Il centrodestra smentisce a parole l’idea di un ritorno alle urne in primavera. Ma nella maggioranza cresce la voglia di resa dei conti. E l’opposizione spera nell’effetto regionali

Tutti tentati dalle elezioni anticipate

Un ex ministro che ne ha viste tante, e che da “democristiano” dichiarato e non pentito partecipa a questa legislatura nella nuova veste di deputato di Fratelli d’Italia, Gianfranco Rotondi, liquida la questione così: «Le elezioni anticipate? Come ama dire Romano Prodi, non si programmano, ci si casca», per un incidente di percorso al di là delle intenzioni, che però sembrano esserci. Circola sempre più l’ipotesi – attribuita a Palazzo Chigi o non esclusa da Giorgia Meloni – che alle urne gli elettori saranno chiamati prima della scadenza naturale della legislatura, primavera 2026 anziché fine estate 2027.

 

Ma guai a toccare l’argomento con il centrodestra. Getta acqua fredda la Lega, sebbene il suo atteggiamento sempre più conflittuale nella maggioranza potrebbe alla fine spingere Meloni a un plebiscito sulla premiership. «Il governo – sostiene il vicesegretario federale e sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon – è in salute nonostante a sinistra cerchino di far credere il contrario. E che sia in salute si può rilevare sia dai dati economici che dal gradimento dei cittadini». Per attuare il programma del centrodestra occorre ancora tempo, osserva sempre Durigon: «Le cose non si possono portare a termine con la bacchetta magica». Forza Italia, pur mostrando una crescente irritazione nei confronti del “populismo” leghista, riconosce che il partito di Matteo Salvini «negli atti parlamentari non ha mai fatto mancare il proprio voto coerente con il mandato elettorale». Parole di Alessandro Cattaneo, responsabile dei dipartimenti di Forza Italia, che vede «una traiettoria di legislatura» dopo il primo tratto di strada «nel segno della stabilità che costituisce il nostro vantaggio rispetto alle opposizioni». 

 

È stato già superato oltre metà del percorso: due anni e otto mesi da quando si sono insediate le Camere. «La seconda parte della legislatura – è convinto Francesco Filini, responsabile del programma di Fratelli d’Italia – sarà segnata dall’approvazione delle riforme più importanti, sottoscritte e condivise da tutto il centrodestra. A partire dal premierato che consentirà agli italiani di decidere da chi essere governati senza ricorrere ai giochi di Palazzo». Il governo Meloni ha deciso di accelerare sia sul premierato sia sulla separazione delle carriere dei magistrati, entrambi all’esame della Camera a luglio, ma che oltre a sovrapporsi nei lavori parlamentari estivi (per accontentare Fratelli d’Italia e Forza Italia) spingeranno ai margini il provvedimento sui Lep voluto soprattutto dal ministro leghista Roberto Calderoli per salvare l’autonomia differenziata dopo le picconate della Consulta. Anna Ascani (Pd), vicepresidente della Camera, valuta così la situazione: «Non so se la legislatura si interromperà anzitempo, so che la campagna elettorale di Meloni è già iniziata e gli italiani pagano. La maggioranza ha paura per l’evidente bilancio fallimentare di due anni e mezzo di governo e per i risultati delle elezioni locali. Il centrodestra, quindi, prova a portare all’incasso le rispettive bandiere».

 

Sullo sfondo c’è la legge elettorale, «per la quale – avverte Raffaella Paita, capogruppo di Italia Viva al Senato – percepisco una certa attenzione della maggioranza al fine di accorciare la legislatura». Secondo l’esponente centrista, «pesano i dati economici che per Meloni sono tutti negativi, dal calo della produzione alla crescita dell’inflazione, e resta irrisolta la questione salariale». Il governo «è in difficoltà, anche sui temi internazionali con Trump che è ormai il capo della Meloni, la quale – sostiene Paita – ha fallito come pontiera fra Stati Uniti ed Europa». Quanto al consenso, «il centrodestra ha perso Genova e ora affronta le regionali d’autunno con difficoltà». Se il tempo non gioca a favore della maggioranza «potrebbe crescere la voglia di anticipare le elezioni politiche con una legge elettorale più favorevole, prima che tutto crolli». Sarebbe il ritorno al proporzionale con le preferenze, il premio di maggioranza dopo il superamento di una certa soglia e lo sbarramento al 3 per cento. Ma i “negoziatori” dei partiti di governo non si sono mai riuniti per arrivare a un vero e proprio testo. La Lega continua a frenare, non essendo convinta dello schema proporzionalista e ritenendo che le priorità della coalizione siano tutte sul versante economico-sociale: «Occorrono norme che aiutino le famiglie con salari più forti», insiste Durigon. Con la conseguenza che la riforma elettorale resta al palo, anche se in base alla previsione di Nazario Pagano (Fi), presidente della commissione affari costituzionali della Camera, il confronto potrebbe entrare nel vivo «fra la fine dell’anno e l’inizio del 2026». Forse un po’ tardi se l’obiettivo fosse quello di andare alle urne nella primavera del prossimo anno. Comunque, senza il sì della Lega la riforma elettorale non passa e, senza le nuove regole del gioco, sarebbe troppo rischioso per il centrodestra affrontare le urne, nel timore che l’attuale Rosatellum possa avvantaggiare il centrosinistra nel Mezzogiorno.

 

Elly Schlein ha già fatto sapere che il Pd non teme le elezioni anticipate, soprattutto se – al di là delle stesse intenzioni – ci si dovesse “cascare”. Anche lei ha fretta: ricompattare il Pd (la minoranza riformista è in fermento soprattutto in Lombardia) e guidare l’alleanza di centrosinistra. Spiega Francesco Boccia, presidente dei senatori Pd: «Se le opposizioni si uniscono attorno a un progetto condiviso, e sui territori intorno a un candidato credibile, vincono. E Genova lo dimostra. Io penso che politicamente, se ci si riunisce attorno al Pd, il centrosinistra nella sua interezza è in grado di arrivare anche al 50 per cento e battere questa destra. Negli ultimi due anni ha perso due regioni ed è stata sconfitta nella maggior parte dei capoluoghi di provincia. Certo noi sappiamo che abbiamo ancora un grande lavoro da fare per la costruzione del campo alternativo».

A complicare il progetto, però, non contribuiscono solo le divisioni dell’ipotetico campo largo su Ucraina, difesa europea e Medio Oriente. C’è anche il tema di chi dovrà candidarsi per Palazzo Chigi. Se Schlein punta alla premiership, i Cinque Stelle per ora non vogliono sentire parlare della questione. «Sono aspetti – ci dice il vicepresidente del Movimento Michel Gubitosa – che non ci appassionano e che verranno decisi al momento opportuno. Ora dobbiamo pensare a costruire un’alternativa a questo governo incapace, che sta mettendo famiglie e imprese in ginocchio». Il centrosinistra punta a vincere le regionali in autunno. E se il risultato fosse questo (la sfida è però apertissima) proprio le elezioni anticipate sfumerebbero. Chi avrebbe interesse nel centrodestra a rischiare tanto dopo un’eventuale sconfitta?

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