Politica
29 luglio, 2025Meloni ha detto sì alle nuove spese dalla Nato, subisce le richieste di Bruxelles e la lista della Difesa, ma l'Italia non può permettersi questa spesa materiale bellico che impegna il Paese ben oltre le pronosticate offensive russe. Ecco tutti i numeri e la posizione dell'Alleanza atlantica
Ripassare la scena per non ingannarsi con i retroscena, ecco. Il disimpegno americano in Europa induce, o costringe, l’Europa stessa a investire più denaro in armi nel breve e nel medio periodo. Non è probabile: è scontato che ciò provochi una compressione dei servizi pubblici essenziali. Sarà parecchio complicato per i governi nazionali assecondare – non ci sono alternative, peraltro – le bizze isolazioniste di Donald Trump e tutelare la pace sociale. Più denaro in armi nel breve e nel medio periodo perché Trump vorrebbe ridurre l’egemonia finanziaria americana per l’Ucraina (breve periodo) e per il bilancio Nato (medio periodo). Le conseguenze per l’Italia sono insostenibili, non ci sono rimedi, se non fare melina, procrastinare, annacquare e sperare che questa stagione trumpiana passi in fretta col paradosso che il governo di Giorgia Meloni si percepisce e si definisce, con ostentato orgoglio e con buone ragioni, come l’alleato europeo più fedele alla Casa Bianca. Se Washington si disimpegna oltre le più fosche previsioni, Roma si impegna oltre le sue concrete risorse a svolgere un ruolo attivo in questo «mondo post occidentale».
Il governo italiano non ha esitato un attimo, neanche con una sceneggiata melodrammatica come lo spagnolo Pedro Sanchez, a controfirmare l’accordo somministrato ai membri Nato dal segretario generale Mark Rutte, convinto esecutore delle strategie di «papino» Donald: 5 per cento del Prodotto interno lordo (Pil) in armi per ciascun Alleato entro il 2035. Il dato va scomposto in 3,5 per le spese militari tradizionali (mezzi, caserme, stipendi, pensioni, missioni, addestramento) e 1,5 per qualsiasi spesa non militare che contribuisca alla sicurezza nazionale (infrastrutture, telecomunicazioni, reti elettriche, cibernetiche, energetiche).
Con vari artifizi contabili e un bel po’ di comprensione della Nato, il governo Meloni ha assicurato che l’obiettivo del 2 per cento del Pil sarà raggiunto quest’anno come stabilito nel 2014 in Galles, ribadito nel 2016 in Polonia, confermato nel 2022 alle Camere con un ordine del giorno. In Olanda, in casa di Rutte all’Aja, appena il mese scorso è stato fissato il 3,5 per cento (più l’orpello 1,5) per il 2035 senza obiettivi intermedi, se non un percorso «incrementale» e «credibile», come ricorda l’Osservatorio Milex.
Il punto di partenza per l’Italia, secondo i dettami Nato, si aggira attorno all’1,6 per cento. Avventurarsi in stime da qui a dieci anni, anche soltanto per l’andamento del Pil, è abbastanza inutile, ma è sufficiente far notare che quest’anno la spesa in armi a consuntivo sarà di circa 35 miliardi di euro, mentre nel 2035 dovrebbe sfondare quota 100 miliardi per inerpicarsi al 3,5 per cento. Osiamo: impossibile.
Il messaggio che scaturisce dalla Nato è soprattutto politico: colmate voi europei il vuoto che, non proprio gradualmente, sarà lasciato dal ritiro americano; e pure la protezione di Kiev è roba vostra, tant’è vero l’Alleanza atlantica promuove, per avvicinarsi agli obiettivi, il trasferimento di armi cedute all’Ucraina o comprate per l’Ucraina. L’Europa risponde in ordine sparso e già questa reazione caotica la pone ai margini delle contese globali. L’Espresso ha chiesto al segretario generale Rutte come si tramuta in pratica il patto siglato alla Casa Bianca che prevede un sostegno “oneroso” degli Stati Uniti al governo di Volodymyr Zelensky. Ci ha risposto Allison Hart, la responsabile della comunicazione di Rutte: «Questo nuovo approccio permette l’accesso a mezzi e tecnologie statunitensi che in alcuni casi sono unici e, più in generale, molto preziosi per l’Ucraina. Naturalmente gli Stati Uniti manterranno scorte sufficienti per il proprio fabbisogno, ma consentendo agli alleati della Nato di acquistare queste attrezzature per l'Ucraina, si renderanno disponibili ulteriori sistemi di difesa aerea, munizioni e altre attrezzature».
L’Italia non s’è messa in coda: «Diversi europei hanno già espresso interesse a contribuire, tra cui Germania, Norvegia, Danimarca, Olanda, Svezia, e poi Regno Unito e Canada». La Nato non critica la posizione di Roma, peraltro identica a quella di Parigi, e menziona la presenza italiana in Europa orientale per dimostrare che il supporto all’Ucraina ha parecchie sfaccettature: «L’Italia guida le truppe terrestri avanzate della Nato in Bulgaria e fornisce soldati ai dispiegamenti Nato in Ungheria e Lettonia». Per Kiev, dunque, il governo di Roma prosegue col suo metodo: la cessione gratuita tramite decreto ministeriale, coperta da segreto di Stato, spesso foriera di ricostruzioni sgangherate e solido pretesto per dirottare più soldi su aeronautica, esercito, marina. Con il dodicesimo pacchetto di aiuti militari al governo di Kiev, ancora in preparazione e ancora una volta incentrato su munizioni (anche missili per il sistema di difesa Samp – T se gli ordini dei nuovi modelli arrivano presto), l’Italia avrà “speso” per l’Ucraina circa 3,5 miliardi di euro da marzo 2022.
Le pressioni per il governo Meloni arrivano da Rutte, da Kiev e pure da Bruxelles. La Commissione Europea ha presentato il bilancio comunitario da 2.000 miliardi per il settennato 2028-2034, di questa somma 131 miliardi sarebbero utilizzati per interventi di spazio e difesa. La quota in capo a Roma, secondo i calcoli dell’Osservatorio Milex, sarebbe di 16,8 miliardi (2,4 l’anno), mentre adesso giriamo a Bruxelles circa 500.000 euro. Non c’è bisogno di ulteriori conteggi: l’Italia non può permettersi queste cifre. Può rosicchiare un po’ di miliardi, e questo sta già avvenendo. Anziché indicare le cifre di domani, guardiamo alle cifre di oggi. Il rendiconto della Ragioneria (2024) segnala che nel bilancio dello Stato ci sono uscite per 7,8 miliardi di euro per la «pianificazione delle forze armate e per gli approvvigionamenti militari», un significativo +22 per cento rispetto al 2023 (1,4 miliardi). La gran parte di questi 7,8 miliardi, per la precisione 7,3, è servita per l’azione «ammodernamento, rinnovamento e sostegno delle capacità dello strumento militare». Che vuol dire? Aerei, navi, carri, razzi: programmi pluriennali che iniziano a presentare il conto. Questa legislatura, complici le guerre, è davvero bellicosa. L’Osservatorio Milex aggiorna frequentemente la sua tabella e ha anticipato al L’Espresso il computo totale: in due anni e mezzo, il Parlamento ha approvato programmi bellici del ministero della Difesa per 42 miliardi di euro. L’Italia ha acceso il suo mutuo per le prossime generazioni, un futuro più armato e più sicuro. Fa ridere, no? Insomma.
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