L’abrogazione del reato di abuso d’ufficio non è incostituzionale. Lo ha deciso la Consulta, dopo l’udienza pubblica di ieri, 7 maggio, dopo che 14 autorità giurisdizionali, tra cui la Cassazione, avevano sollevato una questione di legittimità costituzionale. La Corte costituzionale ha ritenuto ammissibili solo le questioni relative agli obblighi derivanti dalla Convenzione di Merida, la carta delle Nazioni Unite contro la corruzione. Nel merito, la Consulta ha dichiarato infondate tali questioni, ritenendo che dalla Convenzione non sia ricavabile né l'obbligo di prevedere il reato di abuso d'ufficio, né il divieto di abrogarlo ove già presente nell'ordinamento nazionale. La motivazione della sentenza sarà pubblicata nelle prossime settimane.
Il reato d’abuso d’ufficio è stato abrogato lo scorso 25 agosto, come parte dei più ampi interventi del governo e, nello specifico, di Carlo Nordio sui temi della giustizia. Il reato puniva il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nell’esercizio delle sue funzioni, procurava intenzionalmente a sé o ad altri o un ingiusto vantaggio patrimoniale, oppure un danno ingiusto. Per l’esecutivo, l’abrogazione sarebbe motivata dalla necessità di liberare i funzionari pubblici, in particolare i sindaci, dalla cosiddetta “paura della firma": per i critici è un regalo ai “colletti bianchi”, perché si depenna completamente l’articolo del codice penale che per quasi un secolo è stato alla base di tutti gli illeciti penali contro la pubblica amministrazione.