In una di quelle cerimonie ben protette, coi sacri nastri istituzionali attorno, la leghista Alessandra Locatelli ha proferito da Livorno parole di buon senso sulla disabilità: «Abbiamo bisogno di scardinare determinati modi che, pure nelle amministrazioni, ormai contraddistinguono i servizi a tutti i livelli. Ciascuno di noi ha bisogno di quella dimensione della vita che ci rende felici, cioè di poter scegliere e di poter avere nella vita anche quel tempo ricreativo e sociale che fa la differenza e che deve essere liberamente scelto. Il diritto di scegliere: questa è la cosa principale su cui bisogna puntare in tutti i casi». A tratti commovente.
Se non fosse proprio Alessandra Locatelli la ministra per le disabilità, il discorso sarebbe da portare urgentemente all’attenzione del ministro per le disabilità. Perciò non si comprende appieno lo spirito innovatore di una ministra in carica da oltre due anni e mezzo che, tredici mesi fa, ha approvato una Riforma che entrerà in vigore forse nel 2027 e, per dopo le ferie estive si suppone, ha promesso di svelare una proposta definitiva per i caregiver (coloro che si prendono cura di un disabile) in tempo per stanziare i fondi con la legge di Bilancio che salpa nel 2026. Locatelli innovatrice e Locatelli ministra, un tutt’uno, ha spesso convenuto sul grave ritardo normativo per i caregiver, ultimi in Europa, «ora la bozza verrà messa di nuovo a sistema» (22 maggio 2025), nel mentre a Livorno ha celebrato l’ennesima tappa della nave scuola “Amerigo Vespucci” conteggiando le 6.000 visite a bordo di ospiti con disabilità. Più che commovente, pietrificante. Non potendo esaminare le idee della ministra sui caregiver perché, come s’è detto, non esistono ancora su carta nonostante il lavoro parlamentare, proviamo a esaminare la Riforma con la maiuscola, un testo parzialmente esistente e già abbastanza sofferente.
La Riforma del comparto disabilità di Locatelli proviene da una delega risalente al governo tecnico di Mario Draghi (22 dicembre 2021, ministra Erika Stefani, ugualmente leghista) per «la revisione e il riordino delle disposizioni vigenti in materia di disabilità». Il governo Draghi aveva previsto l’adozione di uno o più decreti legislativi, ricostruisce con la solita accuratezza il servizio studi di Camera e Senato, e la ministra Locatelli ne ha varati tre: il primo schema ha riqualificato i servizi pubblici per l’inclusione e l’accessibilità, il secondo ha costituito una Autorità garante nazionale per i diritti delle persone con disabilità, il terzo è la Riforma con la maiuscola. In due concetti, la Riforma di Locatelli mirava a «digitalizzare» e «semplificare». Siccome la burocrazia è uno strumento e non il fine, nel senso che allo Stato non è sufficiente riconoscere al disabile la sua disabilità per sentirsi assolto nei suoi doveri, la Riforma ha un difetto congenito, non ancora superato, neanche mitigato. La ministra ha sviluppato i due concetti quantomeno coevi – ovunque si vuole «digitalizzare» e «semplificare», anche perché sarebbe impopolare «materializzare» e «complicare» – attraverso quattro punti cardine: 1. nuovo processo per accertare la disabilità, più parametri, come patologia, contesto, autonomia (valutazione multidimensionale); 2. domanda unica per fruire del supporto pubblico, dunque non più percorsi diversi per accompagnamento e i vari gradi di invalidità; 3. riduzione delle attese con un costante dialogo fra le banche dati di aziende sanitarie locali, ministero della Salute e, soprattutto, l’ente previdenziale Inps; 4. nessuna revisione per le persone con malattie irreversibili. Vaste programme!
Forse perché scoraggiato o perché troppo ambizioso, all’improvviso il governo è diventato prudente. La fase di sperimentazione è subito raddoppiata – decisione di marzo – da un anno a due anni, coinvolgendo 9 piccole province fin qui che poi, da settembre (l’estate va protetta), lievitano a 20 lasciando fuori le restanti 87. Le motivazioni sono tante e varie, certamente il governo s’è spaventato: niente era davvero preparato, a cominciare dalle piattaforme digitali. La fase di sperimentazione sta riguardando essenzialmente la certificazione della disabilità, da gennaio in capo unicamente all’Inps, così da escludere i controlli incrociati con le aziende sociosanitarie territoriali. Questa novità pone due questioni. Una teorica, una sorta di conflitto di interessi: l’Inps certifica in solitaria la disabilità e poi eroga il servizio accollandosi la spesa. E una pratica, basata sui primi riscontri ottenuti nelle 9 province della fase sperimentale: le domande per accertare la disabilità si sono ridotte, se non proprio dimezzate.
Cassando l’ipotesi che la disabilità non sia più un fenomeno di alto e grave impatto in quelle zone, evidentemente le modalità di presentazione delle domande non sono adeguate alle esigenze dei cittadini. Per esempio, il certificato medico introduttivo è un documento più dettagliato e richiede una compilazione più articolata. Questo ha comportato un maggiore impegno per i medici, costretti a infilarsi nei meandri oscuri delle piattaforme, e di conseguenza sono aumentate anche le tariffe. Un ordine provinciale dei medici ha suggerito agli iscritti, chiaramente liberi di «discostarsi», di portare il costo del certificato da 75 euro ad almeno 130 visto l’aggravio di lavoro e di responsabilità. Questo aspetto, più che simbolico, viene spesso sollevato dalle opposizioni al governo e alla Riforma. E citiamo, fra i pochi, la senatrice Sandra Zampa, capogruppo dem in commissione Affari Sociali.
La ministra Locatelli ha firmato un provvedimento con intenzioni nobili, ma con effetti non pervenuti o dannosi. E in particolare, questa è la contestazione principale, la Riforma non dà soldi ai disabili e alle famiglie, non aumenta le pensioni né gli assegni, ma rischia di creare un mercato parallelo per i privati. Volgarmente: un business. I progetti di vita «individualizzati» sono un caso da osservare: è indubbio che sia necessario predisporre piani di assistenza e inclusione sociale “personalizzati”, ma è altrettanto indubbio che sia fondamentale avere a disposizione professionisti validi e risorse copiose.
In Italia ci sono circa 13 milioni di persone con disabilità, 3 milioni sono in condizioni gravi e 1,5 milioni di questi ha più di 75 anni. Stupisce che la disabilità, nel dibattito pubblico, sia un argomento laterale, confinato a nicchie spesso intrise di ipocrisia. Oppure sbagliamo a stupirci perché lo Stato, non soltanto durante il governo di centrodestra, in sua vece ha frequentemente scaricato l’assistenza e l’inclusione sociale sulle famiglie, i conviventi, i parenti. Però la disabilità, da un lustro e più, è un tema costantemente presidiato dalla Lega di Matteo Salvini, da oltre due anni e mezzo consegnato ad Alessandra Locatelli. Già ministra nel governo gialloverde di Giuseppe Conte, poi assessore alla Regione in Lombardia, Locatelli si muove con un basso profilo nell’agone politico-mediatico, ma non disdegna le cerimonie ben protette, le passerelle istituzionali, gli appuntamenti all’estero. A proposito di stupore, non stupisce che non abbia risposto alle domande de L’Espresso. In ossequio all’antica regola che più affascina i potenti ad interim: non disturbare il manovratore.