Politica
17 luglio, 2025Giorgia ha paura del rimpasto: il governatore del Veneto potrebbe chiedere un ruolo di peso a Roma e riequilibrare i rapporti nella maggioranza
Ufficialmente è solo una “voce di corridoio”, smentita più volte sia a Palazzo Chigi sia a via Bellerio. Ma dietro le quinte, raccontano, la notizia di un possibile ingresso di Luca Zaia nella squadra di governo ha creato più di un malumore. E a irritarsi, stavolta, sarebbe stata proprio Giorgia Meloni. Il retroscena parte da qualche giorno fa, quando nelle chat parlamentari della maggioranza ha cominciato a circolare un’ipotesi suggestiva: il governatore del Veneto, forte di un consenso personale che travalica i confini del suo partito, potrebbe approdare a Roma con un ruolo “di peso”, per dare nuova spinta all’esecutivo e riequilibrare i rapporti interni alla Lega.
Nulla di scritto, nessuna trattativa formale. Ma abbastanza per agitare le acque. Chi conosce Meloni racconta che la premier avrebbe reagito con fastidio: «Non possiamo apparire in balia dei rimpasti o dei riposizionamenti interni agli alleati», avrebbe detto in una riunione riservata. Il messaggio, dicono, era diretto soprattutto a Matteo Salvini, che in queste settimane vive una fase complicata: tra la concorrenza interna di Zaia, il pressing di Giorgetti e il difficile rapporto con l’ala governista del partito. Dietro la freddezza di Meloni, spiegano fonti vicine a Palazzo Chigi, ci sarebbe anche una valutazione politica più ampia. L’eventuale arrivo di Zaia potrebbe infatti spostare equilibri consolidati: da un lato rafforzerebbe l’ala più moderata e istituzionale della Lega; dall’altro darebbe all’esecutivo un interlocutore ingombrante, forte di un consenso costruito sul territorio, capace di parlare anche a un elettorato trasversale.
E poi c’è la questione dei rapporti personali. Meloni e Zaia non hanno mai avuto un vero canale diretto: stima reciproca, rispetto istituzionale, ma anche differenze marcate nello stile politico. Lei centralista, accentratrice, abituata a costruire la leadership solo attorno a se stessa; lui amministratore radicato, abile a muoversi tra autonomie locali e media. Non è un caso che, raccontano, la premier avrebbe confidato ai più stretti collaboratori: «Zaia in squadra cambia il baricentro, non possiamo farlo a cuor leggero». Intanto Salvini osserva. Ufficialmente smentisce qualsiasi ipotesi di rimpasto, ma non disdegna di far filtrare l’idea che un innesto “di qualità” potrebbe dare nuovo slancio al governo e – soprattutto – alla Lega, reduce da mesi complicati tra tensioni interne e risultati elettorali altalenanti. «Tutte fantasie», tagliano corto i leghisti più vicini al segretario. Ma in privato ammettono che la discussione sul futuro non è più rinviabile.
Sul tavolo restano nodi delicati: autonomia differenziata, dossier infrastrutture, e soprattutto il difficile equilibrio tra l’anima più movimentista del partito e quella di governo. In questo schema, Zaia potrebbe incarnare la figura capace di mediare, rassicurare gli elettori moderati e recuperare consenso al Nord. Per ora, però, Palazzo Chigi frena. Meloni non vuole aprire la stagione dei rimpasti, né dare l’idea di un esecutivo che si muove in base alle dinamiche interne dei partiti. «Sarebbe un segnale di debolezza», avrebbe ribadito ai suoi. E così, tra smentite ufficiali e malumori privati, il nome di Zaia continua a circolare come un’ipotesi scomoda: troppo popolare per essere ignorato, troppo ingombrante per essere accolto senza conseguenze. Un equilibrio fragile, che racconta più di ogni dichiarazione ufficiale delle tensioni che, sotto la superficie, attraversano la maggioranza.
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