crosetto (Fratelli d’Italia) sulla lista delle armi da acquistare, che è esplosa a Roma nelle stesse ore in cui a Washington Meloni veniva ricevuta da Trump.
Pd e Cinque Stelle – meno distanti sul riarmo europeo rispettivamente con la richiesta di una «revisione radicale» del piano von der Leyen e quella di una sua bocciatura – ormai evitano di confrontarsi sull’Ucraina, tema che li divide. Ma così non si va lontano, avverte l’ala riformista del Pd. «Considerando che la questione ucraina molto probabilmente non si chiuderà a breve, è fondamentale – ci dice Lia Quartapelle – che l’opposizione abbia una posizione unitaria. Quale? Dobbiamo essere consapevoli che l’Europa dovrà comunque garantire la difesa dell’Ucraina e che Kiev deve entrare nell’Ue. Ma a questo proposito a Strasburgo, mentre i Verdi e una parte di Left in aggiunta ai socialisti offrono una sponda a Ursula von der Leyen per il suo piano, i Cinque Stelle sono attratti dalle sirene rosso-brune tedesche, filo-Putin».
Il centrosinistra si è diviso nel Parlamento italiano anche sulle missioni all’estero: ogni partito con una propria mozione, per il no Cinque Stelle e Avs. Il governo, che nella stessa occasione ha ottenuto l’approvazione a realizzare forze ad alta e altissima prontezza operativa, conferma invece l’indisponibilità verso l’iniziativa franco-britannica per un nucleo di volenterosi che agisca in Ucraina: una scelta che «fa pensare a una nostra uscita dal nucleo duro della nuova difesa europea», ha osservato, sul Corriere della sera, l’ambasciatore Giampiero Massolo. Quella di Parigi e Londra è, infatti, la soluzione che, non escludendo «garanzie in armi all’Ucraina senza troppe coperture multilaterali» potrebbe prendere forma soprattutto se dovessero fallire i negoziati Usa-Russia per responsabilità di Putin. E potrebbe ottenere alla fine anche il via libera di Trump. Quale delusione per i pacifisti della politica italiana, fan del tycoon Meglio non dare nulla per scontato davanti all’imprevedibile presidente.